Capitani d’industria

Ho letto vari articoli nei giorni scorsi circa la morte di Michele Ferrero, non perché io sia mai stato, a differenza di Nanni Moretti e Walter Veltroni un fanatico della Nutella – e nemmeno del Rocher, benché non lo disdegni affatto – ma perché proprio recentemente mi era capitato di leggere, se non vado errato su Sette del Corriere, un ritratto di quest’imprenditore considerato oltre che l’uomo più ricco d’Italia e uno dei migliori testimoni del Made in Italy, anche uno come non ne fanno più da un pezzo, o, per dirla in altro modo, l’incarnazione di come eravamo e mai più potremo essere.

Ed ero stato colpito da un affresco che poteva farmi venire in mente, per come avevo imparato a conoscerli io, quanto meno nelle fantasie desunte dalle leggende raccontate e lette e sentite dire, Adriano Olivetti, Enzo Ferrari, forse il vecchio Mursia o il vecchio Rizzoli. Ovvero sia quelle figure di imprenditori che nella mia gioventù avrebbero messo in crisi le mie convinzioni marxiste riguardo la lotta di classe e la necessità di una rivoluzione del proletariato capace di sbarazzarci dei capitalisti.

Michele Ferrero

Dei vari articoli che ho letto mi ha colpito un ricordo di Gigi Padovani, anche lui piemontese come Ferrero e me (e come me con un passato a l’Unità sulle spalle) perché racconta che quando « incontrava qualche operaio “con la chiave a stella” impegnato a montare le linee per le praline in qualche parte del mondo, chiedeva, in piemontese: “Quella macchina si è messa a girar bene?”».

È un omaggio a Primo Levi, ma è un omaggio alla piemontesità, al tirar su i muri belli dritti anche se sono quelli del lager nel quale si è reclusi, al fare il proprio lavoro e farlo bene, ed io quando sento queste cose mi scaldo, se non addirittura mi si scalda il cuore.

Non sono naturalmente in grado di esprimere alcun giudizio su che razza di padrone sia effettivamente stato Michele Ferrero, se sia vero quel che si dice riguardo il suo atteggiamento non dittatoriale e pare affatto insolente e beffardo nei confronti delle sue maestranze. Ed altrettanto naturalmente, a giudicare almeno da quel che ne scrivono circa la solidità e la fortuna dell’impresa mai ceduta alle multinazionali e mai svilita alla borsa delle merci dove queste divengono solo titoli e vessilli, devo riconoscere che senz’altro è stato un padrone di razza.

Mi sembra pertanto doveroso, o comunque a me va di farlo, di portare un granello, il mio, all’agiografia che di quest’uomo si è appena fatto e, me l’auguro, si dovrà ancora fare. E dunque si legga l’articolo di Aldo Cazzullo, sempre sul Corriere, dove anche lì, senza dirlo, lo si avvicina a Levi: una frase ricorrente di Ferrero «era “vag ’n chimica”, vado nei laboratori, dove faceva notte in camice bianco con i collaboratori più stretti ad assaggiare cioccolato e a provare decine di varianti. Seguiva di persona ogni cambiamento nella formula della Nutella, più riservata del Sacro Graal, e la ricerca dei nuovi prodotti, dai Rocher al Grand Soleil. “Ricordatevi: ca piasa a madama Valeria”, che piaccia alla signora Valeria, simbolo della casalinga media. Alla fine affidava ai suoi uomini un pacchettino con le diverse varianti: “Ca lu fasa tasté a sua fumna”, lo faccia assaggiare a sua moglie; il verdetto della signora sarebbe stato decisivo».

Oppure Elvira Serra, sempre da via Solferino, la quale gli scrisse per chiedergli un’intervista, addolcendolo con un quadretto familiare ritratto a colazione con la crema di nocciole, e lui, garbatissimo, rifiutandosi per l’ennesima volta: «Le interviste sono come le ciliegie: se si comincia con una, è poi difficile resistere alle altre. Ed io sento di dover invece continuare a concentrarmi nel lavoro che mi appassiona di più […]. Un augurio cordiale a Lei ed al Suo fidanzato».

Concludo: se nel mondo, non solo in Italia, avessimo avuto più industriali così, stando a quel che leggo, non avremmo avuto anche operai migliori, rivoluzionari migliori, sindacati migliori, un’economia migliore, una società migliore?

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3 Responses to “Capitani d’industria”

  1. loredana scrive:

    complimenti…

  2. loredana scrive:

    Ah, scusa… secondo me la risposta è: sì, sarebbe una società migliore

  3. Matteo scrive:

    Appartiene a quella che io definirei “fase romantica del capitalismo”, dove era ancora possibile, seppure raro, trovare ancora “imprenditori-operai” che non mettevano il profitto davanti all’umanità. Adriano Olivetti fu il più fulgido esempio di questo modello di imprenditore. Ma, oggi, con la finanziarizzazione totale dell’impresa, con l’internazionalizzazione del capitale, qualsiasi rapporto diretto tra capitalista e lavoratore scompare. E’ un processo secolare, ma inevitabile. Già Lenin attestava di questa finanziarizzazione e come i paesi capitalistici da esportatori di merci si facessero via via esportatori di capitali (circostanza che egli poneva alla base dell’imperialismo).
    Ma che scrupolo può avere mai il capitalista contemporaneo, che ha sempre il biglietto di un volo intercontinentale in tasca e una fabbrica in Polonia e l’altra in India? Il capitalista non ha più alcun contatto col lavoratore. E questo capitalista, ormai, non è neanche più il capitano d’industria, ma una banca, una società per azioni, entità impersonale e irraggiungibile. Il povero contadino col fucile in braccio di “Furore” di Steinbeck (sono gli anni della Grande Depressione americana) domandava ingenuamente al conduttore della ruspa che veniva a demolirgli la casa e togliergli la terra: “E allora a chi devo sparare?”
    Semplicemente, il capitalismo è una struttura, un sistema, o un “modo di produzione” (come lo definiva Marx) che sfugge alla volontà del singolo capitalista, per quanto questo possa essere un idealista. Per cui, anche la “trasformazione antropologica” del capitalista è una logica, inevitabile e irreversibile conseguenza delle dinamiche della società capitalistica.

    P.S. La Nutella, un tempo era l’alimento prelibato e fiore all’occhiello della gastronomia industriale italiana. Oggi, è una melma di olio di palma, zucchero, e vanillina (parente meno nobile della vaniglia) resa commestibile da aromi ed edulcoranti (http://www.ilfattoalimentare.it/nutella-palma.html). Il successo del prodotto ne ha decretato la sua espansione sui mercati, ma per questa espansione è stato necessario contrarre i costi di produzione e quindi usare ingredienti sempre più scadenti. A proposito di dinamiche irreversibili.

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