I conti con Firenze
«Adesso Firenze è alquanto rumorosa e variopinta, la folla nelle strade è enorme».
Il mio amico Gian Luca – senza il quale non mi sarebbe così facile avere le idee chiare sul significato della parola amicizia – è un topo di biblioteca e, da buon topo di biblioteca, sa spulciare.
Così, spulciando spulciando, s’è imbattuto in materiale d’epoca di quando la biblioteca dove Gian Luca fa il roditore, assunse l’appellativo di Nazionale Centrale, avendo raccolto il lascito di Antonio Magliabechi, nucleo originario di circa da circa 30.000 titoli databile 1714, implementato con la Palatina dei Lorena, per assurgere nel 1885 appunto a Nazionale, essendo nel frattempo una frattaglia di Stati e Staterelli trasformatasi in Italia.
Materiale d’epoca su quando Firenze divenne Capitale, nel 1865, che Gian Luca ha scartabellato tirandoci fuori un curioso libretto scritto in forma di cronologia nel quale, a novembre 1868, compare quella frase virgolettata con cui inizia questo testo, che qualcuno probabilmente ha pensato fosse stata scritta oggi.
No, è di allora, novembre 1868, e l’avrebbe scritta niente popo’ di meno che Fëdor Michajlovič Dostoevskij, mi verrebbe da dire il più grande scrittore di tutti i tempi se non ne fossero esistiti altri che gli contendono il titolo.
Se n’era tornato quell’anno a Firenze l’autore di così tanti capolavori dopo esserci già stato qualche anno prima e stavolta si mette a tavolino affacciato a una finestra di piazza Pitti dove vivaddio ci hanno messo una lapide, e dalla sua penna vien fuori L’idiota, con dentro il riverbero di tutto quello che si prova salendo su un patibolo e all’ultimo istante prima che sia finita ti dicano che lo Zar ci ha ripensato.
Be’, insomma, per farla breve Gian Luca scopre questa e altre chicche, le mette insieme, trova anche un bel po’ di illustrazioni d’epoca e un editore che lui conosce manda tutto alle stampe. Gian Luca mi chiede una mano ed io gli do qualche foglio che assomiglia a una prefazione.
«… come sarebbe andata se… se venerdì 23 dicembre 1870, nel salone dei Cinquecento di Palazzo Vecchio, dove si riuniva ormai dal 18 novembre del 1865, un sabato, la Camera dei Deputati del Regno d’Italia non avesse votato la legge che sanciva il trasferimento della capitale a Roma.
Come sarebbe andata non solo per l’Italia e per la sua storia così come l’abbiamo imparata sui libri di scuola e nell’esperienza pratica di tutti i giorni, qualunque sia la generazione a cui si appartiene; ma anche per Firenze che, in occasione di quella parentesi di indiscusso primato entro la quale è racchiusa la sua esperienza di Capitale d’Italia, mutò il proprio volto certamente come mai dopo di allora e, ma solo per certi versi, come mai prima di allora».
Verso la fine di questa introduzione scrivo:
«Si sa che all’epoca ci furono sentimenti forti e contraddittori circa la scelta prima di scardinare tutto per porvi il centro del Regno, e poi quella di spostarlo altrove; circa l’invasione sabauda e poi per il fuggi fuggi verso Roma. Naturalmente i fiorentini dinanzi a ciascuno di quegli aspetti reagirono come avevano sempre fatto e poi ancora in seguito: da guelfi e ghibellini, rigorosamente divisi in due fazioni più che faziose, festose nel becchettar con l’avversario.
Ripercorrendo quei momenti – che in realtà ebbero i loro strascichi anche negli anni successivi, tant’è che molte delle mutazioni e degli stravolgimenti architettonici furono portati a termine solo a scettro ceduto – si ha comunque la percezione di quanto profondo fu quel mutamento e di quanto esso pesi ancor oggi, forse tanto nel bene quanto nel male, compreso quel lascito di mesta malinconia di chi ha conosciuto la gloria per un attimo e poi se l’è vista portar via, qualcosa di simile allo sguardo infastidito che ha il nobile decaduto dinanzi alla volgarità del popolino e all’amarezza di chi ha visto un passato migliore del presente e può giudicar l’oggi con una buona dose di scetticismo».
Manca la conclusione, oltre a quello che c’è nel mezzo ai due brani e, soprattutto, tutto il resto del libro che Gian Luca Corradi ha messo insieme.Se qualcuno si è incuriosito e fosse interessato a leggerlo può trovarlo in libreria, si intitola 1865-1871 Firenze gli anni della Capitale ed è edito da AGC Edizioni.
Per quel che mi riguarda un’ultima cosa. Direi un omaggio a, o un tentativo di regolare i conti con, la città che da bambino mi ha ospitato e ancora adesso mi fa l’occhiolino tutte le volte che la vedo spuntare all’orizzonte, qualunque sia la parte da dove sto arrivando.