La città della scienza 1.2.

Il laboratorio dietro l’angolo

La città della scienza 1.2.

È un lato nascosto della città. Scoprirlo, per un turista o per un fiorentino distratto, può avere lo stesso fascino di un tour nei vicoli più bui del centro, dove c’era il ghetto finché la città non divenne capitale dello Stato unitario. La Firenze scientifica non è così piccola come può sembrare a chi è abituato solo a vedere i marmi del Battistero, le tele del Botticelli, le vetrine di Gucci.

Università, Cnr, musei, biblioteche, l’osservatorio di Arcetri, accademie e istituzioni più o meno antiche che hanno svolto un ruolo importante nella divulgazione, aziende che producono merci ad alta tecnologia, sofisticati macchinari pieni di elettronica, sostanze chimiche capaci di dare risposta alle malattie più brutte dell’umanità.

La città della scienza è sparpagliata ai quattro punti cardinali, è radicata nel centro storico, s’inerpica sulle colline, lambisce le sponde del fiume, si estende nei progetti che, alle soglie del Duemila daranno a Firenze il volto di metropoli.

Ma che cos’è questa città della scienza?

È il museo di storia della scienza e l’istituto ad esso annesso, dove è stato raccolto uno dei patrimoni più ricchi del mondo di strumenti scientifici. Lenti, sestanti, termometri, macchine rudimentali con cui hanno lavorato i protagonisti della “rivoluzione scientifica”, di quel movimento prima sotterraneo poi vincente che a cavallo del Seicento ha posto le basi del mondo moderno, i fondamenti di una società che non può fare a meno di sapere sempre più cose sull’infinitamente grande e sull’infinitamente piccolo, sull’universo che ci circonda e sui misteri del nostro corpo, sulle particelle dell’atomo e sul movimento degli astri.

Il museo di piazza dei Giudici è solo il più famoso. Ma il patrimonio di Firenze è ben più ampio. C’è la collezione dell’Istituto tecnico Salvemini in via Giusti. Anche lì macchine e strumenti d’inestimabile valore. Il Museo di Storia naturale dell’Università di Firenze con le sue sei sezioni che dovrebbe essere raccolto nell’area dei Macelli.

E ancora molte cose presenti allo Stibbert, se si considera che anche le armi sono state un brutto capitolo della storia della scienza.

Ma non si possono dimenticare l’Istituto Agronomico per l’Oltremare dove piante e animali di paesi lontani sono stati raccolti prima durante la vergognosa parentesi del colonialismo, poi durante l’opera di cooperazione svolta dall’ente; l’Osservatorio Ximeniano, dove gli strumenti per conoscere il tempo e le condizioni atmosferiche si sono accumulati dal 700 ad oggi; l’Istituto geografico militare dove l’arte dei Vespucci e dei da Verrazzano di tracciare i confini del mondo conosciuto si è tramandata con l’intento di disegnare carte e mappe che servissero gli eserciti.

Fin qui i santuari dove è stata raccolta con meticolosa passione la strumentazione scientifica con cui abbiamo costruito il nostro mondo moderno. Il patrimonio della città in questo campo è ricchissimo e non ha molto da invidiare alle collezioni di quadri, sculture, arazzi, disegni. Per alcuni di essi c’è un progetto di “riunificazione”, l’idea di far nascere una sorta di Villette, l’area scientifica di Parigi.

Ma i musei non bastano per fare una città di scienza. Ci vogliono gli scambi fra gli scienziati, fra quanti più scienziati è possibile, senza confini, senza steccati. La scienza, senza “pubblicazione” dei risultati raggiunti, è ermetismo, ricorda i circoli esoterici, le cantine della magia. Come ricordano gli storici del pensiero scientifico e filosofico, la scienza è solo quando si danno “le perle in pasto ai porci”, quando cioè si schiudono le porte dei laboratori alla gente, quando gli altri scienziati hanno modo di constatare, verificare, obiettare teorie ed esperimenti partoriti.

Ed ecco allora le accademie, quei luoghi d’incontro e di scambio di conoscenze, nati proprio a Firenze. Tante hanno col tempo privilegiato gli interessi letterari, ma quasi tutte sono nate per il confronto fra cultura umanistica e cultura scientifica: La Crusca, i Georgofili, il Viesseux, la Colombaria. Accanto a nomi così antichi e prestigiosi, almeno uno dell’ultimo decennio, ma altrettanto autorevole: il Centro fiorentino di Storia e filosofia della scienza, organizzatore di convegni che hanno fatto parlare gli specialisti di mezzo mondo in campo filosofico e scientifico. Istituzioni finalmente catalogate in una pubblicazione della Olschki a cura del professor Francesco Adorno.

Poi l’Università, il luogo deputato alla ricerca e alla trasmissione del sapere. Accanto a questa il Cnr, l’altro polo ufficiale per scoprire, per svelare i misteri, per conoscere sempre di più. Firenze ospita diversi istituti del Cnr: l’Istituto per lo studio delle onde elettromagnetiche, l’istituto di ottica, l’istituto per l’elettronica quantistica. Tre campi forti della ricerca a Firenze, tre branche fondamentali della fisica moderna. Accanto all’Iroe, all’Ino e all’Ieq, il Cnr a Firenze ha anche altri istituti di ricerca avanzata. Uno per tutti quello dove si studia l’entomologia agraria, in altri termini la possibilità di far fare agli animali quello che per troppo hanno fatto i pesticidi sulle piante.

Elettronica quantistica, onde elettromagnetiche, ottica. Dunque lenti e fibre ottiche, laser e impianti per le telecomunicazioni, radar e telecamere a raggi infrarossi. Passate da Firenze Nova e lì, accanto ai laboratori di ricerca del Cnr, troverete aziende che, con alterne vicende legate più alle dinamiche dell’imprenditoria e della finanza che non a quelle dell’ingegno e della fantasia, producono strumenti sofisticati, macchine avveniristiche. Dietro a quelle produzioni c’è ricerca, ricerca applicata, bisogno continuo di portare innovazioni tecnologiche nella catena di montaggio. La Galileo, la Nuovo Pignone, la Ote telecomunicazioni, la Esaote Biomedica, la Sma, la Valfivre, per citarne solo alcune, forse le più famose.

Qui è la fisica che fa da infaticabile trascinatore della ricerca, ma all’altro capo della città ecco la chimica e la biologia. Un palazzo anonimo lungo la ferrovia, dall’altro lato della stazione del Campo di Marte. È la sede della Menarini, la più potente delle tante aziende farmaceutiche fiorentine. Anche lì c’è ricerca, ci sono uomini col camice bianco, laboratori con provette e centrifughe elettroniche, bilance capaci di pesare quantità infinitamente piccole di una sostanza.

Se in via Sette Santi usano il microscopio, a pochi chilometri in linea d’area l’occhio è fisso dentro a un telescopio. Sulla collina di Arcetri, dove Galileo puntava le sue rudimentali lenti per scoprire che solo la luna gira intorno alla terra e non tutti i pianeti compreso il sole, si guarda ancora nel cielo. O più esattamente si fa il calcolo su quello che altri telescopi, sparsi nel mondo, dicono ai computer. L’universo si è dilatato, il cielo di Firenze non è più quello che avvolgeva le notti di una società dedita a chiedere abiure ai geni. Ma gli astronomi a Firenze sono rimasti e guardano molto più in là.

Accanto a loro presto lavoreranno fisici di tutta Europa e molti anche provenienti da altre parti del mondo. Sempre ad Arcetri sta per nascere un centro di ricerca paragonabile, se non per dimensioni senz’altro per importanza, al Cern di Ginevra. È il laboratorio europeo di spettroscopia non lineare, un centro dove si studierà la struttura della materia servendosi di uno degli strumenti più affascinanti dell’epoca moderna: il laser.

Strutture pubbliche e strutture private e spesso un intreccio fra le due sfere. Da un lato il bisogno di trasferire nell’industria, in quella meccanica come in quella chimica, le scoperte, le tecnologie, le conoscenze della ricerca pura. Dall’altro il bisogno della ricerca di servirsi del prezioso lavoro, spesso frutto di una sorta di moderno artigianato ultraspecialistico, come quello delle botteghe che molavano le lenti con cui Galileo scrutava il Sole, affinato però in aziende ad alta tecnologia che hanno fatto conoscere il proprio nome in tutto il mondo.

E ancora, è il caso del centro per lo studio sull’Alzheimer diretto dal professor Amaducci dove si sta conducendo un lavoro per la Comunità economica europea, la necessità di snellire un’organizzazione di ricerca, di svincolarla dai legami spesso troppo burocratici che si registrano nell’Università; necessità raggiunta appunto con la sponsorizzazione dei privati.

Intanto nelle tipografie, abbandonata la linotype a favore del videoterminale, si continuano a comporre pagine con formule matematiche, testi dove le parole del vocabolario umanistico sono sostituite da un linguaggio altrettanto affascinante di cui diciamo solo qualche parola: velocità della luce, emoglobina, terapia genica, polimorfismi, byte, corpo di massa. Firenze ha un’antica tradizione nelle arti tipografiche e alle soglie del duemila i libri non possono non occuparsi di scienza e tecnologia.

Come si muovono allora le case editrici fiorentine nel mondo della scienza? Anche a questa domanda proveremo a rispondere nel corso di questa inchiesta con cui cercheremo di tracciare, attraverso le parole dei protagonisti, degli scienziati e dei ricercatori, dei responsabili delle aziende, degli uomini di cultura, il volto di una città che è anche città di scienza.

L’Unità, venerdì 25 novembre 1988

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