AI 2.9. Roger Hahn: Lo scienziato e il giacobino

Roger Hahn

Appropriazione indebita

II. La stirpe di Prometeo

2.9. Roger Hahn:
Lo scienziato e il giacobino

In una pausa del convegno organizzato dal Centro fiorentino di storia e filosofia della scienza in collaborazione con l’Istituto francese di Firenze su «La rivoluzione francese e la scienza», Roger Hahn, docente al dipartimento di storia dell’Università di Berkeley, scambia due parole con Sandro Pagnini, direttore del Centro fiorentino. Lamentano l’assenza al convegno degli storici e la scarsa attenzione che nei loro studi rivolgono agli aspetti scientifici della Rivoluzione francese.

Con Roger Hahn, allora, partiamo proprio da lì, dalla disattenzione da parte degli storici.

Professor Hahn, la rivoluzione francese è stata trattata moltissimo da un punto di vista storico. È uno dei periodi su cui si è scritto di più…

… sì, c’è una bibliografia gigantesca.

E allora come mai questo aspetto della scienza è rimasto in ombra?

Io penso che si tratti del fatto che la scienza, per gli storici in generale, non fa parte della cultura. Spesso pensano che la scienza sia qualcosa a parte e specialmente che la scienza sia apolitica. Che non abbia niente a che fare con la rivoluzione politica, che sia francese o russa o cinese. Ma oggi sappiamo bene che la scienza e la politica sono cose distinte che tuttavia hanno un rapporto stretto tra loro. E io credo che gli storici non abbiano capito questa cosa.

Nel caso della rivoluzione francese, questo rapporto fra la scienza e la politica come si è sviluppato?

Be’, prima c’è l’idea di razionalizzare lo Stato, che è un’idea scientifica che è passata al politico. Penso alle riforme sociali, a riforme ministeriali, dello Stato, per esempio quelle di Colbert. E questo è stato molto importante prima della rivoluzione e qui gli scienziati hanno avuto un’influenza notevole. Ma era qualcosa di nascosto. Gli scienziati erano consiglieri, ma non erano attori prima della rivoluzione. Hanno preso un posto più avanti, più scoperto solo quando è venuta la rivoluzione, sono diventati deputati, ministri, notabili. Se analizziamo la storia della Francia dopo la rivoluzione si vede che ci sono molti scienziati, tecnici, che fanno parte del governo. La scienza è accettata nella società francese come cosa normale della cultura e della politica.

Ma sono scienziati che diventano politici o restano scienziati che fanno politica?

Quando fanno la politica diventano politici, che però al tempo stesso continuano a fare le loro ricerche ed i loro studi di scienziati ed agiscono allo stesso tempo come politici e come scienziati. Nella Terza repubblica, nel 1871, c’era un ministro dell’educazione nazionale, Bertolot, che era repubblicano e, diciamo, molto feroce, ma che era anche un grande chimico. E poi Poincarré. E questo ruolo politico dello scienziato comincia con la rivoluzione francese, perché prima erano solo consiglieri.

La rivoluzione è uno spartiacque solo nel ruolo degli scienziati, nel loro rapporto diretto con la politica o anche nell’elaborazione delle loro teorie?

Le opinioni degli scienziati, le loro teorie, non sono cambiate in seguito a quell’evento. Per esempio Condorcet, che è stato uno scienziato prima e dopo la rivoluzione, non ha mutato il suo pensiero. Ma prima era consigliere di Turgot e dopo è diventato deputato.

Insomma, non si può dire che gli anni della rivoluzione siano stati anni caldi da un punto di vista delle acquisizioni intellettuali della scienza, delle scoperte. Lo sono stati di più i decenni precedenti e quelli successivi. Galileo da una parte, e siamo molto prima, o la grande biologia che arriva dopo…

Questo è vero, ma c’è un esempio molto importante che contraddice questa realtà: Lamarque. Non è stato uno scienziato molto importante prima della rivoluzione, ma ha avuto un posto, creato apposta per lui, nel Museo di storia naturale per lo studio degli invertebrati. È così che è diventato evoluzionista. Si può dire allora che la causa della sua acquisizione sia stata proprio la rivoluzione. E anche il Monge che ha fatto scoperte nella geometria descrittiva.

C’è però un altro aspetto che mi sembra importante: è in quegli anni che si fissa l’universalità del metro, che si stabiliscono delle unità di misura rigorosamente valide. Sembra un capitolo dell’affermazione ultima della borghesia europea come classe dominante, con la sua cultura e i suoi valori e, soprattutto, i suoi interessi immediati. L’impressione è che quegli anni abbiano portato una sorta di sistemazione delle conoscenze scientifiche più che un loro sviluppo.

Sì, sistemazione ma anche polarizzazione. Per esempio tutti i temi dell’Exposition du sistem du monde che è del ’96 e che fu un’esposizione della cosmografia per il gran pubblico o i lavori di Laplace o anche altri nella chimica. Sono appunto tentativi importanti di divulgazione. E poi passa l’idea che gli scienziati devono essere professori, che devono cioè spiegare al popolo, o meglio ad una parte di esso, le loro acquisizioni. E questo è qualcosa che si afferma solo con la rivoluzione francese.

Un altro elemento è quello della scuola pubblica. Le università esistevano già da tempo. Le accademie erano state la culla del pensiero scientifico nel secolo precedente. Ma è con la rivoluzione francese, con la nascita dell’Ecole Polytechnique soprattutto, che le istituzioni scientifiche diventano Stato o, almeno, parte dello Stato a cui è affidata direttamente la formazione dello scienziato. E così in qualche maniera si sancisce per legge il ruolo dello scienziato. È l’affermazione della scienza così come la intendiamo ancora oggi, mi pare.

Qualche idea di questo tipo c’era già prima della rivoluzione, per esempio nelle scuole militari, che richiedevano scienziati, matematici, per il Genio, per l’Artiglieria, per l’Esercito. Ma è con la rivoluzione che questo diventa una cosa normale per lo Stato, che la scienza diventa una cosa pubblica e statale. Non completamente, perché ripeto l’idea esisteva già prima. Ma si può dire che si consolida solo allora. Non solo. Proprio con l’Ecole Polytechnique si afferma l’idea della specializzazione della scienza. È un fatto che dopo la Rivoluzione gli scienziati difficilmente saranno al tempo stesso matematici e naturalisti e biologi. È troppo difficile essere tutti e due.

Un’ultima domanda: al di là della partecipazione degli scienziati alla rivoluzione francese, si può dire che la scienza, la cultura scientifica sia stata una specie di miccia per la rivoluzione?

No, non credo. Non credo che la scienza sia stata un centro di spinta per la rivoluzione, perché c’erano scienziati di ogni credo politico, aderenti a tutte le fazioni. Potevano essere monarchici o repubblicani, credere che la monarchia fosse meglio della Repubblica o che questa fosse meglio del sistema dittatoriale di Napoleone. L’unica cosa che avevano in comune era la credenza nella razionalità.

[Lo scienziato e il giacobino], 30 maggio 1989

Roger Hahn (Parigi 1932 – New York 2011) è stato professore emerito di storia all’Università di Berkeley in California (USA) ed era considerato uno dei maggiori esperti mondiali nel campo della storia della scienza. Studente già nel 1953 tanto di fisica quanto di storia all’Harvard College, ha proseguito la formazione all’École Pratique des Hautes Études di Parigi, quindi alla Cornell University, dove ottenne il diploma di insegnamento. Il suo studio più importante è quello sulle istituzioni scientifiche parigine, dalla loro fondazione alla loro dissoluzione durante la Rivoluzione francese ed al nuovo corso intrapreso in epoca napoleonica.

Vai all’indice di Appropriazione indebita

Tags: ,

Leave a Reply