Stranieri 4/2: il lavoro

Orari di lavoro che generano piccoli ghetti

L’emigrazione genera emarginazione. E così il benpensante è convinto che gli stranieri – statunitensi e tedeschi a parte – si creino da soli un bel ghetto. Li vedono tutti insieme, a frotte, parlare nella loro lingua, strana, almeno quanto la nostra apparirà strana a loro la prima volta che la sentono. Eccoli li riuniti in questa o in quella piazza, sotto il sole più cocente e quando la pioggia viene giù come dio comanda. Ridono, scherzano, parlano. Se gli va bene hanno strappato un posto in un casa del popolo, in un circolo ricreativo, presso qualche associazione democratica laica o clericale che sia. Ma dietro a queste piccolo isole di popoli di altra nazionalità spesso c’è un’emarginazione sottile, invisibile al primo colpo d’occhio. Che ci fanno lì fra loro? Perché non stanno con gli altri, cioè con noi? La risposta non è difficile, basta guardare gli orari di lavoro di un cuoco egiziano o di una cameriera capoverdiana. Quando gli altri sono fuori a godersi il tempo libero, loro sono nel pieno della loro attività. Ma il cuoco chi lo vede, sta in cucina; e la colf è dietro alla pulizie del salotto, fuori dall’occhio degli ospiti. Compare solo alla sera, per servire il drink. Quando gli altri sono magari al cinema. Quel poco di tempo libero che rimane è quasi ovvio che venga speso con i connazionali. Loro capiscono i tuoi problemi. Non parlano un’altra «lingua». Non ti guardano di traverso. E così l’emigrazione, quella prima, quella dal lavoro, genera l’altra, quella dalla società.

E tuttavia l’Italia (e poi la Toscana) continuano ad essere un polo d’attrazione. Antica disponibilità agli scambi, anche se con una certa indifferenza o altezzosità alle spalle. D’altra parte a far preferire una meta piuttosto che un’altra all’immigrato straniero contribuiscono senza dubbio anche fattori come la presenza di parenti, il clima sociale, il tipo di gente. Non è un caso che la comunità dei Filippini sia tanto grande. Sono di religione cattolica e questa è la patria della Chiesa.

l’Unità, 19 luglio 1985

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