Appropriazione indebita: introduzione

Introduzione

Ho raccolto, e ripubblico da oggi a puntate sul mio blog, contrassegnandoli con la sigla AI e la numerazione dei capitoli, alcune delle interviste fatte nei tanti anni che ho lavorato a l’Unità. La maggior parte di esse, è nella forma classica: domanda e risposta. Questo è il primo tratto comune che le tiene insieme. Solo in pochi casi, la forma giornalistica è diversa. La testimonianza di Mario Innamorati su una delle prime spedizioni scientifiche italiane in Antartide, per esempio, è raccontata in prima persona, quasi come un diario di bordo, perché il lettore si potesse sentire sul ponte di quella nave. Così anche il pezzo su Remo Bodei esula dalla forma classica di intervista: è il resoconto di un suo intervento a un convegno, ma il contenuto e soprattutto il «protagonista» rientravano a pieno titolo nel disegno che avevo in mente preparando questa raccolta. Idem per l’articolo con il professor Francesco Adorno.

Un secondo filo può essere rintracciato negli argomenti, che qui ho cercato di raccogliere suddividendoli in 3 capitoli. Assolutamente arbitrari, perché i temi trattati s’intrecciano e a volte reclamano una categoria a sé stante, come se non potessero essere imbrigliati. Quello forse più omogeneo è il secondo, nel quale si inseguono i discendenti della «stirpe di Prometeo». A misurarsi, per lo più, con gli affanni della scienza, con le zone d’ombra che questa ha incontrato e incontra nel suo cammino, piuttosto che con gli allori. Sta al lettore giudicare se mi sono sbagliato e se quei tre cancelli sono steccati fittizi, privi di senso.

Il terzo elemento in comune è rappresentato dai nomi delle persone che ho intervistato. Alcune di loro, purtroppo, ci hanno lasciato. Ludovico Geymonat e Luigi Amaducci non ci sono più. Non c’è più Eugenio Garin: una delle due interviste che gli ho fatto è stata a lungo appesa in una cornice nello studio del compianto Maestro Piero Farulli, e questo mi riempie di orgoglio. Non c’è più Francis Haskell, che più che un illustre intervistato è stato un carissimo amico con il quale ho dialogato per ore e ore tutte le volte che ci siamo incontrati a Oxford, Londra o, più che altro, Firenze e che oggi mi manca dolorosamente. O Francesco Adorno a cui devo, oltre che un bel voto sul libretto universitario, costanti garbatissimi incontri tanto da spingermi a farlo diventare un personaggio in un racconto che ho scritto. E ancora Paolo Rossi Monti di cui mi onoro di essere stato entusiasta allievo e altri ancora. Da giornalista sento l’orgoglio di averli intervistati, da uomo lamento la loro assenza, maledico l’impossibilità di sentire ancora la loro voce e leggere le loro parole.

Vivi e morti, illustri e sconosciuti, scienziati e filosofi, italiani e stranieri, hanno tuttavia, nella mia testa, un tratto che li unisce. Li ho interrogati su questioni che mi sembravano di capitale importanza (e so bene che non lo sono), talvolta mosso solo dall’opportunità che essi mi offrivano o dalla situazione contingente in cui li ho incontrati, ma toccando corde che, ritenevo, avrebbero vissuto più a lungo della copia di giornale su cui stavano per essere pubblicati.

Di questo «valore aggiunto» devo tutto agli intervistati, all’esperienza che si portavano dietro, alle competenze che avevano coltivato. Per questo il titolo più pertinente di questa raccolta mi pare Appropriazione indebita: la firma in fondo a quei pezzi è un piccolo furto. Mi consola che nessuno di loro ha mai protestato accusandomi di manipolazione. Sono stato fedele alle loro parole, ho cercato di spiegarle dove non erano chiare, di enfatizzarle dov’erano deboli, ma al massimo c’è stata qualche imprecisione, mai stravolgimento.

Non ho tuttavia ancora messo a fuoco il punto che maggiormente unisce queste conversazioni. Mi serve una parola che detta così può sembrare esagerata: i grandi. Sì, i grandi, e alcuni di loro lo sono davvero. Per questioni di età, di titoli, di autorevolezza, per il contributo che hanno dato al sapere della nostra stagione. Ho avuto imbarazzo a inserire dei cenni biografici dei miei protagonisti, doverosi per chi dovesse non averli mai incontrati: possono sembrare parole riduttive. Perciò dove ho potuto, ho creato un link a voci sul web che ne traccino il profilo. Il lettore ha diritto di sapere.

Non ricordo grandi insegnamenti ricevuti da mio padre. Per questo, forse, mi è rimasto impresso quando, un giorno di ordinaria desolazione di molti anni fa, insolitamente accortosi del disagio, mi disse: «Dialoga con i grandi». Citava Machiavelli che, costretto all’esilio lontano dal mondo, si rifugiò appunto nel dialogo con i grandi. La misura di questa grandezza può essere data dalla distanza a cui era costretto l’autore del Principe: Sant’Andrea in Per­cus­sina, a due passi da dove è stata scritta la maggior parte di queste interviste. Si può essere in esilio anche dirimpetto a casa.

Quei grandi per me vivono nei libri. Credo che abbiano accompagnato molti di noi. Alcuni di loro, appunto, li ho incontrati. Ho avuto questa fortuna. Ho dialogato con loro, ma più che altro li ho fatti dialogare, cercando di metterli in contatto con i veri padroni del giornale: i lettori. Sono riuscito a strappare loro qualche parola, a volte inseguendoli, a volte avvertendo che avevano qualcosa da dire. Qualcuno degli intervistati è davvero «un grande», qualcun altro ha collezionato molti meriti, qualcuno ancora non ha gran fama ma merita ascoltarlo. C’è ovviamente anche chi ha solo il nome.

Ho aggiunto all’ultimo momento, benché non sia un’intervista, il resoconto di un convegno tenuto al Museo di storia della scienza di Firenze nel marzo del 1989, portando le testimonianze di Lina Bolzoni, Paolo Rossi Monti, ma soprattutto di Umberto Eco. Sia perché appartiene ai grandi di cui dicevo, sia perché lì, forse, mi venne lo spunto del romanzo che giace nei miei cassetti pronto per essere pubblicato.

Raccogliendo queste interviste mi accorgo che hanno rappresentato un periodo molto felice del mio lavoro. Peccato che allora non me ne rendessi conto. Di questo devo chiedere scusa soprattutto alla mia ex moglie, Monica, che per molto tempo, inspiegabilmente, è riuscita a sopportare la mia perenne aria insoddisfatta.

Daniele Pugliese

Avvertenza

Nella maggior parte dei casi ho dato nuovi titoli alle interviste, forse più adatti al contesto diverso. Riporto tra parentesi quadra, alla fine di ciascun articolo, i titoli originali comparsi sul giornale con un collegamento alla pagina originale e la data di pubblicazione. Per lo più si tratta di articoli pubblicati sulle pagine culturali o scientifiche de l’Unità. Nei casi diversi riporto fra parentesi tonda il riferimento alla pubblicazione. Qualche articolo può differire leggermente dall’originale perché i testi a cui ho fatto riferimento sono quelli raccolti nel mio archivio elettronico: nel caso, per esempio, dell’intervista a Michela Nacci compare qui una domanda che sul giornale è stata tagliata per ragioni di spazio.

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