Lo speechwriter
Ben Rhodes, “speechwriter” per la politica estera di Barack Obama, del suo mestiere – che è quello di scrivere discorsi per conto di altri – dice in un’intervista rilasciata oggi a Massimo Gaggi del Corriere della Sera: «un’attività che ti porta a stretto contatto col tuo capo. Devi conoscere bene la persona perché fai qualcosa di molto personale: esprimi i suoi pensieri, comunichi la sua visione. Un’esperienza unica».
Ho avuto occasione, nella mia vita – mutatis mutandis o fatte le debite proporzioni – di praticare quella professione, affiancandola a quella di tenere rapporti con i media, trovare il modo migliore per raccontare loro fatti, azioni, decisioni, pensieri della politica e della macchina amministrativa, e per buona parte degli anni in cui ho ricoperto quel ruolo sul muro dietro alla mia scrivania spiccava una frase di un geniale autore che amo molto, Karl Kraus: «Non avere un pensiero e saperlo esprimere, è questo che fa di uno un giornalista».
Verità indiscutibile, di cui andar fieri quand’è davvero così e non si fa la professione perché si bada solo alla fama.
Verità indiscutibile in cui c’è una falla, una piccola smagliatura che merita di essere notata prima che si tramuti in uno sbrano non rammendabile, nel caso in cui, anziché ragionare di un giornalista, lo si faccia di uno speechwriter o, come più comunemente viene chiamato, di un ghostwriter, scrittore fantasma, che sta nell’ombra e di cui non si deve conoscere l’identità, ipotizzando che le parole pronunciate siano da attribuire a chi le vocalizza.
Nel caso dello speechwriter bisognerebbe dunque dire: «Non avere un pensiero ed essere costretti a trovarlo, è questo che fa di uno un ghostwriter».
Sia chiaro: dipende da chi è la persona per cui si lavora, non solo dagli impegni che ha, ma anche dalla sua formazione, dalla sua maturità, dalla sua stoffa.
Ho avuto chi mi dava il compito: all’incirca voglio dire questo, trova tu il modo più appropriato. Un politico onesto, preparato e coraggioso, ancor oggi capace di difendere le proprie impopolari e per lui penalizzanti opinioni. Con il quale il contraddittorio era considerato ricchezza, non fastidio, possibilità di prevenire le eventuali obiezioni, non una antipatia preconcetta, anzi.
E ho avuto a che fare con chi, invece, gli avevano detto che avrebbe dovuto parlare, scrivere, intervenire, commentare, rilasciare un’intervista e lui non sapeva da che parte iniziare, essendo sempre stanco, tanto stanco, come è inevitabile sia un uomo sulle cui spalle sta tutto il mondo ed a cui si affidano i propri destini e vorrebbe solo riposare sulle note del Mattino di Edvard Grieg.
No Mr. Rhodes, non tutti sono Obama che, come dice lei per otto anni al suo fianco, «l’ho visto letteralmente invecchiare davanti ai miei occhi», che, malgrado lei si fosse accinto a scrivere che dire, decise «di esporsi in prima persona».
Può capitare che del capo non ci siano, come invece lei sostiene, pensieri da esprimere, non ci sia una visione da comunicare, ma si debbano inventare entrambe, tirarle fuori dal cilindro. E pensi, Mr. Rhodes,cosa succederebbe se, in un caso del genere, lei fosse un farabutto psicopatico!
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