AI 2.10. Franco Pacini: Noi, figli delle stelle

Franco Pacini

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2.10. Franco Pacini: Noi, figli delle stelle

Era la notte fra il 23 e il 24 febbraio. Esattamente 170 mila anni fa. Le tenebre dell’universo s’illuminarono d’un tratto. Il segnale arrivò anche qui sulla Terra, ma solo l’anno scorso. Gli astronomi che lavorano nell’emisfero sud riuscirono ad osservarlo, per la prima volta così vicino. Era esplosa una «Supernova» nella nube di Magellano, a 170 mila anni luce dalla terra.

Che cos’è successo quel giorno? Lo abbiamo chiesto al professor Franco Pacini, direttore dell’osservatorio astrofisico di Arcetri.

«Le stelle nascono e muoiono. Quando muoiono possono provocare un vero pandemonio. Bruciano tutto e buttano fuori energia e materia finché resta solo il nucleo, un ammasso di materia molto più piccolo della terra che raggiunge il peso di una tonnellata per centimetro cubo. Sono le “nane bianche”. Le supernove, invece, muoiono in maniera violenta. Sono stelle più massicce. Diciamo, per capirci, 10 volte più del sole. Sono un po’ come alcune persone obese. Hanno un tracollo. Le parti centrali crollano su se stesse e creano un campo molto condensato. Diventano dei cadaveri di stella della dimensione di qualche chilometro. Quando muoiono liberano un sacco di energia sugli strati esterni e diventano molto luminose. Sì, liberano luce e energia cinetica, movimento. Sparano intorno a sé materia a 10 mila chilometri al secondo».

A quanto?

A diecimila chilometri al secondo. Diciamo: tutta l’Europa in un secondo. Sono gas e materia gassosa, molto scaldata e luminosissima che si proietta come in un’esplosione intorno alla stella che sta muorendo. Ecco, questa è una supernova. Sono fenomeni abbastanza rari: una ogni cento anni per ogni galassia. L’ultima supernova della nostra galassia è esplosa 384 anni fa, la osservò Keplero quando non esisteva ancora il cannocchiale. Gli astrofisici le hanno studiate al telescopio per molto tempo, ma sempre in galassie molto lontane. Un anno fa, dagli osservatori dell’emisfero sud, anche da quello europeo sulle Ande, e dai satelliti, ne abbiamo vista una vicinissima, in una galassia satellite al sistema solare, la grande nube di Magellano. È a 170 mila anni luce dalla terra, fatte le debite proporzioni, come se noi adesso, qui a Firenze, vedessimo qualcosa sulla collina di Fiesole.

Una fortuna, insomma.

Sì, un fatto eccezionale. Per la prima volta si è potuto studiare una supernova subito dopo la sua nascita. «SN 1987 A», così si chiama, è diventata una delle cose più interessanti del cielo. E ha cominciato subito a darci notizie importantissime.

Quali?

Be’, alcuni mesi dopo l’esplosione, nell’estate scorsa, abbiamo scoperto che quella supernova stava emettendo raggi X. Prima non c’era niente. Anzi, aspetti, telefono in Giappone per sentire le ultime notizie sulla supernova.

Franco Pacini si mette in contatto con il suo collega Tanaka.

Come sta la supernova?

Le emissioni di raggi X durano tuttora. I giapponesi hanno un bel programma spaziale. Piccole cose ma frequenti. Ma dati sulla supernova li riceviamo anche dalla Spacestation sovietica. L’emissione dei raggi X è una questione molto importante. C’è una specie di sfida tra due scuole di astronomi: chi pensa che siano prodotti dal grande riscaldamento della materia espulsa e chi invece che siano emessi dal corpo centrale, dal nucleo che si sta comprimendo su se stesso.

Lei da che parte sta?

Per me è il nucleo che sprigiona i raggi X. Se questo fosse vero sarebbe la dimostrazione che c’è un corpo centrale.

Perché, questo non è ancora dimostrato?

Sì, ma ripeto, non si era mai visto una supernova così vicina e subito dopo l’esplosione. La difficoltà di saperlo è legata anche al fatto che la materia espulsa durante l’esplosione crea come un velo impenetrabile. Ma è come quando il cielo è variabile. La nube può diradarsi e da un momento all’altro può esserci uno sprazzo di sereno, un buco. Ma la risposta l’avremo presto, perché se l’emissione di raggi X fosse dovuta al materiale radioattivo espulso durante l’esplosione, entro la primavera-estate non dovremmo registrare più nulla. Se invece è l’oggetto centrale ci saranno radiazioni per centinaia di anni, in futuro.

E chi sostiene la teoria opposta?

Molti studiosi americani. Dovendone citare uno direi Woosley. Ma la comunità degli astronomi è molto piccola e sa che un’occasione simile non si ripresenterà per centinaia di anni.

Si può prevedere quando una stella muore per dare vita ad una supernova?

No. Queste esplosioni sono come gli infarti per gli uomini. Si può dire che certi individui sono più predisposti. Nel caso delle stelle si può dire che una certa stella diventerà una supernova, ma non quando.

Perché è stata chiamata «SN 1987 A»?

Supernova 1987 A. La prima del 1987. Sì perché in altre galassie ne abbiamo avvistate altre, circa dodici all’anno. Ma nessuna resterà così famosa ed importante come la 1987 A. Forse ce ne sono altre, ma oscurate dalle polveri dell’universo.

Questo febbraio 1988 non è solo l’anniversario della supernova, vero?

Sì. Esattamente venti anni fa furono scoperti i pulsar.

Lei se lo ricorda quel giorno?

Sì, ero in America. Lessi un trafiletto che parlava di sorgenti radio nello spazio come se ci fossero stati satelliti naturali. Arrivavano dei bip bip dallo spazio ad intervalli di un secondo. Ci furono varie interpretazioni. Quella che risultò esatta era stata ipotizzata dal fisico sovietico Landau e poi dall’americano Zvicky negli anni ’30. Ma era solo un’ipotesi allora, basata su evidenze indirette non su scoperte. Quel bip bip arrivava da stelle minuscole che, ruotando su se stesse, ci presentavano una faccia, come un faro. Le stelle dal diametro di dieci chilometri si chiamano stelle di neutroni e hanno una grandissima concentrazione di materia.

Inferiore però a quella dei buchi neri.

Sì, i buchi neri si pensa che abbiano un chilometro di diametro. Sono stelle sulla cui superficie c’è una enorme forza di gravità. Se per vincere la forza di gravità sulla terra occorre una velocità di 10 chilometri al secondo, e per vincere quella di una stella di 100 mila chilometri al secondo, sul buco nero la velocità della luce non basta a vincere quella forza. Risucchiano tutta la materia intorno a sé, anche la luce. Quello che si può vedere è solo questo improvviso risucchio.

Torniamo ai pulsar.

Pensammo allora che una di queste stelle doveva trovarsi nella nebulosa del Granchio. E alla fine dell’anno fu trovata. Direi che è iniziato allora lo studio dei cadaveri di stelle. Una prova che dovrebbe associare i raggi X a uno di questi cadaveri.

Che cosa vi aspettate di sapere dalla Supernova 1987 A?

Soprattutto qualcosa sulla morte delle stelle, su come avviene la loro fine. Non molto di più, ma questo ha un’importanza più generale. In 10-20 miliardi di anni di stelle ne sono morte tante. E allora le domande che ci poniamo sono queste: quanti cadaveri ci sono nell’universo? Quante ce ne sono vive? Del resto la materia che sfugge da queste stelle è quella da cui nascono le altre. E noi siamo figli delle stelle, perché è la stessa materia di cui siamo formati noi. Non era mai stato possibile come in questo ultimo anno sapere tanto. Io credo che sia uno dei capitoli più importanti dell’astronomia.

[Noi, figli delle stelle], 21 febbraio 1988
Nota: a corredo dell’articolo chiesi alla casa editrice Einaudi
l’autorizzazione a pubblicare un ampio stralcio
del racconto di Primo Levi Una stella tranquilla,
tratto dal volume Lilith ed altri racconti.

Franco Pacini (Firenze 1939 – Firenze 2012) è stato un astrofisico italiano. Laureatosi in fisica presso l’Università di Roma, ha proseguito gli studi avviandosi all’insegnamento alla Cornell University di Ithaca (USA). Ricercatore all’Istituto di Astrofisica spaziale del CNR presso Frascati, nel 1978 è divenuto professore ordinario presso l’Università degli Studi di Firenze e, fino al 2001, direttore dell’Osservatorio astrofisico di Arcetri. Ha condotto importanti studi sulle supernove, le stelle di neutroni, i pulsar, i nuclei galattici attivi. Fondamentale viene considerato il suo contributo sui fenomeni associati all’intenso campo magnetico di una stella di neutroni rapidamente rotante. Come direttore dell’Osservatorio di Arcetri ha partecipato a vari progetti di collaborazione internazionale, tra cui quello per la realizzazione del Large Binocular Telescope (LBT), il più grande telescopio ottico su singola montatura, sul monte Graham in Arizona. In suo onore è stato battezzato l’asteroide 25601.

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