Stranieri 9/2: immigrati e emigrati
Sono come noi quando emigravamo in Germania
«Solidarité avec la femme uruguayenne». Solidarietà con la donna uruguayana. Nell’ufficio di Alvaro Agrumi, il segretario regionale della Cgil, spicca questo manifesto. Non è il solo. Ci sono anche i bozzetti incorniciati di vari manifesti per il primo maggio e un antico bando di non ricordo più quale fabbrica che convoca il referendum per decidere se riprendere o no l’attività lavorativa dopo uno sciopero. Ma è il manifesto della solidarietà che mi colpisce. Sarà perché l’argomento dell’intervista che gli ho chiesto sono i lavoratori stranieri. Racconto al segretario della Cgil che qualcuno degli stranieri intervistati non è troppo soddisfatto di quello che il sindacato fa per loro.
«Sì, ci sono dei ritardi – risponde Agrumi – ma credo che derivino dalla ragione stessa per cui oggi ci occupiamo di questo problema. Anche il nostro è un popolo di emigrati e per anni abbiamo lavorato perché i nostri emigrati avessero pari diritti con i lavoratori degli altri paesi. Questa esperienza accumulata può consentirci di comprendere meglio, di avere più sensibilità verso il fenomeno dell’immigrazione, che tutto sommato è un fenomeno abbastanza giovane». Poi aggiunge: «Il sindacato intende occuparsi dei lavoratori stranieri perché i lavoratori italiani li considerino al loro pari, e perché siano considerati lavoratori, indipendentemente dalla loro nazionalità».
Che il sindacato si stia interessando del fenomeno è vero. È stato proprio alla Cgil che poche settimane fa sono stati convocati i parlamentari toscani per impegnarli in una iniziativa di modifica delle leggi che regolano la permanenza e la possibilità di lavoro degli stranieri. «Modificare la legge e le convenzioni internazionali – dice Agrumi – è la prima condizione, è l’obiettivo principale. Ma io credo che questo non basti. Occorre anche la mobilitazione e la forza organizzata dei lavoratori per fare in modo che i contratti di lavoro vengano applicati a tutti i lavoratori indistintamente».
I primi interventi che il sindacato ha fatto sono stati nei settori del commercio, dell’edilizia e dell’agricoltura. È lì che si trovano il maggior numero di stranieri. Sono state fatte riunioni con tutte le organizzazioni della Cgil per sensibilizzare i lavoratori a creare una solidarietà intorno ai lavoratori stranieri. Ma esiste questa solidarietà? Agrumi risponde che non gli risultano fenomeni di «xenofobia». Di lavoratori che dicono «questi ci portano via il lavoro» non c’è traccia. «Anche perché in genere i lavoratori stranieri cercano occupazioni che attirano poco quelli italiani», prosegue Agrumi. Qui non è come nel Sud degli Stati Uniti dove la manodopera immigrata è usata anche come forza di destabilizzazione dei sindacati.
Agrumi insiste però sulla necessità della partecipazione: «È indispensabile che i lavoratori italiani e stranieri siano uniti. In un ristorante ci sono pochi dipendenti. Non è come in una fabbrica. Lo statuto dei lavoratori non ci arriva. Ma se quei pochi dipendenti sono uniti, se stanno insieme, i soprusi non avvengono. E il discorso riguarda anche le colf che lavorano sole. Certo, è più facile imporre loro condizioni pesanti di lavoro. Ma non si può cambiare una colf ogni giorno. Se tutte prendono coscienza della loro condizione ed impongono le loro condizioni, voglio vedere come fa un datore di lavoro…».
Tu dici che la questione più importante è modificare la legge, che questa serve a strappare gli stranieri dall’«irregolaraità» in cui sono costretti. Ma da qui alle nuove leggi, il sindacato può fare pressione perché ai lavoratori stranieri siano garantite condizioni più eque?
«Sì, certo. Le istituzioni e l’autorità devono essere più duttili di quanto non siano. Ma le due cose, secondo me, vanno di pari passo. Chiedere un atteggiamento diverso verso i lavoratori stranieri da parte dell’autorità fa tutt’uno con la battaglia per modificare la legge. E insisto che per questo è necessaria la mobilitazione dei lavoratori, il loro impegno diretto e la loro solidarietà. Perché i lavoratori stranieri hanno gli stessi diritti che avevano i nostri lavoratori quando andavano in Germania».
l’Unità, 4 agosto 1985