Emulare d’Alembert
In un delirio presenile ho accettato di tentar di emulare Jean Baptiste Le Rond d’Alembert, l’artefice dell’Enciclopedia, scrivendo alcune voci per il dizionario del sito a cui è stato affidato il compito di raccogliere le memorie del Movimento studentesco fiorentino. Avevo già dato conto in Una voce d’enciclopedia del lemma Slogan e di Volantino in Vedi alla voce volantino , ed ora riporto qui di seguito quello che ho scritto su Potere operaio e sul 7 aprile:
Potere Operaio
Potere Operaio, in sigla P.O. e talvolta indicato come Pot.Op., è stato uno dei più importanti e influenti gruppi della sinistra extraparlamentare italiana. È stato attivo fra il 1969 e il 1973. La costituzione ufficiale del gruppo avvenne al Circolo Socialista “Faliero Pucci” di Firenze nel gennaio 1970.
Come il suo stesso nome fa comprendere, fra le varie formazioni della sinistra extraparlamentare PO, pur essendo prevalentemente diffusa nelle università ed in misura più marginale nelle scuole superiori, è stata quella al centro della cui azione politica era il mondo della fabbrica e gli operai, distinguendosi dalle formazioni che alimentavano la propria matrice ideologica nel marxismo-leninismo, nel terzomondismo di ispirazione guevarista e nell’ispirazione maoista.
Il gruppo cominciò a costituirsi intorno alla redazione della rivista “La Classe”, testata erede di “Classe Operaia”, quest’ultima fondata da Mario Tronti (ma anche ai “Quaderni rossi” di Raniero Panzieri) che, a partire dagli anni sessanta, proponeva una lettura del Capitale di Marx tesa a valorizzare la lotta di classe interna al conflitto nel mondo delle fabbriche.
Qui, secondo Tronti, operava l’operaio massa, “rude razza pagana senza ideali, senza fede e senza morale”, slegato dal controllo dei mezzi di produzione proprio della tradizione comunista del movimento operaio e del PCI che nell’operaio professionale vedeva invece il proprio bacino elettorale e il soggetto sociale di riferimento. Un operaio soggetto allo sfruttamento capitalistico e all’alienazione della catena di montaggio, emigrato dal Sud e quindi straniero, senza radici affettive e culturali.
Per Pot.Op. questo soggetto, per la sua conflittualità intrinseca verso l’organizzazione del lavoro capitalistico, avrebbe destrutturato l’impalcatura immobilistica della rappresentanza sindacale e del riformismo dei partiti della sinistra portando all’interno della fabbrica (e fuori) una lotta radicale e spontanea che, una volta indirizzata politicamente, avrebbe configurato l’inizio di un processo rivoluzionario.
«Questo processo di autorganizzazione e di “spontaneismo” delle lotte – si legge nella relativa voce di Wikipedia – prefigurava il concetto chiave di “autonomia operaia” (da cui nascerà successivamente l’omonima soggettività politica), che insieme alla formula del “rifiuto del lavoro” costituiva l’impalcatura fondamentale dell’azione politica di Pot.Op. Sulla base di questo indirizzo gli slogan più utilizzati da Potere Operaio in relazione alle lotte operaie erano appunto legati alla questione del salario e al lavoro in termini di tempo e nocività: “Più soldi, meno lavoro” e “lavorare meno, lavorare tutti”».
Del gruppo dirigenti di PO hanno fatto parte Franco Piperno, che ne è stato l’ultimo segretario nazionale a partire dal 1972, Toni Negri, per brevissimo tempo Sergio Bologna, Oreste Scalzone, Lanfranco Pace. Vi aderirono o hanno simpatizzato inoltre l’ex direttore del “Corriere della Sera” Paolo Mieli, l’ex giornalista de “l’Unità” Ritanna Armeni, Valerio Morucci e Adriana Faranda poi finiti nelle Br, Franco Berardi (Bifo) anima del Movimento del 77 a Bologna, Emilio Vesce, Francesco “Pancho” Pardi, Francesco “Cecco” Bellosi, Gianni Sbrogiò, Italo Sbrogiò, Paolo Virno, Giambattista Marongiu, Andrea Colombo, Fiorella Farinelli, Gaetano Pecorella, Enzo Traverso, Alberto Magnaghi.
In PO confluirono inizialmente, nel 1969, gruppi provenienti da Torino, Venezia e dall’Emilia. Nel giugno 1973, in seguito a contrasti tra l’area padovana vicina a Toni Negri e quella romana che faceva capo a Franco Piperno, con il “convegno di Rosolina” Potere Operaio si sciolse e parte di essa finì nella nascente Autonomia Operaia. Il gruppo ebbe un omonimo periodico: settimanale fino al 1971, per un brevissimo periodo quindicinale e poi mensile. Il giornale continuò tuttavia ad uscire fino al 1975.
Nel 1971 Potere Operaio si dotò di una struttura segreta e armata denominata Lavoro Illegale, a cui era affidato il compito di gestire tutti gli aspetti illegali delle lotte, compresa la circolazione delle armi e l’organizzazione dei servizi d’ordine negli scontri in piazza. Alcuni componenti di questa struttura si resero responsabili nell’aprile 1973 dell’incendio nel quartiere di Primavalle a Roma della casa di Mario Mattei, segretario della locale sezione del Movimento Sociale Italiano, nel quale Mattei rimase ferito e morirono i suoi due figli, Stefano e Virgilio. PO sostenne che l’incendio fosse stato causato da un regolamento di conti interno all’area neofascista, coprendo i tre militanti sospettati dell’attentato che, dinanzi alla magistratura si dichiararono innocenti. L’episodio contribuì significativamente allo scioglimento di Potere Operaio e questo alla costituzione del cosiddetto teorema Calogero che ipotizzava l’unificazione di PO con le BR e portò agli arresti del 7 Aprile.
(Rielaborazione della omonima voce di Wikipedia a cura di Daniele Pugliese)
7 aprile
Il 7 aprile 1979 il pm padovano Pietro Calogero emise 21 mandati di cattura per altrettanti esponenti di quel variegato movimento – nato sulle ceneri di Potere Operaio e di Lotta Continua – che prese il nome di Autonomia Operaia. Fra gli altri furono arrestati Toni Negri, Emilio Vesce e Oreste Scalzone rispettivamente a Milano, Padova e Roma. Molti erano docenti universitari.
L’accusa era di costituzione di banda armata finalizzata a promuovere l’insurrezione armata contro i poteri dello Stato. Di aver cioè un legame diretto con le Brigate Rosse. Il reato ipotizzato era quello di “associazione per delinquere”, fino a quel momento riservato alle inchieste di mafia.
Toni Negri fu inoltre accusato di essere stato il telefonista delle BR → durante il sequestro Moro →. Altri arresti seguirono nei restanti mesi di quel 1979 e ancora nel 1980: agli imputati furono comminati complessivamente quasi 300 anni di carcerazione preventiva.
Il processo fu diviso in due tronconi, uno a Roma per via dei collegamenti con le inchieste sulle BR e il delitto Moro, l’altro a Padova. Il processo padovano di primo grado si concluse il 30 gennaio 1986 con l’assoluzione di tutti gli imputati; in quello romano di primo grado del 1984 le accuse di Calogero furono accolte, ma caddero quasi del tutto nell’appello del 1987.
Toni Negri condannato a 30 anni in primo grado vide scendere la pena a 12 anni in secondo grado. Nel 1983 Negri fu eletto deputato per il Partito radicale. Uscito di prigione in virtù dell’immunità parlamentare, si rifugiò a Parigi beneficiando del rifiuto all’estradizione per reati politici sostenuto dalla Francia. Lì ha insegnato all’Università di Saint-Denis fino al 1997 quando, dopo un patteggiamento, è tornato in Italia scontando una pena ridotta, prima in carcere, poi in semilibertà. È stato scarcerazione nel 2003. Anche la sentenza d’appello presso la Corte di Venezia nel marzo 1988 ridimensionò considerevolmente i capi di imputazione.
L’impianto accusatorio del giudice fu battezzato “teorema Calogero”. Da molte parti il “Sette Aprile” viene considerato un momento tragico e vergognoso della storia italiana: un procedimento investigativo e giudiziario basato su pregiudizi e sulla volontà di eliminare il dissenso rappresentato da Autonomia Operaia, associandola alla violenza terrorista.
Da più parti è stato contestato l’impianto ideologico e precostituito delle tesi su cui si fondava il procedimento giudiziario, ma anche, appunto, l’intento di neutralizzare il dissenso a supporto della politica del Pci; la campagna di stampa acritica che indicò negli arrestati gli assassini di Moro arrivando addirittura a manipolare documenti e perfino immagini. In altre parole che lo Stato si rese responsabile di una repressione fondata su accuse dimostratesi false e tendenziose, provocando vittime innocenti.
In particolare pareva che più che rinvenire e perseguire i rapporti esistiti tra pezzi di Autonomia e gruppi armati si volesse addossare a Potere operaio quella paternità.
Del caso si occupò con dure parole anche Amnesty International. Lo stesso Francesco Cossiga, ministro dell’Interno negli anni bui del terrorismo, autore delle leggi speciali varate per contrastare l’escalation di violenza e ridurre la democrazia, ebbe a stigmatizzare quel processo.
Un autorevole intellettuale, Franco Fortini →, ha dichiarato che «non si trattò di un errore giudiziario ma di uno sporco atto di violenza compiuto, in solido, da tutta la classe dirigente».
Da parte sua il giudice Calogero, in un libro scritto insieme al giornalista de l’Unità Michele Sartori e allo storico Carlo Fumian (Terrore rosso. Dall’autonomia al partito armato, Laterza) ha ribadito, malgrado l’andamento dei processi, la correttezza della sua analisi e del suo lavoro: «Voglio confermarlo, sull’Autonomia operaia avevo ragione io; Autonomia e Br, pur distinte, erano collegate in un vero e proprio “partito armato”, dotato di una struttura di collegamento ad hoc».
Daniele Pugliese
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