Ordine, per dio!
La cassetta della posta conteneva questa mattina due buste: una con il prezioso regalo che illustra questo testo, fattomi da una persona alla quale tengo molto e mi dispiace si sia comprensibilmente allontanata un po’ da me, non so ancora quanto. E l’altra con dentro, invece, il 33° bollino annuale da appiccicare sul tesserino dell’Ordine nazionale dei giornalisti che mi è stato rilasciato quando, dopo i 4 anni di gavetta prima e praticantato poi (in tutto dunque sono 37 anni), sono stato iscritto nell’albo dei Professionisti dopo aver superato l’esame al PalaEur di Roma il giorno in cui un commando di terroristi di al-Fath uccise un bambino di 2 anni, Stefano Gaj Taché e ferì 37 persone alla Sinagoga di Roma sabato 9 ottobre 1982.
Il “francobollo” adesivo attesta la mia appartenenza all’Ordine e la mia anzianità di servizio, in virtù della quale, prima di una riforma che avrebbe trasformato in carta straccia una carriera di fatica e impegno, sono da poco andato in pensione avendo maturato il requisito minimo contributivo e non ancora quello anagrafico, ma con una pesante penalizzazione economica imputabile a quel farabutto che (dio mi strafulmini!) per 10 anni ha avuto la mia piena e onesta collaborazione nella sua scriteriata politica sanitaria e nel suo delirio di onnipotenza che prima o poi, ritengo, finirà per pagare, ricevendo tuttavia dalla collettività, non dal suo ente previdenziale, l’emolumento per la quiescienza che i politici raramente finiscono per praticare facendosi da parte.
Orbene quel bollino mi è stato recapitato avendo io puntualmente pagato la quota annuale di iscrizione all’Albo che ammonta a 97 euro comprensivi “del bollo per il rilascio della ricevuta”, ed attesta – insieme all’ottenimento dei “crediti formativi” previsti dalla normativa per l’aggiornamento professionale dei giornalisti (in realtà un escamotage per far guadagnare qualche soldo a chi, anche già guadagnandone non pochi, essendo amico degli amici, s’improvvisa docente – la mia liceità ad esercitare il mestiere che non pratico più ed a potermi definire, da un punto di vista professionale almeno, quello che sono stato per la maggior parte della mia vita.
La cosa bizzarra è che per chi ha maturato la pensione e percepisce quindi un puntuale e non irrilevante assegno all’inizio di ogni mese – ma non per chi è invece disoccupato come lo sono stato per l’ignavia di un uomo da due soldi nemmeno capace di guardare negli occhi i suoi interlocutori e dichiaratamente in grado di fare “solo quello che sa e che può” – è prevista una riduzione del 52%, vale a dire una quota ridotta a 47 euro e 50 centesimi, della quale si può tuttavia beneficiare, “con decorrenza dall’anno successivo a quello in cui è maturato il diritto alla pensione”, requisito che gli avidi burocrati della corporazione pretendono debba essere autocertificato da chi ha conquistato il diritto allo sconto, ma che vale, così mi ha detto una segretaria garbata ma smarrita nella sua approssimazione, non nell’anno solare posteriore (sono andato in pensione alla fine del 2015, ed ho pagato la quota nel 2016 per il 2016) ma dopo il compimento dei 12 mesi dalla conquista di quell’agognata mèta.
Il ridicolo di questa faccenda per un organismo che, sulla carta, dovrebbe esistere a tutela di deontologia, equità, etica e solidarietà, andrebbe forse aggiunto al coro di lamentele che, spesso per tutt’altri non meno ignobili motivi, vengono sbandierate per chiedere l’abolizione di un ente considerato, non a torto, ormai solo più corporativo, anacronistico, illiberale, ed io invece per una vita mi ero, a torto, illuso fosse un capisaldo della serietà, del rigore, dell’onestà, una dote insomma aristocratica e non elargita da dio o dalla fortuna.
Ma il giorno che anche questa reliquia del passato franerà a terra, come ormai tutto quanto, non potrò rallegrarmi, analogamente al dispiacere con cui considero l’abolizione della pur detestabilissima naja.
Come ho già più volte avuto occasione di polemizzare in passato (vedi qui), il disOrdine regna sovrano e quelli che minacciosi intimano «Ordine, per dio!» mi fanno solo pena.
P.S. Nella busta spedita dall’Ordine appare un cartoncino con su stampata questa frase di Indro Montanelli: «Il giornalismo lo si fa per il giornalismo, per il piacere di farlo. È difficile farlo bene, a volte è anche pericoloso. Il bello di questo mestiere è che si affronta un esame ogni giorno». Aveva ragione il vecchio odiatissimo maestro.
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