Inconfessabili lacune

Sui giornali di ieri, domenica 3 agosto – Repubblica e Corriere, intendo, a riprova dell’esistenza della casualità – sono state raccolte due illustri testimonianze di chi ha faticato o ha rinunciato a leggere Alla ricerca del tempo perduto di Marcel Proust.

Una delle due è quella di un giornalista che per me è sempre stato un faro nella notte, Piero Ottone, maestro di aplomb e understatement, azzeccate parole straniere al posto delle quali esiste senz’altro un’alternativa italiana, ma di cui, a differenza di meeting e location, merita servirsene.

Contemporaneamente sull’inserto domenicale del Corriere, Alessandro Piperno ha intessuto l’elogio dell’ipocrisia, ovvero sia di quella qualità umana con la quale non si ammetterebbe mai, in società almeno, di non aver letto quel capolavoro che inizia così:

«A lungo, mi sono coricato di buonora. Qualche volta, appena spenta la candela, gli occhi mi si chiudevano così in fretta che non avevo il tempo di dire a me stesso: “Mi addormento”».

È l’incipit di La strada di Swann, il primo di quei 6 volumi per un totale di molte, molte pagine. Che avendole io lette tutte, posso dire meritino assolutamente di essere affrontate, benché effettivamente non siano facili.

Certo, la sostanza del libro sta tutta nel titolo, e basterebbe quello per dire di cosa parli: la ricerca del tempo perduto, buttato via, sprecato. Fino al punto in cui il tempo non è ritrovato. E appunto del fatto che lo si possa gettare ed anche, però, recuperarlo. E magari magistralmente scrivendo un capolavoro indiscusso dove l’acume delle notazioni, la sensibilità delle osservazione, la finezza dei giudizi sono anch’essi indiscussi, ma non da soli contribuiscono all’attribuzione di quel merito.

Io ho letto quel libro in italiano, nella strepitosa traduzione di Giovanni Raboni, e dico strepitosa non sapendo quanto sia fedele all’originale e quanto rispecchi la musicalità che il testo può avere in francese, ma, amando la lingua nella quale parlo, trovandola strepitosa, una scrittura come se ne leggono poche, peculiarissima, ricca di parole, di costruzioni, e in particolare di una qualità raramente trovata in altri testi: la capacità di scrivere periodi lunghissimi, che sembrano senza fine, pieni di incisi, di subordinate, di deviazioni, virgole, trattini e punti e virgola, ma così lineari ed efficaci da concludersi sempre, da consentire sempre di ritrovare il bandolo della matassa.

Una scrittura diametralmente opposta a quella di Jerome D. Salinger che in The Catcher in the Rye, da noi tradotto in Il giovane Holden, mi ha insegnato a mettere un soggetto, un verbo, un complemento oggetto e ad interrompere la frase con un bel punto. Per poi riprendere il periodo con un’altra frase che si interromperà subito con un altro punto, e questo è il modo migliore di scrivere, se si lavora in un giornale.

Ora quest’esibizione, però sincera e non ipocrita, di letture fatte, non mi impedisce di ammettere che le lacune sono infinite, non solo tanto vaste, ma anche talmente grossolane e addirittura quasi incredibili, da rendere sterili i dettagli dell’ammissione, perché si fa prima a dire cosa non rientra tra gli esclusi, i non letti, che tra gli inclusi, i letti, e qui però mi vien da precisare che se sono stato in vita mia un pessimo lettore, destinato all’immediata sconfitta in una tenzone che vertesse sulla quantità, ho cercato di esserlo di qualità, facendomi consigliare da credibili e autorevoli guide, alle quali non smetterò mai di essere grato a partire dalla mia ex moglie, e soprattutto di profondità, cercando di fissare ben dentro quello che giungeva dalle pagine, e di imprimerlo in un luogo dove quel materiale potesse poi essere elaborato.

Con l’età ho anche messo a fuoco che in questo campo qualche ipocrisia è solo salutare, se non altro perché evita una miriade di stupide discussioni. Se si è ingerito una accettabile formazione enciclopedica in grado di collocare un romantico nell’Ottocento e un manierista nel Cinquecento, si può anche celare celiando su un Defoe, un Goethe o un Puskin.

La mia ignoranza, comunque, un pregio ce l’ha. Il bagaglio indispensabile per quando mi ritirerò in montagna è ormai noto. Buona lettura a tutti.

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One Response to “Inconfessabili lacune”

  1. Daniele Pugliese scrive:

    L’altro “astemio” di Proust che non avevo citato è Marco Missiroli, al quale nel numero di questa settimana de “La Lettura” – a riprova dell’esistenza della casualità – proprio Alessandro Piperno rivolge una lettera aperta invitandolo a leggere quel capolavoro di Proust.
    Intanto in un’altra pagina c’è un bell’articolo di Eva Cantarella che in contemporanea viene intervistata su Repubblica. A riprova dell’esistenza della casualità.

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