Le comari di un paesino

Cantava de André, ed era il 1967:

«Si sa che la gente dà buoni consigli / sentendosi come Gesù nel tempio, / si sa che la gente dà buoni consigli / se non può più dare cattivo esempio. / Così una vecchia mai stata moglie / senza mai figli, senza più voglie, / si prese la briga e di certo il gusto / di dare a tutte il consiglio giusto. / E rivolgendosi alle cornute / le apostrofò con parole argute: / “il furto d’amore sarà punito – / disse – dall’ordine costituito”. / E quelle andarono dal commissario / e dissero senza parafrasare: / “quella schifosa ha già troppi clienti / più di un consorzio alimentare”».

Roy Batty, che fuori dal set si chiamava Rutger Hauer, diceva nel 1982 a Rick Deckard/ Harrison Ford:

«Io ne ho viste cose che voi umani non potreste immaginarvi. Navi da combattimento in fiamme al largo dei bastioni di Orione. E ho visto i raggi B balenare nel buio vicino alle porte di Tannhäuser. E tutti quei momenti andranno perduti nel tempo… come lacrime nella pioggia. È tempo… di morire».

Il film lo sanno tutti, è Blade Runner di Ridley Scott, ispirato al romanzo pubblicato da Philip K. Dick nel 1968, Do Androids Dream of Electric Sheep?, ovvero Ma gli androidi sognano pecore elettriche?, ancorché in Italia sia stato pubblicato col titolo Il cacciatore di androidi.

Io non ho visto cose che voi umani non potreste immaginarvi. Ma ho conosciuto molte persone in vita mia. Di ogni tipo.

Per esempio bottegai che non riuscendo per un’intera vita a costruirsi un vero amore salirono in cattedra a dar lezioni di convivenza e che venduta la vetrina si ritirarono al meritato riposo di un’intensa vita costruita con le proprie mani. Erano generosi e facevano lo sconto, naturalmente senza scontrino, per evadere le tasse.

Poi insegnanti baby pensionate e per lungo tempo mantenute da pezzi di pane d’uomini strappati a matrimoni mai cessati, che credevan negli angeli e in altre diavolerie, e che un giorno puntarono il dito contro il tradimento.

Ho conosciuto politici che pur di far bella figura col padrone, tenevan posti liberi in organico e disoccupati in giro per le strade, ma almeno han contenuto la spesa pubblica.

Aspiranti giornaliste datesi alla psicanalisi o ai suoi dipressi, servirsi dell’Abc della comprensione dell’anima per sparar sentenze, distribuir pettegolezzi, annoiarsi a morte, e poter poi elaborare il lutto.

Ho conosciuto padri assillati dai tormenti della propria figlia, li ho visti quasi piangere e pietire ascolto ed assistenza, dileguarsi al primo grido d’aiuto da un letto d’ospedale.

Ho conosciuto fedifraghe d’antan acquattarsi nell’ombra per non turbar gli equilibri. Neanche dinanzi alle condoglianze per la scomparsa di un padre.

Ma il più simpatico di tutti è un folletto tutto d’un pezzo, una vita spesa piegato in due a sgobbare per rimediar un’eredità da poter lasciare alla prole.

«Bella esperienza vivere nel terrore, vero? In questo consiste essere uno schiavo».

La lezione dell’androide ce l’ha data anche Marlon Brando Mistah Kurtz in Apocalipse Now e prima di lui Joseph Conrad. Ci spiega cos’è l’orrore, e quello mi è capitato di incrociarlo.

Il mondo è bello perché è vario. E perché va così. Ma è molto importante quello che Harrison Ford disse dopo Rutger Hauer:

«Io non so perché mi salvò la vita. Forse in quegli ultimi momenti amava la vita più di quanto l’avesse mai amata. Non solo la sua vita, la vita di chiunque, la mia vita. Tutto ciò che volevano erano le stesse risposte che noi tutti vogliamo: da dove vengo, dove vado, quanto mi resta ancora? Non ho potuto far altro che restare lì, e guardarlo morire».

Ma gli androidi sognano pecore elettriche?

Certamente dai diamanti non nasce niente, dal letame nascono i fior.

A me non piace chi dice che è inevitabile rubare perché tutti rubano. Non mi piace chi giustificava Tangentopoli perché la corruzione è diffusa. Perciò comprendo anche e posso perdonare quelle contraddizioni a cui accennavo poco sopra. Ognuno ha i propri difetti, le proprie debolezze, le proprie fragilità, il proprio bisogno. Anch’io ho i miei. Diciamo allora che è un invito a non salir in cattedra o a scendere dallo scranno del giudice popolare che qualcuno talvolta s’inventa. E magari a riprender l’uso della parola, anche dell’insulto, se serve, perché fintanto che si può parlare non ci sono le guerre. E, resistenze a parte, nessuno più vuole le guerre. O, almeno, così dovrebbe essere. Per me.

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4 Responses to “Le comari di un paesino”

  1. cristina scrive:

    Non si dovrebbe mai giudicare senza conoscenza alcuna, non si dovrebbe mai colpevolizzare senza uno straccio di prova, mai condannare senza indizi ma solo perche’tu non sei come me..sei diverso! Tutti vogliono giudicare ma non essere giudicati. Basta dare un’occhiata in quello Stato a ridosso di Roma…….Una fogna a “cielo”aperto ma dove si continuano a dare lezioni ed emettere sentenze!!!
    Un cordiale saluto
    Cristina

  2. Daniele Pugliese scrive:

    Gentile signora Cristina,
    convengo sostanzialmente con la prima parte del suo commento. E trovo che quegli sport siano faticosi, per i miei gusti troppo, per meritare di essere praticati. Ma c’è chi ama sudare a dismisura pur di stare in forma o farsi bello. A me piace sudare per immedesimarmi in Caino. Nella seconda parte, invece, percepisco un po’ di leghismo e di qualunquismo e, questo, per quanto legittimo, è qualcosa che a me piace poco, proprio poco.
    Un cordiale saluto anche a lei.
    Daniele Pugliese

  3. cristina scrive:

    Ops…forse mi ha frainteso, non volevo essere “irriverente” scrivendo che quello Stato da me non nominato era quello Pontificio! Di verde sopporto solo il colore della mia “bile”
    Nuovamente la saluto!

  4. Daniele Pugliese scrive:

    Ora è tutto più chiaro e meno frainteso.

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