Kultur – Civilisation
Nei commenti che ho letto durante i giorni più drammatici della crisi economico-politica greca, quando in molti si sono schierati contro il rigore tedesco o, dietro di esso, contro il tornaconto e la gelida contabilità bancaria sovranazionale, il capitalismo finanziario globalizzato, ho colto riferimenti alla storia e alle origini culturali del continente a cui abbiamo dato un parlamento con doppia sede, una parvenza di governo non democraticamente eletto ed un’incerta intelaiatura di norme e regolamenti, ma mi è sfuggito il richiamo ad un tema che per decenni, secoli anzi, ha scandito il dibattito ideologico concettuale dagli Urali alle spiagge sull’Atlantico: la contrapposizione tra Kultur e Civilisation.
La contrapposizione fra germanica Kultur e francese Civilisation risale al periodo immediatamente successivo alla Rivoluzione del 1789, a quando Napoleone occupò gli Stati tedeschi, ma dietro la parvenza di una rivalità nazionalista o di un desiderio di primato militare, egemonico, di potere di entrambe le fazioni, cela vedute diametralmente opposte cristallizzate in quei due schieramenti e nelle loro tradizioni salienti, ma in realtà trasversali, quasi genetiche, potenzialmente presenti in ambo le regioni, forse solo prevalenti nell’una o nell’altra, così come nel carattere di individui e gruppi di individui presenti di qua o di là dal Reno, il fiume che per un certo tratto separa i due paesi.
La Civilisation, o Zivilisation come la definiscono in Germania, è fatta di incivilimento, democrazia, diritto di voto, alfabetizzazione universale, intelligenza dell’uomo e saggezza dei governi, miglioramento dei costumi, fiducia nel progresso e quindi nella scienza e nella tecnica. È razionalismo, illuminismo e infine anche giacobinismo e incarna appunto, a detta dei tedeschi, lo spirito francese.
La Kultur, invece, ha un forte richiamo nella natura, nella religione, nelle tradizioni, nel sangue, nella terra e nella razza, in ciò che conserva un senso all’individuo facendolo sentire inserito in un gruppo compatto – la comunità, il villaggio, la chiesa, l’esercito, lo Stato – anziché isolato nel corpo sociale, pur con le sue formali regole di convivenza e salottiera condivisione.
Lo spessore di quella contrapposizione – proseguita ben oltre il secolo dei Lumi, la messa a punto della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, le Restaurazioni imperiali e monarchiche – traspare chiarissima in capolavori della letteratura tardo ottocentesca e primo novecentesca, tra cui Le memorie dal sottosuolo di Fedor Dostoevskij, La montagna incantata di Thomas Mann, e fa da supporto non solo alla propensione per un lato o l’altro della medaglia del progresso – quello che lo vede inevitabile, lineare, in continua, implacabile, inarrestabile ascesa e quello che, invece, ne sospetta i possibili arresti, gli inceppamenti, l’affacciarsi delle crisi e delle apocalissi addirittura – ma anche a teorie della storia fatalmente destinate a contare sempre con il segno + davanti, oppure soggette ai tramonti, ai declini, agli autunni, alla fine, o anche, ciclicamente altalenanti, votate all’eterno ritorno.
Sull’uno o l’altro fronte si sono in passato schierati anche eserciti di pensatori tesi a privilegiare la ragionevolezza, la solidarietà, l’universalismo o di contro la propensione al nulla, l’abbandono, il fascino della decadenza o anche all’autoritarismo, alla sopraffazione, all’odio sociale, razziale, nazionale. Con maggiore o minore enfasi ma da ambo i lati, immaginando per astratto che siano due soltanto.
E in questo magma di spinte sono allignate ovviamente anche tendenze a privilegiare l’importanza della tradizione spirituale, narrativa, filosofica, artistica a scapito di quella istituzionale, politica, ordinamentale, statuale, economica, geografica, o, anche qui, a mescolamenti dei due poli.
Paradossalmente la Germania questa volta sembra aver indossato i panni del francese, di quello che dice che non c’è una radice comune, un dna antico di divinità protettrici del sole o della vite o dell’eros, alberghino sull’Olimpo o in un bosco di larici, e invece una meta da raggiungere dettata dalla ragione e dalla colonna dei profitti.
Ma paradossalmente anche i pensatori europei, indipendentemente dalla loro città di residenza, non hanno colto questo tradimento, questo distacco dal sangue della terra, dalla coesione religiosa, dalla compartecipazione ai medesimi archetipi per quanto camuffati da culture e civilizzazioni ognuna delle quali nel corso dei secoli ha preso la sua piega, rimanendo debitrice all’altra.
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