Se babbo o mamma bevono

Nei miei cassetti giace, tra le tante altre cose, un racconto che tenta di immaginare cosa si provi ad uccidere un uomo e, per quanto già molti altri splendidi libri si siano cimentati con la materia e ci forniscano ipotesi in tale direzione, mi rattrista che a nessun editore, avendo letto qualche recensione su Sempre più verso Occidente o su Io la salverò, signorina Else, rispettivamente pubblicati da Maurizio Marinelli di Baskerville e da Emilia Aru di Portaparole, sia venuto in mente di chiedermi se dispongo di altri manoscritti e di darci una curiosa occhiata.

È un racconto che scandaglia una zona nella quale si spera di non doversi mai trovare e, per quanto si sia certi di disporre di un freno inibitorio assoluto in quel senso, uno scenario plausibile che non va mai scartato a priori, avendo la consapevolezza che se in così tanti, a partire da Caino, si sono sporcati le mani, vuol dire che se è successo, può accadere di nuovo, proprio come l’Olocausto, e bisogna tener deste le difese immunitarie che ci preservino da quegli orrori. Il che non vuol dire ignorarli.

Per esempio, io non credo di aver avallato, come invece un’autorevole e rispettabilissima persona ha ipotizzato, la cultura e gli alibi dei pedofili scrivendo Specchio retrovisore, racconto contenuto appunto in Sempre più verso Occidente che va a pescare parte del proprio metaforico senso in quella tragedia agghiacciante a cui mi è toccato assistere il 26 aprile 1983 all’imbocco della galleria del Melarancio sull’Autostrada del Sole alle porte di Firenze.

Mi riprometto di guardare negli occhi l’assurdo, come recita il refrain di questo blog, in altre parole di non temere né la logica né i sentimenti, né la razionalità né le passioni, ovvero sia gli esseri umani capaci di misfatti e splendori, grandezze e miserie, e per questa via cercar di capire, come Primo Levi ci ha insegnato a fare addirittura nei confronti della sadica belva nazista tedesca, Robert Musil tratteggiandoci Moosbrugger, Freud con le nostre pulsazioni al basso ventre e Basaglia dietro le sbarre.

Perciò apprezzo chi si sforza in questa direzione, chi tenta ed osa, oltrepassa il confine non per il gusto di trasgredire fine a se stesso, ma per… com’era la faccenda? Virtute e canoscenza? Già, virtute e canoscenza.

E quindi apprezzo Ginetta Fusi, educatrice professionale in un Servizio alcologico territoriale dell’Azienda sanitaria fiorentina, verso la quale – tanto Ginetta quanto l’Azienda – ho un debito di riconoscenza, che ha scritto un libro per bambini intitolato Le lacrime che non scendono, illustrato da Laura Berni, introdotto da Anna Sarfatti, postillato con dei versi da Simone Cristicchi e pubblicato dalle edizioni Piagge.

Il libro verrà presentato sabato 5 marzo alle ore 16.30 alla biblioteca di Scandicci in via Roma 38 da Guido Guidoni – troppe qualifiche per quel che mi riguarda (medico, amico, ex collega) per usarne una sola –, comunque grande esperto di dipendenze e di alcolismo in particolare, e Giulia Bambi presidente della quarta commissione consiliare di Scandicci.

Le lacrime che non scendono tenta, e a me pare che riesca, di spiegare a un bambino o a una bambina sopra ai 6 anni che può capitare di avere in casa un papà o una mamma – famiglie eterosessuali mica quegli scapestrati che si accoppiano come qualcuno dice contro natura che, mostrata sotto questa luce, appare più come un Gulag matrigno, come se l’era raffigurata Leopardi, che non come un fluire di atomi e molecole in un oceano di energia pronta a mutar forma ad ogni impercettibile capriccio – che si sono persi nel fondo di una bottiglia, un culo di vetro che spesso e volentieri è solo un tetrapak accartocciato con dentro il tavernello ma consente di dimenticare che fuori è tutto merda ed anche dentro non c’è odor di gelsomino.

Un libro per bambini che può aiutarli a capire che quella non è una condanna senza appello, è un peso che può essere alleviato, è una battaglia che forse vale la pena di combattere o un mondo che, come tutti i mondi, chiede solo di essere accettato e, chissà, forse prima o poi cambierà da solo, senza bisogno di dieci giorni che lo sconvolgano come aveva raccontato John Reed nel 1919 convincendoci per molto tempo fosse possibile.

Un libro insomma che può accompagnarli, come un caro amico al quale chiedere aiuto in caso di bisogno, con l’umiltà che, se appresa e messa al posto giusto, può riservare grandi sorprese.

Grazie Ginetta di aver scritto questo libro.

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