Antiche sensibilità

Il 19 febbraio scorso, con un articolo intitolato Flussi, rivoli, vita, dopo aver dato conto delle interessantissime conferenze organizzate da Wlodek Goldkorn al museo Pecci di Prato ed intitolate “Uomini e guerra”, nel corso delle quali hanno parlato Luis Sepulveda, David Grossman, Marco Belpoliti, Donatella di Cesare e Gad Lerner, ho deciso di riproporre ai lettori del mio blog l’inchiesta sui primordi dell’immigrazione straniera che l’edizione toscana de l’Unità pubblicò tra il 6 luglio e il 4 agosto 1985, trentuno anni fa.

Io ero un giovane cronista, con solo 6-7 anni di mestiere sulle spalle ed il viatico in mano per diventare il più fedele e longevo vice caporedattore della redazione fiorentina del quotidiano fondato da Antonio Gramsci e l’alter ego del mio grande maestro, Gabriele Capelli, avendo iniziato a svolgere le mansioni credo nel 1986 per ottenere la qualifica, ma di caposervizio appena, solo nel 1989. Pago queste generosità ed il cinismo degli ultimi padroni delle ferriere con una pesante penalizzazione economica che mi costringe a pietire e chiedere malgrado l’età, ma tant’è: ne ho sul piano dell’onore.

Vado del resto fiero di essermi incuriosito, interessato, appassionato, messo a studiare argomenti ancora embrionali, anticipatori, ed anche un po’ scomodi. Come appunto i primi flussi immigratori di stranieri ricchi e poveri, dal nord e dal sud del mondo, all’epoca ancora mescolati agli strascichi di una turbolenza demografica che deportava a Moncalieri, a Collegno, a San Mauro Torinese “terroni” con la tuta blu dell’indotto Fiat per i quali era interdetta la casa come per i neri di Brazaville, costipava di baresi e tarantini le facoltà e le case dello studente di Bologna, sparpagliava nei campi del tabacco Kentucky valtiberino o nelle forre dove pascolano le greggi fra Pienza e Montalcino agricoltori salernitani e pastori sardi, costantemente associati alle bande che laddove c’è miseria in qualche modo devono trovare di che vivere, siano anche i sequestri di persona o lo spaccio dell’eroina.

Come i primi flussi immigratori di stranieri o la diffusione delle psicopratiche che, con l’amica Nicoletta Collu e i seguaci del buon vecchio Basaglia, ho scandagliato cerco di capire cosa fosse il disagio interiore di parti sempre più consistenti di popolazione; o la diffusione di una prostituzione più raffinata e nascosta di quella esercitata lungo le strade ventose delle periferie; o, infine, pur non pubblicato per il venir meno del tempo a disposizione, il dilagare, o il permanere, di religioni altre da quella trita e scontata stancamente esibita la domenica mattina insieme alla pelliccetta e al nuovo taiulleur.

Ne vado fiero, ho detto, e lo confermo, non per fregiarmi di un prestigio che può esserci come non esserci, ma per dar testimonianza di una voglia di capire che c’era, c’è stata, c’è e mi auguro prosegui, senza la quale mi convinco sempre di più che si viva come troppi che vedo intorno a me, sempre più tristi, erosi, malandati, insulsi. No grazie, non fa per me.

Nel post che precede ho pubblicato, dunque, l’indice degli articoli della mia inchiesta sull’immigrazione straniera fatta per l’Unità nel 1985. Grazie a chi ha avuto la pazienza, e magari il piacere, di leggerla.

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