Ricordatevi Umberto Eco
È morto questa notte Umberto Eco, l’autore di uno dei dieci libri che secondo me andrebbero salvati il giorno del giudizio universale, della fine del mondo, della distruzione termonucleare del pianeta. Del libro? chiederà scandalizzato il lettore, sciorinando il lungo elenco di testi che compaiono nella bibliografia del grande studioso. Darei ragione al lettore, aggiungendo che senza la maggior parte di quei volumi saremmo dio una ignoranza abissale e che abbiamo capito tanto muovendoci nelle pagine del professore che ha mescolato sacro e profano dando dignità alla combinazione di entrambi.
Il libro di Eco che più di tutti gli altri io salverei il giorno della catastrofe è Come si fa una tesi di laurea, pubblicato nel 1977 quando appunto io mi sono iscritto alla facoltà di filosofia. È il manuale del come fare nella vita, nel metti l’arte da parte. Insegna a ricordare, cioè a mantenere la testimonianza del proprio passaggio sulla terra e molte altre cose. Per ricordare Umberto Eco, pubblico di seguito l’articolo che scrissi per l’Unità il 23 marzo del 1989, quando insieme ad altri illustri studiosi, il semiologo partecipò a Firenze proprio a un convegno sulla memoria.
Di memoria in memoria
Il sistema più conosciuto è probabilmente quello del nodo al fazzoletto. Ma di sistemi per ricordare, attraverso i secoli, l’uomo ne ha inventati parecchi. A ripercorrerli e decodificarli, Paolo Galluzzi, direttore del Museo di storia della scienza di Firenze, ha chiamato alcuni fra gli studiosi più prestigiosi del vecchio occidente: dallo storico della filosofia scientifica Paolo Rossi, a Umberto Eco che, dismesso l’abito del romanziere, si è rivestito dei suoi panni di semiologo; dal premio Nobel della medicina Gerald Edelman al neurologo Oliver Sacks, arcinoto autore di quel “L’uomo che scambiò sua moglie per un cappello” che tanto ha fatto discutere. Tutti riuniti per tre giorni a Firenze a parlare della “Cultura della memoria”, convegno di studi che ha fatto da preludio alla mostra “La fabbrica del pensiero: dall’arte della memoria alle neuroscienze” che da oggi al 26 giugno sarà ospitata in Forte Belvedere.
Il nodo al fazzoletto lo ha ricordato proprio Umberto Eco, annunciato con una relazione su “Semeiotica e iconografia dell’arte della memoria”, all’ultimo momento modificata in “Mnemotecniche come semiotiche”. Malgrado la complessità dell’argomento, l’autore del “Pendolo di Focault” ha richiamato tanto di quel pubblico che i guardiani di Palazzo Vecchio hanno dovuto sbarrare le porte degli angusti quartieri monumentali per ragioni di sicurezza, scatenando scene da far-west.
Quel gesto così antico, come i sassolini gettati da Pollicino per ritrovare la strada nel bosco, o, si potrebbe aggiungere, il filo di Arianna nel labirinto, sono per Eco artifici semiotici, associazioni di una Y ad una X, usando la prima come il significante o l’espressione dell’altro. Ma, nel caso del fazzoletto, il segno ha un valore arbitrario: può far ricordare molte cose, non una sola. «La sequenza di pietruzze – ha aggiunto Eco – istituisce un’omologia vettoriale tra la successione delle pietre e il cammino da percorrere e sta per quel cammino e non per qualsiasi cammino possibile».
Siamo tuttavia ancora lontani da un vero e proprio sistema mnemotecnico. Quest’ultimo, nel lungo cammino della storia umana, si è concretizzato in forme diverse. Eco ha citato testi greco-latini dove l’associazione è ispirata a criteri retorici o si mettono in relazione, per esempio, le varie parti del corpo con una sequenza di numeri. Ma soprattutto ha scandagliato l’universo delle mnemotecniche rinascimentali: teatri di strutture planetarie, di gerarchie celesti, di gironi infernali, tutti accuratamente organizzati. Alle sue spalle, proiettate da una lavagna luminosa, varie rappresentazioni dove i segni, simboli o parole che fossero, rimandavano alla struttura della realtà, secondo schemi che non possono non ricordare l’effetto che fa oggi la pubblicità, con il suo continuo richiamo, scientemente mascherato, a ciò che agisce nel profondo del consumatore. È un tema su cui ä tornata la storica della letteratura Lina Bolzoni che ha ripercorso dipinti e manoscritti nati per far ricordare e che hanno finito, è la conclusione a cui è giunta la studiosa, per svelarsi come incarnazioni del ricordo.
Questo “rincorrersi” della memoria, il suo essere protagonista dei tentativi di “fissaggio” del ricordo, le mnemotecniche appunto, è sembrato il rebus del convegno. È curiosa la somiglianza svelata da Eco tra l’apparato mnemotecnico della Divina Commedia svelato da Frances Yates dopo aver scandagliato le suggestioni di Romberch e una delle mnemotecniche più in voga ancora ai giorni nostri, la raffigurazione schematizzata dell’Inferno dantesco così come appare sul Bignami. Nodi al fazzoletto che rimandano a nodi al fazzoletto. Pietruzze su pietruzze. E le vie del labirinto sono di nuovo caotiche, non c’è più un filo solo che svela l’uscita. È in qualche maniera ciò che gli scienziati presenti al convegno riconoscono. I meccanismi della memoria sono molto più complessi di quello che per un certo tempo si è creduto, ricordano realisticamente, ma non senza ottimismo, Edelman e Rosenfield. Anche Oliver Sacks ricorda l’eccezionalità di certi fenomeni: i quadri di Franco Magnani, pittore di Pontito, provincia di Pistoia, dipinti a San Francisco come se davanti al cavalletto avesse il borgo toscano invece della metropoli statunitense; gli abitanti di LaCrete in Canada affetti dal primo all’ultimo dalla sindrome di Tourette.
La tabella pitagorica, utile per ricordare che 6 per 6 fa 36, o lo schema dei personal computer, ci dicono poco sul funzionamento del nostro cervello in materia di ricordi. L’atlante del cervello, è l’affascinante punto d’approdo di Edelman, non riporta sempre la Francia al confine con l’Italia, ma, a seconda dell’individuo, la colloca ora a fianco della Russia ora ai tropici.
l’Unità, 23 marzo 1989
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