Das Vorurteil, il pregiudizio

Eike Schmidt

Dici nazismo e la condanna dei tedeschi è immediata. La condanna del loro Dna, quasi più che della generazione responsabile di quell’atrocità per la quale si macchiò orrendamente.

È successo, può succedere ancora, ammoniva Primo Levi invitandoci a non dimenticare, ed è doveroso ascoltare quel monito oltre che proficuo, perché quel che succede oggi a uno, domani può succedere a un altro, e se non son io per me chi sarà per me, e se non così come, e se non ora quando?

Ma spostare il pregiudizio – das Vorurteil, in tedesco – razziale da chi fu vittima di quegli scempi a chi li commise merita un non minore monito e, soprattutto, la capacità di tener alta la guardia, di non smettere mai di osservare e farsi domande.

Non sono naturalmente in grado di dire se il nuovo manager degli Uffizi, Eike Schmidt, possiede e in che misura i titoli per ricoprire quel ruolo, se sarà in grado o meno di far quello che ragionevolmente sarebbe richiesto a chi maneggia un così grande patrimonio, né se saranno invece, come temo, i lacciuoli entro i quali sarà costretto ad operare quanto gli impedirà di avere successo, ma certamente trovo sciocco chi pensa che un non italiano non possa misurarsi con la sfida e gravissimo che si disprezzi a priori il fatto che quel non italiano sia tedesco.

Affiderei la Scala o il Maggio a Bach, Beethoven, Mozart, Wagner e Mahler, tutti tedeschi o al più austriaci, comunque germanici, a Brecht il festival di Spoleto, e mi ingegnerei di trovare un ruolo di prestigio per Thomas Mann, Robert Musil, Arthur Schnitzler e anche Joseph Roth, che quantunque ucraino e poi adottato francese, è a pieno titolo uno scrittore di lingua tedesca.

Certo non mi piace la politica della Merkel, non mi piace che la sacrosanta e indiscutibile autodeterminazione dei popoli sia a scartamento ridotto nel caso della Grecia, ma detesto ancor più un capitalismo finanziario più anarchico degli anarchici ch’erano senza dio, Stato, Nazione, padrone e certamente globale, non teutonico, dove se non altro alla Volkswagen un po’ di solidarietà tra lavoratori e qualche reminescenza di welfare c’è.

E temo questo antigermanismo crescente, strisciante e crescente, dinanzi al quale meriterebbe ricordare quanto influì nella nascita del Nazionalsocialismo e nel consenso che ben presto gli fu tributato proprio il disprezzo diffuso verso la Germania dopo la Prima Guerra Mondiale, quel clima di comprensibile, ma smisurata, punizione, a cui i tedeschi furono sottoposti e la diffidenze che crebbe in Europa nei loro confronti.

E merita anche ricordare quanto contribuirono ad armare Hitler le democraticissime Francia, Inghilterra e, poi, Stati Uniti, più attente ad arginare gli ostacoli al profitto propugnati dai bolscevichi che non il delirio di un popolo nel quale maturava incontrollato il delirio antisemita e la convinzione della superiorità di una razza.

I pregiudizi – di qualunque natura siano e verso chiunque siano rivolti – sono deleteri, stupidi e deleteri, il più delle volte anticamera di vere e proprie alterazioni psichiatriche. Da essi – uber alles – ci si deve guardare.

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