AI 3.2. Giorgio Abraham: L’ubriacatura del piacere

Giorgio Abraham

Appropriazione indebita

III. La nebulosa più prossima

3.2. Giorgio Abraham:
L’ubriacatura del piacere

«…sarebbe molto stupito all’idea che qualcuno possa considerarlo uno stupratore». Finiva così la testimonianza raccolta da Gianna Schelotto sull’«Unità» del 17 novembre di uno stupro «gentile». Sarebbe davvero molto stupito quello stupratore? La domanda l’abbiamo girata allo psicologo Giorgio Abraham, avvicinandolo al convegno della Società italiana di sessuologia tenutosi a Firenze. E gli abbiamo chiesto di ricostruire la psicologia di un ipotetico stupratore, magari «gentile» come quello della testimonianza di Gianna Schelotto.

Giorgio Abraham si è occupato più volte delle violenze sessuali. Anche casi aberranti, come quello del «mostro» di Firenze. Lo psicologo più o meno lo ha sfidato: vieni fuori – gli ha detto all’epoca dell’ultimo delitto – hai bisogno di noi. Ma l’uomo che ha ucciso sette coppie non ha risposto. Ciò non toglie che Giorgio Abraham si sia conquistato una discreta fama di esperto in materia.

Dottor Abraham si assiste a un’esplosione vera e propria dei casi di stupro. qual è la sua spiegazione?

Se veramente c’è stato un aumento delle violenze sessuali, e non piuttosto solo un aumento del numero di donne che si rivolgono alla polizia, ritengo che questo abbia a che fare con un tentativo di recupero del proibito da parte dell’uomo. La sessualità non è più proibita. Restano solo due sfere dove il proibito esiste ancora. Una è quella legata all’Aids. La diffusione dell’Aids comporta un rischio e questo rischio può appunto ingenerare l’idea del proibito. Ma il pericolo di morte è così forte che inibisce questo desiderio di avere a che fare con il proibito. L’altra strada allora è quella dell’aggressività, che va di pari passo con la paura che l’uomo ha della donna. Un uomo che tenta uno stupro sa che rischia la denuncia. E questo può suscitargli appunto l’idea di avere a che fare con il proibito.

E questo «bisogno» di proibito dove troverebbe origine?

Dietro c’è il vecchio problema del piacere. Abbiamo costruito un mondo dove dev’essere garantita la salute per tutti. E il piacere? Che spazio gli si è lasciato? Perché nell’idea che noi abbiamo della salute non c’è niente di positivo, di piacevole. La vediamo solo come un rimedio al male, non come una cosa bella. «Non fumate, vi viene il cancro», si dice. Ma io credo che sarebbe meglio dire «fumate solo le sigarette che vi fanno piacere, non quelle per abitudine, per darsi un contegno». E sono convinto che quelle sigarette non farebbero male. È lo stesso concetto per cui ai giovani vengono offerte come un modello le gare di formula 1 e poi gli viene chiesto di non superare una certa velocità. Nessuno si è mai sognato di chiedere a Villeneuve di diventare un idolo del «controllo della velocità».

Torniamo allo stupratore.

Lo stupratore potenziale è uno che ha una dimensione diversa del piacere. In qualche maniera è vittima di sé stesso, dell’ubriacatura di piacere fittizio che si è procurato e della voglia di varcare quella soglia attingendo appunto al proibito. Allora poveretti questi stupratori? No, la società deve difendersi. Ma non bastano le leggi, occorrono forme di prevenzione che non siano solo misure protettive, ma che tengano conto del fatto che non c’è piacere, c’è solo consumo. Gli schemi del piacere sono già preparati. E allora si cercano sensazioni forti.

Ma gli schemi del piacere sono già preparati anche per le donne, eppure di uomini stuprati, di donne che cercano il proibito in questo modo, non si sente parlare.

Be’, la forza e la violenza sono tipicamente maschili. Sono gli uomini che hanno inventato e fatto le guerre. E poi hanno più forza muscolare. Se lo immagina lei uno stupratore mingherlino? Potrebbe anche esserlo, ma dovrebbe agire in gruppo o armato. E questo fatto mi fa ritenere che lo stupro sia un fatto contingente, che se si modificano i parametri culturali potrebbe essere fatto anche dalle donne, da una donna armata o da un gruppo di donne.

Ci sarebbe qualche difficoltà.

Sarebbe uno stupro morale: «non sei neanche capace di un’erezione». E poi vede, io sono convinto che se una donna che sta per essere stuprata si mettesse a ridere, l’uomo desisterebbe, non avrebbe neanche un’erezione. Certo, sarebbe rischioso: l’uomo potrebbe anche ribaltare l’aggressività in omicidio, ma l’uomo è molto più influenzabile, forse scapperebbe.

Resta il fatto che di violenza femminile non si sente parlare. Non crede che sia anche perché in questi anni le donne hanno avuto il coraggio di parlare di questi argomenti, cosa che gli uomini non hanno fatto?

Sì, questo è vero, ed è il senso più positivo dell’emancipazione femminile, perché ha saputo sottrarsi alla minaccia, ma non tanto alla minaccia in senso fisico, quanto alla minaccia morale, alla paura delle dicerie, del «tacito consenso». Ecco, io credo che la prevenzione dello stupro sia proprio la demonizzazione del fatto.

Torniamo al piacere. Ha parlato di stupro come di ricerca esasperata di piacere. Non le sembra che si tratti di eccesso di piacere?

Sì, certo. E ciò che chiamiamo eccessi non sono piacere. Non ripropongo la «riduzione epicurea del piacere», ma riconosco che abbiamo finora trasmesso un messaggio che fa collimare l’eccesso con il piacere. Ed è sbagliato, perché l’ubriaco che ingurgita non assapora più il vino. Sono rimasto molto colpito vedendo su un muro questa scritta: «meno libertà, più eroina». È un falso, perché il piacere non è l’ossessione della sindrome da astinenza, non è mettersi un dito in bocca per mangiare ancora. Ma il piacere è una cosa personale, molto complessa. Ed esiste una reale difficoltà a misurare l’eccesso. Si fa un gran parlare di Don Giovanni di questi tempi. «In Ispagna son già milletre», forse un po’ di piacere lo avrà avuto, ma, come lo stupratore, non è un iperdotato nel piacere, è piuttosto come un sordo a cui bisogna urlare per poter parlare.

[Nello stupratore la folle paura delle don­ne], 22 dicembre 1987

Giorgio Abraham (La Spezia 1927) è uno psichiatra e sessuologo. Dopo aver studiato in Italia si è trasferito, negli anni sessanta, in Svizzera, ottenendo la cattedra di Psichiatria all’Università di Ginevra. Autore di numerosi libri è stato anche il vincitore del Premio Brancati 2000.

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