Dei duelli
Friedrich Engels – le altre due mani, una testa, un cuore e, fortunatamente un bel gruzzolo da parte, senza i quali non avremmo oggi la fortuna di disporre del Capitale di Karl Marx –, in una lettera indirizzata a Laura, la figlia del filosofo di Trevi e del padre del comunismo andata in sposa a Paul Lafargue, sottostimato autore di Il diritto all’ozio, con il quale condivise in consapevolezza vita e morte, scrisse: «I Francesi, come tutti, sono sotto l’influenza della canicola. Tutto fallisce, anche i duelli!».
La citazione è tratta dal gustoso volume In guardia! Breve storia dell’insana passione dei francesi per il duello (p. 204, € 18) di Jean-Noël Jeanneney, appena mandato alle stampe dalla casa editrice Portaparole presso la quale giacciono, con tanto di contratti debitamente firmati da ambo le parti, due miei manoscritti messi in cantiere di pari passo con il salvataggio della signorina Else.
Gustoso volume che Emilia Aru, titolare appunto di Portaparole e in questa occasione traduttrice del testo, mi ha chiesto di rileggere a caccia di qualche incongruenza prima che giungesse negli scaffali delle librerie, dove io suggerisco di andarlo a comprare perché il “duello” – quello che Arthur Schnitzler mirabilmente descrive in Il ritorno di Casanova e Joseph Conrad in I duellanti da cui nel 1977 Ridley Scott (sì proprio quello di Blade Runner) ha tratto l’omonimo film magistralmente interpretato da Keith Carradine e Harvey Keitel – è un ingrediente basilare dell’esistenza umana (se non altro di quella maschile) da che mondo è mondo.
Se ne ha traccia nel cinema in 2001 Odissea nello spazio di Stanley Kubrick, dove a battersi sono le scimmie nostre antenate, e a me viene in mente anche l’Aleksandr Nevski di Ėjzenštejn, dove il duello assume la forma di una vera e propria battaglia, o Il settimo sigillo di Bergman, in cui il confronto si riduce a una partita a scacchi, ma con la morte, o infine a Duel di Spielberg o a Quintet di Altman con Paul Newman e Vittorio Gassman.
Il duello è, insomma, in qualche maniera, una metafora di qualcos’altro di più profondo, che forse un bravo psicanalista, come quello che io ho avuto la fortuna di incontrare, potrebbe spiegare meglio di me cosa intimamente o essenzialmente rappresenti. Per parte mia mi limito a ravvisare l’analogia o la convergenza fra il duello e il duetto, quindi il dialogo, la conversazione, ma anche fra il duello appunto e la sfida, the gunfight, (ci si sfida a duello) e per questa via la connessione con quanto Gregory Bateson sostiene siano le “relazioni binarie” “simmetriche” o “complementari” (Verso un’ecologia della mente, p. 373) e, in definitiva, con il “doppio legame”, il Doppelbindung, tema al quale ho dedicato molto tempo dei miei studi.
Ed ancora le connessioni fra la sfida e la provocazione, l’orgoglio, la vergogna. Ce ne sarebbe da indagare.
Ci sono piacevoli curiosità in queste 200 pagine tra cui mi piace citare, per gentile concessione dell’editore, questo brano:
«Il colmo dello sforzo per dominare la Fortuna consiste nell’eludere il pericolo senza perdere la faccia: ardua sfida. La ragione a volte ritrova il suo regno, quando i potenziali contendenti affrontano la loro partita sulla scacchiera del combattimento che si è riusciti a mantenere virtuale. Si tratta di dimostrare la codardia dell’avversario senza affrontare il rischio di andare sul campo.
Così è stato per il mancato duello tra Boulanger e Jules Ferry nell’agosto 1887 (l’episodio è anteriore di qualche mese all’incontro già evocato tra il generale e Floquet). Boulanger è allora in piena ascesa. Il suo esilio a Clermont-Ferrand in Auvergne, dove il governo repubblicano lo ha spedito a comandare il 13o corpo d’armata, non ha fatto che accrescerne la popolarità. È in quel momento che Ferry, esasperato per le fazioni dei cospiratori, denuncia, in un discorso a Épinal, il “Saint-Arnaud del café-concerto” (il generale di Saint-Arnaud era stato il brutale esecutore del colpo di Stato di Luigi Napoleone, il 2 dicembre 1851). La frase colpisce il bersaglio. La Francia intera la ripete con efficacia, o con esasperazione.
Boulanger invia a Ferry i padrini che, dopo averlo rintracciato il 29 luglio nel dipartimento dei Vosges, gli intimano di raggiungere Boulanger in Auvergne visto che il regolamento militare impedisce al generale di abbandonare la guarnigione. Ferry rifiuta nettamente e i suoi padrini, a loro volta, spiegano che il provocatore non deve far altro che approfittare del primo congedo per prendere posizione, che “sarà atteso pazientemente”. Ferry, davanti all’amico Joseph Reinach, si giustifica del comportamento. È convinto che l’incontro sia inevitabile ma non vuole andare a cercare il generale: tocca a lui avvicinarsi al bersaglio. “Non credo abbia in testa soltanto l’idea di un duello eclatante, penso che gli piacerebbe sbarazzarsi di me”, gli confessa.
La questione si trascina. Boulanger e i suoi amici proclamano a suon di tromba che il vile insolente sfugge l’incontro. Ferry si prepara, per ogni evenienza. Per avere la meglio il giorno che verrà, riprende la sua “educazione da tiratore” e afferma: “Tiro con la pistola come se dovessi sfidare Clemenceau in persona”. Non potrebbe andare meglio, sostiene.
Il duello alla fine non ebbe luogo. I padrini del generale Boulanger, secondo il verbale, proposero “lo scambio di un numero indeterminato di pallottole” da continuare fino a quando non si fosse colpito uno degli avversari. I padrini di Ferry, riferendosi a un duello antecedente del generale e ricordando che, secondo le regole ammesse, l’offeso non poteva scegliere l’arma e le condizioni di combattimento insieme, proposero un affronto a venticinque passi con una sola pallottola20; si separarono senza mettersi d’accordo, dando adito a un secondo fine segreto e intelligibile”.
Ed è qui, appunto, che Jeanneney cita Friedrich Engels ed i deleteri effetti del solleone tesi a mandar tutto a carte quarantotto: «I Francesi, come tutti, sono sotto l’influenza della canicola. Tutto fallisce, anche i duelli!»
C’è un capitolo molto solleticante nel libro dedicato all’arma scelta per lavare l’onta: spada o pistola?
«Due scuole – spiega Jeanneney – si oppongono con argomenti che si organizzano precisamente intorno alla nozione stessa del caso. Spada o pistola?»
«Sono queste le due sole armi – aggiunge – che le usanze ammettono in Francia sotto la Terza Repubblica. Si ricorre alla sciabola solo a titolo eccezionale e non può essere imposta che dalla parte offesa a un militare che abbia prestato — o che presti ancora — servizio nella Cavalleria; si colpisce di punta e di taglio.
Ora, le relazioni sulle incertezze della sorte sono molto diverse a seconda che si usi la pistola o la spada. Da un punto di vista terapeutico prima di tutto, o almeno questa è la convinzione dell’epoca. Un esperto che ha dedicato la sua tesi di dottorato alla questione nel 1890, il dottor Charles Teissier, enumerando gli esempi più inverosimili, afferma, nel modo più serio possibile, che le piaghe prodotte dalle pallottole si cicatrizzavano con una rapidità incredibile: una semplice benda antisettica il più delle volte bastava. “Le pallottole sono dei proiettili antisettici che grazie all’alta temperatura raggiunta all’interno dell’arma, producono disordini interni relativamente poco gravi”, dichiara.
Questa affermazione lascia perplessi quando si conosce la frequenza di conclusioni fatali nei duelli con la pistola. Ma Teissier non ha sicuramente torto nel notare che gli “strumenti pungiformi” sono fortemente settici ed è raro che le piaghe prodotte non si infettino. E racconta di come fu preso in giro un suo collega che propose di bagnare le spade, prima del combattimento, nell’acido fenico. Sarebbe stato curioso, ci fa notare ancora il medico, vedere i padrini di un duello scegliere armi settiche o antisettiche a seconda della gravità dell’offesa…
Tutto sommato però la riflessione non impedisce al buon dottore di esprimere la sua preferenza per la spada, avanzando questa discutibile affermazione: colui che ha deciso il combattimento, essendo l’offeso, sarebbe più frequentemente vincitore con la spada, poiché quest’arma avrebbe bisogno di una grande fiducia in se stessi e della convinzione che si cerchi di difendere il proprio onore minacciato ingiustamente.(p. 29-31)
Jeanneney cita quindi alcuni personaggi secondo i quali la spada, quella dei moschettieri per intendersi, è «un’arma essenzialmente francese, che con tutta evidenza bisognerebbe preferire alla pistola», essendo quest’ultima «un’arma “poco seria”».
Viene in mente l’indimenticabile «Quando un uomo con la pistola incontra un uomo col fucile, quello con la pistola è un uomo morto. Avevi detto così? Vediamo se è vero» che Joe/Clint Eastwood dice a Ramon, all’anagrafe il bravissimo Gian Maria Volontè, in Per un pugno di dollari di Sergio Leone.
Un giorno sono incappato in uno, biondino di nome e di fatto, che mi ha detto: «Ti aspetto fuori», che è la classica frase con cui quando andavo alle elementari e facevo a botte con il Magazzù, si diceva per innescare la miccia. Mi ha cambiato la vita, ma all’appuntamento non è venuto. E io vado avanti per la mia strada. Fino all’ultimo duello. O, se si preferisce, al fin della licenza, io tocco.
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