La città della scienza 6.2.
Franco Pacini. All’Osservatorio di Arcetri ricercatori da tutto il mondo
La città della scienza 6.2.
Che Franco Pacini, direttore dell’Osservatorio astrofisico di Arcetri sia uno scienziato internazionale non c’è dubbio. Trovarlo nel suo studio sulla collina dove Galileo Galilei scrutava il moto dei pianeti non è cosa semplice. Ora è in Giappone a studiare gli ultimi dati sulla Supernova, domani è negli Stati Uniti a confrontarsi con i suoi colleghi di Palo Alto.
Ma è altrettanto internazionale l’Osservatorio che dirige? E quelle cupole e quelle antenne alle spalle del piazzale Michelangelo, sono strumenti che ci dicono ancora qualcosa sull’universo o sono solo più vecchi cimeli, una sorta di appendice all’aperto del Museo di storia della scienza di piazza Giudici?
Lasciamo parlare Pacini, in uno dei suoi giorni fiorentini.
«Oggi – dice – ci sono ad Arcetri un associato svizzero che sta qui per due anni, un fisico americano per due mesi, un altro, sempre statunitense, ospite per due settimane, il direttore dell’osservatorio di Princeton che sta qui quattro mesi. Ah, un altro fisico di Los Alamos che si ferma per un anno. E devono arrivare un cinese, una messicana e un olandese. Il primo starà un anno, la seconda due, il terzo non me lo ricordo più».
Dunque Arcetri è conosciuta nel mondo?
Negli elenchi internazionali, stia pur certo, noi ci siamo. E quelli che vengono qui lavorano.
Insomma, si può fare anche in Italia ricerca internazionale?
Guardi, l’aspetto internazionale nella ricerca è indispensabile. E se gli istituti funzionano, se ci sono i calcolatori, i laboratori, colleghi che hanno qualcosa da dire, la gente ci viene qui. Vuole una prova? Su un’ottantina di pubblicazioni che Arcetri ha fatto nel 1987, più della metà sono in collaborazione con studiosi stranieri.
Allora ci sono le forze per essere città di scienza?
La città è bella, di per sé è un’attrattiva. Poi ci sono istituti che lavorano, che negli ultimi tempi hanno dimostrato un nuovo dinamismo. Queste sono carte da giocare. Ma sia chiaro: non si fa una città di scienza moltiplicando ulteriormente i tanti convegni medici e scientifici che si tengono a Firenze. Che cosa lasciano? Hanno senso solo se sono attività che entrano nel giro.
”Istituti che hanno dimostrato un nuovo dinamismo”, diceva. A cosa pensa?
Penso a quello che è stata la fisica a Firenze negli anni 20-30, a quello che era dieci anni fa, a quello che è ora. Prima del fascismo abbiamo avuto la miglior fisica italiana: Fermi, che poi è passato a Roma, Bernardini, Bruno Rossi, Occhialini, Gatto. Quell’ambiente è crollato con le leggi razziali, con il disgusto che molti hanno provato per quel regime. A Firenze rimase solo l’osservatorio di Abetti e l’Istituto di ottica di Ronchi. Quando io sono arrivato a Firenze, dieci anni fa, molte cose languivano. Penso all’Istituto di fisica, all’Iroe. Si discuteva se era giusto o no far venire gente da fuori. Mi ricordo il caso di Arecchi. Poi le cose hanno cominciato a muoversi ed ecco oggi il dinamismo del professor Blasi a fisica, l’Istituto di ottica che è di tutto rispetto, e l’ultimo rilancio: il laboratorio di spettroscopia non lineare di Califano.
Sono questi i settori forti della ricerca a Firenze, diciamo le sue “vocazioni” acquisite?
Certamente. I settori che si sono sviluppati sono quelli che hanno avuto la possibilità di avere istituti autonomi. L’università non è stata un punto di sviluppo, perché non ha capito.
Parliamo dell’Osservatorio. Che cosa fa?
Arcetri ha quattro tipi di attività: quello tradizionale nello studio del sole che è un terzo del totale delle nostre attività. Lo strumento più avanzato in questo campo è ad Arcetri, la torre solare. Un altro lo impianteremo alle Canarie con i tedeschi. Poi c’è la formazione delle stelle, la radioastronomia. Collaboriamo con Bologna per un’antenna da 32 metri vicino a Bologna ed un’altra in Sicilia. La terza attività è quella dell’astronomia all’infrarosso, che sta diventando la nostra specialità. Lavoriamo con un telescopio all’estero, a Gornergrat a 3.200 metri di altezza. Ora istalleremo anche uno spettrometro. È un programma nazionale di ricerca che viene usato anche da ricercatori stranieri.
E l’ultima attività?
È quella delle ricerche osservative e teoriche. Per esempio sulla supernova e sul comportamento della materia. Usiamo strumenti internazionali, un telescopio in Cile, dei satelliti. Ma c’è anche il nostro “superprogetto”.
Di che si tratta?
Di un telescopio da 11 metri che nascerà negli Stati Uniti per una collaborazione tra noi e le università dell’Ohio, dell’Arizona, di Chicago. È uno dei progetti Columbus per il quinto centenario della scoperta dell’America, ma credo che slitterà di qualche anno.
Perché dice “superprogetto”?
Perché il più grande telescopio che esiste oggi al mondo, un telescopio sovietico, è di 6 metri. Il famoso Palomar è di 5. Il nostro avrà 2 specchi di 8 metri che lavoreranno combinati. L’Italia vi partecipa con un finanziamento di 20 miliardi del Ministero della pubblica istruzione. Noi ci occuperemo della parte meccanica, gli americani di quella ottica. So che per quanto riguarda la strumentazione la Galileo sta cercando di entrare nel progetto.
Ecco, la Galileo. Che mi dice dei rapporti tra ricerca e industria?
Che la ricerca di base non ha sempre una ricaduta sull’industria e sbaglia chi pensa che invece debba essere sempre così. Le aziende devono sapere che non si arricchiscono producendo per la ricerca, ma che il loro guadagno deriva dall’acquistare competenze da usare altrove.
Professor Pacini, non crede che i vari protagonisti di questa scienza fiorentina potrebbero essere valorizzati se avessero un coordinamento tra di loro, se, per così dire, si associassero pur nella loro autonomia?
Sono diffidente. Sono convinto che un coordinamento significherebbe solo sterili riunioni, ulteriori perdite di tempo. Il fatto è che qui non esiste un’università nel senso letterale della parola: universitas. Non esiste il campus, dove si fanno dei bollettini settimanali che informano i ricercatori delle varie discipline delle conferenze che ci saranno nei vari istituti nei prossimi giorni. Il problema della valorizzazione della scienza fiorentina è un altro: è il riconoscimento nazionale di quello che si fa qui.
E del progetto dell’assessore Morales di fare nel 1989 l’anno di Firenze capitale della scienza che ne pensa?
È la dimostrazione che c’è un discreto fervore di iniziative, che si comincia a parlare di Firenze non solo come di una città letteraria.