La scuola elementare

Via Solferino a Milano

Tratteggiando la figura del nuovo direttore del prestigioso Corriere della Sera, Carlo Riva su Prima comunicazione, il mensile che legge chi si occupa di informazione, pubblicità, comunicazione, editoria e dintorni o non può far a meno del gossip riguardo quarto e quinto potere, scrive che il gran giro di nomine in via Solferino «ha messo in evidenza il numero non indifferente di giornalisti che hanno avuto un passato consistente all’Unità e adesso hanno ruoli di potere, a partire dal direttore, all’interno del Corriere della Sera, simbolo dei simboli di quella borghesia produttiva a cui un tempo da militanti comunisti avrebbero altrettanto simbolicamente tagliato la testa. Ironia a parte – prosegue Riva – è la dimostrazione di come ai bei tempi l’Unità seppe qualificarsi come una vera e propria scuola di politica e giornalismo e di come alcuni dei suoi allievi migliori siano riusciti a presentarsi, una volta ripuliti dal passato ideologico, tra i migliori giornalisti sulla piazza».

A cominciare infatti da Luciano Fontana – adesso al posto di Ferruccio De Bortoli che un tempo fu di Luigi Albertini, ma soprattutto, mi vien da dire, è stato di Piero Ottone –, l’articolo di Riva cita numerosi ex colleghi de l’Unità: Roberto Gressi, Monica Sargentini, Giampaolo Tucci, Antonio Polito, e Maurizio Fortuna –con cui ho condiviso alcuni mesi di notti mezze in bianco in via Borgo San Pietro a Bologna – lasciandone per strada altri, di minor o maggior pregio, uno per tutti, che stimo molto, Fabrizio Roncone, abilissimo e garbato tessitore di interviste a domanda e risposta, ma anche Marco Demarco e Antonio D’Orrico.

Ad onor del vero andrebbero ricordati anche gli altrettanti approdati a Repubblica – Michele Smargiassi, Jenner Meletti, Angelo Melone, Massimo Razzi, Vittorio Ragone, Michele Bocci, per dir quelli che spuntano per primi alla memoria, e quelli finiti in Rai, uno per tutti Franco di Mare, a l’Espresso, Luigi Vicinanza, ovviamente al Fatto quotidiano.

Senza giungere alla carta bollata, come invece un suo collega a cui evidentemente ha fatto le scarpe, Luciano Fontana è rimasto in un silenzio tombale quando ho avuto occasione, a Roma, molto tempo fa, di manifestargli l’amarezza per non aver mai risposto ad una mia lettera, e sarebbe bastato solo dire mi spiace non posso, o quel garbato “la terrò a mente” con cui assai prima Paolo Mieli mi mise in un limbo dal quale non mi è stato più possibile uscire. Per questo non me la sono sentita in quest’occasione di fargli le congratulazioni.

Mi avvicino alla pensione e non coltivo più, dopo i calci presi nei testicoli, ambizioni di una carriera che considero felice, gratificante, dignitosa e sostanzialmente conclusa, anche perché non mi piacciono affatto questi politici divenuti editori privi di competenze in materia che qua e là nominano direttori pro-tempore a dimostrazione di non saper scegliere e che continueranno a non saperlo fare, malgrado abbiano in mano i destini, se non nostri, del nostro paese.

E tuttavia, lo confesso, mi riempie di orgoglio leggere quel brano dell’articolo di Riva e sapere che siamo stati una buona scuola di giornalismo.

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