Immedesimarsi nel giudice

Enrica Sangiovanni e Gianluca Guidotti sono gli artefici dell’associazione culturale bolognese impegnata nella produzione di cinema e teatro Archiviozeta che ha avuto il coraggio di mettere in scena quel capolavoro «concepito per un teatro di Marte», un «dramma, la cui mole occuperebbe, secondo misure terrestri, circa dieci serate», ovvero sia Die letzen Tage der Menschheit, in italiano Gli ultimi giorni dell’umanità, del mio amatissimo Karl Kraus, spettacolo che spero un giorno di poter vedere su un palcoscenico.

Con Elena Monicelli della scuola di pace di Monte Sole – dove, come molti sanno, tra il 29 settembre e il 5 ottobre 1944, forze armate tedesche e fascisti italiani eseguirono numerosi eccidi, noti come strage di Marzabotto, nei comuni di Grizzana Morandi, Monzuno e appunto Marzabotto in provincia di Bologna, uccidendo 955 persone che lievitano a 1.676 se si aggiungono i morti per cause varie di guerra – e con la collaborazione dell’associazione “Navile insieme”, al centro sociale Montanari di Bologna nell’ex sede della società che gestiva la tramvia, Enrica Sangiovanni e Gianluca Guidotti hanno allestito sabato 13 febbraio lo spettacolo/laboratorio definito “un esperimento di memoria attiva” intitolato La zona grigia perché si rifà al secondo capitolo del libro di Primo Levi I sommersi e i salvati.

Ho avuto l’opportunità di vederlo e, convinto possa insegnare qualcosa a chi avesse la medesima opportunità, mi sto dando da fare perché lo spettacolo o appunto, se si preferisce, l’esperimento di memoria attiva, anche altrove, compreso qui dalle mie parti, vada in scena o entri in circolo. Così infatti si svolge la rappresentazione, seduti in cerchio ad ascoltare le parole di Primo Levi e la controversa storia di Mordechai Chaim Rumkowski, presidente del Judenrat, il consiglio ebraico costituito dalle autorità tedesche nel ghetto di Lódz, ambigua figura che rimesta nelle nostre coscienze scaraventandoci in faccia l’interrogativo riguardo cosa saremmo capaci noi stessi di fare in condizioni eccezionali o estreme come quelle che hanno dovuto sopportare gli ebrei europei fra il 1938 e il 1945.

Non voglio svelare il meccanismo della rappresentazione teatrale di Archiviozeta per non allentare l’impatto emotivo che può generare e l’arrovellamento della propria mente riguardo i nostri stereotipi, le nostre ignavie, le nostre ignominie e mi limito ad invitare ad andarlo a vedere e, a chi può, ad organizzarne la messa in scena. Rimando comunque alla recensione che il critico teatrale che collaborava con l’Unità di Bologna quando la dirigevo io, Massimo Marino, ha pubblicato sul Corriere di Bologna: Vittime o colpevoli? La zona grigia della memoria.

In quel contesto ho condannato, di fatto senza possibilità d’appello – in quanto responsabile, non come colpevole, parola che ho cancellato dal mio personalissimo vocabolario – re Chaim, e diversamente avrei fatto per Adam Czerniaków, guida del ghetto di Varsavia, che il 24 luglio 1942 preferì il suicidio alla collaborazione ed ebbe probabilmente un ruolo non indifferente nell’instillare il dovere e il diritto della rivolta di quella comunità, ribellione portata a compimento l’anno successivo che, in quattro settimane fece 56.000 morti fra gli ebrei e 16 fra le truppe tedesche. I superstiti furono deportati e dei 750 ebrei che parteciparono materialmente alla rivolta, meno di 100 riuscirono a sopravvivere.

Ma se avessi saputo quale fosse la pena, avrei giudicato meglio, perché non avrei emesso un verdetto di condanna capitale, ma senz’altro di ergastolo. Simularsi giudici e mettersi nei panni di un altro è salutare ed anche doveroso, evita di chiudere gli occhi il giorno che passano i carri piombati. Ed io vedo sempre più gente intorno a me fare appunto questo: chiudere gli occhi dinanzi alle piccole cose, figuriamoci dinanzi alle grandi.

Mi chiamo Daniele, che in ebraico vuol dire Dio è il mio giudice, e l’ormai lunga dimestichezza con questo tentativo di immedesimarsi in un togato, avendo presente la lezione di Fabrizio De André su chi sono i magistrati, credo mi abbia allenato tanto alla clemenza quanto all’inflessibilità e all’incorruttibilità. Per quel che mi riguarda proseguirò così.

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