Ambizioni giovanili
Col senno di poi – e l’aiuto di un poderoso archivio coltivato nel corso degli anni – vien da pensare che fosse già un sogno in età giovanile, quando, corrispondente del Manifesto da Firenze, veniva baldanzoso e gioviale in visita alla redazione de l’Unità, in via Alamanni, tentando di copiare – sì ho proprio scritto copiare – uno almeno degli articoli che qualcuno di noi aveva già scritto ed aspettava di essere trasmesso a Roma per finire in pagina.
Già perché nel lontano maggio del 1987 – ad un mese dall’uscita del settimanale Anteprima, Pariscope o Time out fiorentino, pensato da Andrea Lazzeri, voluto da Gabriele Capelli e messo in mano a me perché fosse scritto, impaginato, illustrato e stampato alla tipografia Cesat di via Faenza – su un periodico a suo stesso giudizio mirato al medesimo bacino d’utenza, Metrò, scrisse un articolo intitolato Unità vo cercando che raccontava di come da poco sotto la testata del quotidiano fondato da Antonio Gramsci – ma a questa “nobile” genealogia nemmeno un accenno – fosse scomparsa la parola “organo” con cui per lungo tempo si era rimarcata non solo la proprietà del giornale, ma anche il suo scopo – la sua mission direbbero oggi – quello di essere la voce ufficiale del Partito comunista italiano.
In realtà, e ad onor del vero, era ancora una fase intermedia, quella appunto in cui – a rigor di date sotto la direzione di Gerardo Chiaromonte – fu sostituito solo “organo” con “quotidiano”, non ancora “del Partito comunista” con “fondato da Antonio Gramsci”, per la cui correzione si dovrà attendere la svolta della Bolognina e l’inizio di una desolazione che oggi è sotto gli occhi di tutti, non a caso pochi la vedono.
In quell’articolo dell’87, a muro di Berlino ancora in piedi, facendo parlare Gabriele Capelli e l’intramontabile Renzo Cassigoli, si dava conto del rinnovamento grafico del giornale affidato a Pier Giorgio Maoloni – con cui ho avuto l’onore ed il piacere di lavorare proprio per ridisegnare Anteprima prima di dedicarmi interamente al quotidiano, escogitando la rivoluzione copernicana o la scoperta dell’acqua calda in materia di informazione cinematografica, ideuzza che poi Veltroni mi ha tarpato prima di accettare i 30 denari – e delle strategie, in parte riuscite, di estendere il proprio pubblico e fidelizzare lo zoccolo duro dei propri lettori.
Poi la domanda d’obbligo: e il rapporto con il Partito?
Gabriele risponde: «Il rapporto con il Pci, che resta pur nell’articolazione del pacchetto azionario il nostro editore, è già molto chiaro: autonomia della redazione. E questo non significa certo scarsa attenzione alla vita e alle idee dei comunisti toscani».
Si legge in un paragrafo dell’articolo, che qui riporto correggendo l’evidente refuso: «L’ambizione è dichiarata: diventare “l’unico grande giornale a sinistra”. Uno slogan un po’ eccessivo e non del tutto convincente, coniato pare da Fabio Mussi che non vuole però essere inteso come “egemonico”. Ma tant’è, l’Unità vuole affermarsi come un grande giornale popolare della sinistra, deciso a guardare ben oltre i suoi tradizionali lettori».
E subito dopo: «Un giornale più “autonomo”, più “giornale”, che marcia sulle proprie gambe e su quelle politico-giornalistiche con l’impegno di presentarsi ogni mattina al suo pubblico innanzitutto come “mezzo di informazione, con il racconto dei fatti, la conoscenza delle idee e la promozione di un dibattito nella sinistra”. Intesa così, l’Unità, potrebbe potenzialmente risucchiare un po’ d’aria da Repubblica andare a ripescare vecchi delusi lettori e riportarli a casa».
L’autore di quell’articolo era Erasmo D’Angelis che attualmente è il direttore di un quotidiano la cui testata è l’Unità.
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