Un lungo buon compleanno

Il luogo a Nord delle mura di Gerusalemme, a circa 200 metri dalla porta di Damasco, che per il suo aspetto simile a un teschio indusse nel 1883 il generale inglese Charles George Gordon a pensare fosse quello dove Cristo morì.

Se non sempre, da tempo immemore certamente, ho evitato di fare auguri per Natale preferendovi laicamente quelli di buon anno, e in questo scrupolo, come in quello di sostare in piedi in fondo a una chiesa o ad altro luogo di culto durate una funzione religiosa per evitare le consuetudini della liturgia, ho riposto la mia rispettosa convinzione che per onorar le altrui usanze si debba onorar parimenti le proprie, né di più né di meno, solo parimenti, e così dunque mi pareva inappropriato porgere omaggio a un dio al quale io non credo, nell’eventualità mostrandomi ipocrita ed opportunista al suo cospetto, teso solo ad apparire ai suoi accoliti e a farmi da essi accettare. Mi dicevo che se avessi avuto io un dio in cui credere e a cui affidarmi, non avrei sopportato che lo si ossequiasse per prassi ed in modo affettato, girandogli le spalle un istante dopo averlo molcito, pertanto a quel medesimo comportamento fosse d’obbligo sottrarsi.

Ancora adesso vengo meno alla tradizione correndo il rischio di risultar maleducato, ma quest’anno invero, da questa schermata almeno, vorrei invece associarmi al gaudio per il duemilaquindicesimo compleanno di Gesù Cristo il Nazareno, quell’uomo così bistrattato nei 33 anni della sua esistenza e in tutti quelli successivi che ci separano dalla sua morte sul Calvario, una collinetta che a differenza dei latini gli aramaici chiamavan Golgota e sta ad indicare in entrambe le lingue il luogo del cranio, ovvero la testa, protuberanza del terreno un tempo a ridosso di Gerusalemme ed ora inglobata nella Città vecchia, dedalo di odori, paure, speranze e incontri, per la precisione all’interno delle Cappelle della Crocifissione e della Morte nella basilica del Santo Sepolcro – leggo su Wikipedia –, gestite rispettivamente dai Frati Minori della Custodia di Terra Santa e dai greci ortodossi.

Vorrei a lui far gli auguri, come li faccio ai miei amici o alle persone care quando leggo sull’agenda che è il giorno in cui mi ricordo sono nati – cada di giugno, di luglio, di novembre o in qualunque altro mese dell’anno –, a lui che a quanto si narra e in qualche parte sta scritto, ha condotto una vita che per la maggior parte di noi sarebbe solo impensabile, figuriamoci tentar d’emularla, o quanto meno, a modo proprio, my way avrebbe cantato Frank Sinatra, seguirne il senso e la direzione. E trattandosi di un ben augurante augurio, non d’una litania tanto per associarsi al coro e confondersi nel mucchio, vorrei augurargli 2015 anni meno ignobili di quelli che, pur con le encomiabili cose che sono state fatte, l’umanità ha messo in fila, trovandosi ancor oggi con gente che pietisce il cibo, impugna mitra e coltelli, raggira l’altro sentendosi più furba, non è capace di tener lo sguardo fisso nel vento per vedere laggiù dove forse, malgrado tutto, c’è qualcosa di meglio.

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