Capolavori montabili
Linkiesta.it è un giornale digitale che – si legge nella presentazione del sito – «intende dare spazio nella produzione editoriale ad una nuova generazione di commentatori, provenienti dalle associazioni, dall’università, dalla scuola e dalle professioni, che oggi, purtroppo, non hanno spazio sulla stampa tradizionale».
Effettivamente spesso si occupa di notizie, argomenti e questioni altrove trattate in maniera irrilevante se non del tutto assenti, anche se, leggendolo, a volte si ha un’impressione di un certo “per sentito dire” che un tempo nella stampa tradizionale era marginale, oggi sempre più presente e ingombrante anche lì.
Nei giorni scorsi ha pubblicato un articolo davvero molto curioso. Il critico letterario tedesco Hellmuth Karasek avrebbe recensito uno dei libri “più diffusi al mondo” del quale, tuttavia, finora nessuno aveva scritto o detto qualcosa che ne analizzasse linguaggio, stile e trama.
Il “best seller” – 212 milioni di copie scritte in svedese, tradotte in 29 lingue e diffuse casa per casa oltre che in 345 centri di vendita di 42 paesi anche negli Stati Uniti, in Canada, in Asia e in Australia, ma prevalentemente in Europa, dove la ditta realizza il 70% del suo fatturato – si intitola It’s the Little Things That Matter, sono le piccole cose quelle che contano ed è il catalogo dell’Ikea, quello che magnifica le calde doti del piumino Blekvide, la consistenza della cassettiera Hurdal, il risparmio energetico della dinoccolata lampada a led Urshult e via discorrendo di altre centinaia di prodotti.
Trattati come se fossero la punteggiatura pressoché assente in José Saramago, il pessimismo e il pessimismo cosmico nelle varie stagioni della produzione letteraria di Giacomo Leopardi, le influenze di Joseph Conrad nei racconti di Primo Levi.
Ma anziché commissionato dalla Cambridge University o da Gallimard il saggio critico di Karasek – che probabilmente si avvale di strumenti metodologici analoghi a quelli messi a punto da un Alberto Asor Rosa o da un Sebastiano Timpanaro o da un Benedetto Croce o da un Natalino Sapegno – ha come sponsor la grande catena di mobili scandinavi che molti amano per le polpette con patate lesse e salsa di mirtilli o il salmone affumicato commestibili al self service del centro commerciale il cui spirito, si legge in un altro articolo ispirato da Max Weber, è animato niente popo’ di meno che, come il capitalismo, da l’etica protestante.
Non si tratta però, spiega Linkiesta.it, di un panegirico, di lodi sperticate al mecenate, di pubblicità ingannevole, perché Karasek, avvalendosi ovviamente di citazioni dotte e autorevoli riferimenti, si prende l’ardire di disprezzare quel «genere di libri, che sgomitano per entrare nella nostra vita, che ci dicono come dobbiamo vivere, come dormire e come non dormire», e dove «i personaggi sono schiacciati dall’arredamento, le loro parole e le loro espressioni sono compresse».
Non una stroncatura, sia chiaro, ma quelle ormai non le fa più nessuno da quando nelle case editrici sono entrati quelli che prima vendevano pelati o auto usate e nelle redazioni dei giornali che ha scelto questo mestiere solo per aver la tessera gratis allo stadio.
Poi, naturalmente c’è la recensione de Linkiesta.it a Karasek che recensisce il catalogo Ikea – il quale si legge in un altro articolo per il 75% impiega immagini generate al computer e altera perciò la realtà – e la mia alla recensione de Linkiesta.it, in un gioco di specchi che meriterebbe l’analisi di un critico letterario attento alle leggi del mercato e alla psicologia contemporanea.
Negli approfondimenti connessi all’argomento in questione a cui rimanda l’articolo si può peraltro apprendere che le prime lettere del nome del suo fondatore (Ingvar Kamprad) e della fattoria e del villaggio in cui abitava da ragazzo (Elmtaryd e Agunnaryd) hanno dato vita al nome Ikea, e quali procedimenti analoghi sono all’origine dei nomi delle aziende (qui), come per esempio il fiume Nokia che scorre vicino alla segheria oggi divenuta uno dei giganti mondiali della telefonia.
Proprio nei giorni scorsi ho visto su Facebook un’istruttiva vignetta che mostra i loghi di quattro ditte famose e le foglie di quattro alberi chiedendo chi sappia dire a chi appartengono i primi – facilissimo – e le seconde, test che credo darebbe risultati analoghi anche con oggetti più consuetudinari, delle foglie del bosco ma meno martellati dei marchi alla moda.
Ma per tornare al colosso svedese va segnalato che sempre in rete sul sito www.change.org è appena comparsa una davvero bizzarra petizione su cui meriterebbe aprire un dibattito: quella per agevolare consegna e montaggio dei mobili Ikea a favore dei disabili.
Per concludere, dopo aver reso omaggio ai redattori che certamente esisteranno per compilare quelle pagine che non sono fatte di sole immagini e della cui schiera non mi dispiacerebbe per un po’ di far parte portando un tocco personale a quei testi, vorrei affermare che io non trovo affatto così scemo, prescindendo dall’intento da persuasore occulto, recensire un catalogo, a partire da quello illustre esibito da Leporello dopo aver tergiversato discettando sul fatto che il quadro non è tondo, per giungere ad altre mirabili opere contenenti questa parola nel titolo o strutturate a mo’ di questo genere di pubblicazione. In gioventù ho scritto un racconto su un volantino pubblicitario e Umberto Eco ci ha aperto orizzonti di cazzeggio dotto illimitati. Anzi, bisognerà che un giorno o l’altro mi cimenti. Appena avrò imparato l’ugrofinnico e il Finnegans Wake.
Tags: Alberto Asor Rosa, Giacomo Leopardi, José Saramago, Joseph Conrad, Primo Levi, Sebastiano Timpanaro, Umberto Eco