L’anima della famiglia
«Di fronte al moltiplicarsi delle forme di famiglia (ricomposte, monoparentali, multiculturali, omogenitoriali), come psicoterapeuti psicoanalitici, lavorando con genitori e figli, sentiamo la necessità di ampliare le nostre conoscenze e competenze per creare un assetto di ascolto in grado di entrare in relazione con i nuovi specifici bisogni che ne caratterizzano il funzionamento».
Marta Vigorelli, psicoterapeuta milanese e docente alla Bicocca, spiega così – ai suoi colleghi che il 20 febbraio scorso hanno partecipato al seminario della Società italiana di psicoterapia psicoanalitica (SIPP) dedicato a «Psicoanalisi e omogenitorialità» – la necessità di mettere – al posto dei pregiudizi, delle certezze infondate, dei luoghi comuni, degli slogan senza senso, dei deliri provocati dalla paura – un’elaborazione concettuale, una sensibilità personale, una competenza professionale, un coraggio etico adeguati ai tempi e al reale, capaci di andare addirittura oltre i basamenti, o i dogmi, della stessa teoria psicanalitica come fu formulata più di un secolo fa da Sigmund Freud.
È un terreno scosceso e scivoloso, per molti versi inesplorato, quello su cui si muovono, nella loro pratica curativa e accudente, junghiani e lacaniani, loweniani e reichiani, le molte migliaia di psicologi, psicanalisti, psicoterapeuti iscritti all’albo nazionale che regolamenta il loro mestiere e inquadrati nelle centinaia di scuole entro le quali organizzano la loro formazione e la propria serietà professionale. Lo stesso terreno su cui si è incendiato da un po’ di tempo il dibattito politico e parlamentare, la ressa degli opinionisti e degli sputasentenze.
Su questa zona di frontiera – i dintorni dell’assurdo di cui mi occupo nel mio blog – ho intervistato Marta Vigorelli a margine di quel convegno al quale sono stato gentilmente invitato da Nicoletta Collu che mi ha fatto da consulente esperto nel lontano ottobre 1980, quando scrissi su l’Unità un’approfondita inchiesta giornalistica in 9 puntate sulla diffusione delle pratiche mirate a conoscere l’animo umano e a dare risposte al disagio degli individui, in un’epoca in cui le parole transfert, rimozione, inconscio, setting stimolavano ancora l’orticaria e una diffidenza degna del Kgb nei grigi apparati di un partito ormai prossimo all’implosione.
La dottoressa Vigorelli mi ha risposto, insieme a Nicola Guanziroli, che al convegno fiorentino ha portato un prezioso contributo frutto delle sue ricerche su questa giungla di sentimenti, emozioni, comportamenti, fantasie, desideri, opinioni che, comunque le si girino, ruotano intorno alle tre figure sacre del padre, della madre, dei figli, anche se, forse, a quest’ultimi con sempre minor attenzione, finché non riusciremo a coinvolgerli direttamente nel dibattito. Partiamo dalla domanda più scabrosa.
Davvero una coppia omosessuale – due padri o due madri, o un padre e una madre maschi o un genitore e una genitrice femmine – ha carte meno in regola di una coppia eterosessuale di allevare dei bambini?
Vigorelli: «A differenza di numerosi paesi in Europa ed oltreoceano, in Italia una coppia omogenitoriale certamente non ha le “stesse carte in regola” di una eterosessuale e questo per la nota mancanza di tutela giuridica che indubbiamente incide anche psicologicamente sulla possibilità di una crescita serena dei figli nell’impatto con l’ambiente sociale. Ben sappiamo, infatti, che quanto è “normato” acquisisce, anche inconsciamente, lo statuto di “normalità”. Nondimeno possiamo dire che le coppie le quali hanno accettato questa sfida si sono preparate al compito con una consapevolezza ed una maturità spesso non parimenti riscontrabili nelle coppie cosiddette “normali”. Sono famiglie aperte a una dimensione comunitaria, attraverso reti associative – come le famiglie Arcobaleno – che stanno sviluppando, oltre ad un’attività di supporto, confronto e protezione, una sensibilizzazione dell’opinione pubblica con eventi e progetti di ricerca.
Sono constatazioni e riscontri obiettivi desunti dall’esperienza sul campo, che necessitano ovviamente di ulteriori ricerche ed approfondimenti, perché è solo da due anni che abbiamo messo in piedi questo gruppo di studio si occupa di queste tematiche sulle quali siano ancora agli albori. Dobbiamo all’apertura culturale della Società italiana di psicoterapia psicoanalitica la disponibilità di questo spazio per poter approfondire, in modo libero e dialettico, tematiche così complesse, nuove rispetto al patrimonio consolidato della teoria e della tecnica psicoanalitica.
Ma va precisato che si deve anzitutto a Vittorio Lingiardi – iniziatore di questi studi in Italia con innumerevoli pubblicazioni e membro del comitato scientifico del “Portale di documentazione LGBT (lesbiche, gay, bisessuali e transgender)” aperto dall’Ufficio nazionale antidiscriminazioni razziali (UNAR) che è stato costituito presso il Dipartimento delle pari opportunità della presidenza del Consiglio dei ministri – l’aver fornito strumenti per entrare in questo universo e l’aver messo a disposizione e fatto conoscere i risultati di ricerche internazionali che possono confutare il pregiudizio ideologico secondo il quale bambini e adolescenti di coppie sam-sex, ovvero dello stesso sesso, abbiano uno sviluppo psicologico o maggiori problematiche rispetto ai figli di coppie eterosessuali.
Per tornare alla sua domanda, fondamentale è distinguere i diversi livelli: sessualità, procreazione e genitorialità; quest’ultima non necessariamente è legata al vincolo biologico o all’identità sessuale, ma si può esprimere anzitutto come funzione relazionale di “coppia” che si connota per la qualità dell’investimento sui figli, per la capacità empatica di sintonizzarsi con i loro bisogni, creando una base sicura che consenta poi di individuarsi, aprendosi all’esplorazione del mondo, accogliendo fragilità e valorizzando le risorse. Non quindi il figlio come un prolungamento narcisistico teso a riempire un vuoto di sé o la riproduzione di un copione sociale, ma un figlio o una figlia accettati e amati come persone reali, altre da sé. E, badiamo bene, sono questi gli aspetti da salvaguardare per tutti i tipi di genitorialità e senza i quali fioriscono poi gli svariati disturbi che vediamo esplodere soprattutto in adolescenza o nei giovani adulti qualunque sia la coppia entro la quale sono cresciuti».
Dal punto di vista della comprensione del benessere psichico ed evolutivo del minore, rispetto al bisogno delle figure parentali, va considerata la distinzione tra neonato, bambino e adolescente?
Vigorelli: «Tutte queste fasi evolutive hanno bisogno delle funzioni parentali, ma, soprattutto nell’arco da 0 a 3 anni, la presenza di uno che si prenda cura, il cosiddetto caregiver, “sufficientemente buono” è determinante per creare le basi del senso di Sé e, oltre al compimento dello sviluppo biologico e psicofisiologico, per la costruzione delle funzioni emotive, affettive e cognitive. Sia le neuroscienze che l’Infant Research ci hanno ampiamente confermato che questi anni sono cruciali per l’evoluzione futura e, se segnati da traumi relazionali, abusi e trascuratezza che permangono a livello procedurale e corporeo, rischiano di compromettere e bloccare queste funzioni soprattutto quella metacognitiva. Anche l’adolescenza è un momento di svincolo fondamentale che ha bisogno di genitori capaci di accettare le sfide del conflitto e della differenziazione, valorizzando anche le figure adulte e la socializzazione dei pari al di fuori della famiglia, con quell’arte di rimanere in vicinanza emotiva… ma un passo indietro; di fornire regole, sì, ma al contempo offrendo una fiducia responsabilizzante; di mantenere aperto il dialogo con fermezza e flessibilità. Compito davvero difficile, ma vitalizzante».
E la distinzione fra bambino e bambina va considerata?
Vigorelli: «Una distinzione sì, ma soprattutto un ascolto e un’attenzione alla singolarità, all’unicità a quello spazio simbolico e affettivo che ciascun figlio, indipendentemente dal genere, chiede e spesso pretende dai genitori indaffarati di oggi, spesso stressati e sopraffatti dai problemi economici e lavorativi e di autorealizzazione».
Se non è il genere del genitore, ma la sua capacità di amare ed essere guida, faro, accompagnatore, a cambiar la vita del minore, cosa si può fare, in coppie etero quanto in coppie omo, per sviluppare questa serenità, questa partecipazione, questa buona disposizione.
Vigorelli: «Nella mia esperienza di consultazione di genitori con figli problematici – attività che svolgo accanto a quella individuale – noto che quello che più ostacola una relazione “serena” è, nella gran parte dei casi, la mancanza di consapevolezza di nodi irrisolti del proprio passato di figli, la difficoltà di svincolo psicologico dalle figure parentali d’origine, la mancanza di elaborazione di compiti evolutivi che vanno quindi a ricadere inesorabilmente sui propri figli come proiezioni di aspettative idealizzate e irrealizzate o, nelle situazioni più gravi, di aspetti deteriori di sé negati, e misconosciuti. I figli utilizzati come “deposito” di attese narcisistiche o mediatori dei conflitti di coppia, che fanno esplodere con la violenza dei comportamenti antichi problemi silenti. Allora è importante con loro riprendere la propria storia, le relazioni di attaccamento con i propri genitori per riallacciare il filo rosso che li può rendere capaci di comprendere i figli di oggi, recuperando empatia e speranza».
Quali sono gli scogli principali con cui deve misurarsi uno psicoterapeuta che prende in carico genitori o figli di coppie omosessuali o famiglie non tradizionali? C’è uno specifico a cui prestare particolare attenzione? Non c’è il rischio di una “anormalizzazione del normale”?
Guanziroli: «Nel caso delle coppie omosessuali penso che un’attenzione specifica si debba rivolgere soprattutto agli aspetti che riguardano l’omofobia interiorizzata, intesa come quell’insieme di sentimenti ed atteggiamenti negativi che le persone omosessuali provano nei confronti del proprio orientamento sessuale, ed in modo particolare del cosiddetto minority stress o stress continuativo favorito da esperienze omofobiche di stigmatizzazione e violenza. Tali aspetti possono giocare un ruolo disturbante all’interno delle dinamiche di queste coppie. Basti pensare come, nel lavoro con i processi inconsci della diade, l’omofobia interiorizzata possa venire scissa e proiettata da un membro sull’altro oppure all’esterno della coppia.
L’omofobia interiorizzata può inoltre favorire la negazione di un desiderio autentico alla genitorialità rendendo nello stesso tempo invisibile ed illegittima una parte viva e vitale di Sè.
Le ricerche effettuate sull’influenza dello stigma sociale rispetto a tali famiglie mostrano naturalmente che la discriminazione e la violenza omofobica hanno un impatto negativo sul benessere dei bambini. Anche in questo caso sembra che il fattore protettivo che consente ai bambini di sviluppare una resilienza rispetto a vessazioni ed atti di violenza omofobica sia nello stabilire una interazione autentica da parte dei genitori nei confronti del bambino.
Ritengo che lo “specifico” a cui prestare particolare attenzione nel lavoro con famiglie omogenitoriali non debba essere inteso nei termini di una “anormalizzazione del normale”, ma come l’approfondimento da parte dello psicoterapeuta di temi legati all’orientamento sessuale, spesso trascurati anche dai manuali di psicologia, che contribuiscono a liberare il proprio ascolto dai pregiudizi».
Esistono in questa materia degli eccessi? Dobbiamo porci dei limiti e se sì in che termini?
Guanziroli: «In quanto psicoterapeuti, il compito che ci spetta credo sia quello di ascoltare la storia di come siano nate queste famiglie, i loro percorsi procreativi, spesso tortuosi e dolorosi, i loro vissuti, e cercare di fare il più possibile un lavoro “ricostruttivo” delle loro origini. Si tratta di raccogliere fantasie, emozioni e pensieri con la finalità di dare una forma e rendere dicibili tali esperienze, consolidando legami di attaccamento e favorendo quell’integrazione che è uno degli scopi di qualsiasi lavoro clinico e terapeutico».
È d’aiuto, per comprendere come meglio rapportarsi a questi nuovi scenari relazionali, lo studio antropologico di cosa sono state nel corso della storia e nelle diverse realtà etnico-culturali le aggregazioni familiari, i ruoli maschili e femminili, la considerazione dell’infanzia e della vecchiaia?
Vigorelli: «Certamente gli apporti interdisciplinari della storia dell’occidente – si pensi al mondo greco – ma anche di realtà etniche distanti da noi possono essere d’aiuto per sensibilizzare e aprire uno spazio mentale e creare una cultura dell’integrazione della “diversità”, che soprattutto in Italia incontra tante resistenze, paure e inquietudini soprattutto nei confronti del superamento dell’omofobia».
Lei vede dei rischi particolari per la salute di genitori e figli nella piega che ha preso il dibattito politico su questi temi? Se sì quali?
Vigorelli: «Direi che l’attuale dibattito parlamentare porta purtroppo ben lontano dal chiarire in modo scientifico le questioni aiutando a superare queste resistenze e quelle nei confronti della genitorialità sam-sex… come sempre l’ideologizzazione e l’asservimento riduttivo a giochi di potere che hanno origine da ben altre motivazioni, di fatto tende a confondere, banalizza (talora volgarmente) o addirittura stravolge la verità e la capacità di porsi non solo dal punto di vista dei diritti civili di queste coppie, ma anche della necessità di riconoscimento dei bisogni di bambini che stanno crescendo ormai in molte famiglie “arcobaleno”. Rimane quindi aperto un compito civile e culturale immenso per superare le discriminazioni e a noi clinici quello di elaborare modalità di approccio specifiche e integrate».
Tags: Nicoletta Collu, Sigmund Freud
Caro dottor Pugliese, sono una psicoterapeuta amica di Nicoletta Collu ed ero presente sabato scorso al seminario di studio. Ho letto con interesse la sua intervista coi colleghi e l’ho apprezzata molto. Spero che dal seminario di sabato possa nascere un lavoro di gruppo su questi temi, specialmente perché va approfondito il ruolo del terapeuta ( e della
autenticità o conflittualità della sua apertura nei confronti dei temi trattati). Su questo sono anche intervenuta sabato, dopo la relazione di Marta Vigorelli.
Grazie. Spero di conoscerla personalmente. Un saluto cordiale
Anna Viciani