AI 2.8. François Doumenge: Mare nostrum

François Doumange

Appropriazione indebita

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2.8. François Doumenge: Mare nostrum

Ha da poco preso il posto che dal 1957 era del comandante Cousteau. François Doumenge è il nuovo direttore del Museo oceanografico di Monaco, «uno dei punti più qualificati per l’osservazione del Mediterraneo». Esperto di oceanografia tropicale, Doumenge ha partecipato recentemente a un convegno sui parchi marini che si è tenuto a Firenze. Lì lo abbiamo intervistato.

Professor Doumenge, la malandata Terra è finita sulla copertina di «Time» come personaggio dell’anno. Nel 1990, secondo lei, farebbero bene a metterci il mare?

Le sembrerà paradossale, ma l’uomo non ha distrutto tantissimo il mare. L’uomo tocca solo piccoli settori del mare. Il Mediterraneo è uno di questi. Ma c’è una cosa molto importante che non molti sanno: le catastrofi naturali hanno molto più rilievo delle azioni umane.

Cosa intende per catastrofi naturali?

Per esempio l’eruzione di un vulcano sottomarino. Produce molto più zolfo di quanto noi ne possiamo produrre e gettare in mare in molti anni. E lo zolfo fa male al mare. Allora, lo stato del mare dipende molto dalle grandi forze naturali: geodetiche, climatiche. Ma anche l’uomo interviene. Lo fa, come dicevo, in un settore limitatissimo, lì però riesce a perturbare l’equilibrio naturale. L’esempio più significativo sono i delta dei fiumi che sfociano nel Mediterraneo. Sono completamente devastati. Quello padano per l’estrazione degli idrocarburi, quello del Nilo per la diga di Assuan che frena l’arrivo dei sedimenti, quello del Rodano per le centrali elettriche. In tutti questi casi i delta dei fiumi sono perturbati da azioni che l’uomo compie sulla terra ferma, in pieno continente. Se prendiamo il caso del delta del Nilo, si vede che costruendo la diga di Assuan, nessuno ha preso in considerazione l’effetto che quell’opera avrebbe avuto sulla costa, a tanti chilometri di distanza. La stessa cosa si può dire per gli altri fiumi: si è pensato solo a sfruttarli nel loro percorso sulla terra.

E questa «trascuratezza» che cosa ha significato?

Che appunto si sono avute delle modificazioni notevoli sulla costa e queste hanno un effetto sull’equilibrio naturale del mare. Altrettanto si può dire di un altro fenomeno: lo spopolamento prima delle zone sabbiose che si affacciano sul Mediterraneo e poi la loro colonizzazione turistica. È un fenomeno che ha avuto conseguenze estremamente pericolose, perché la sabbia è un elemento di equilibrio naturale: argina le tempeste del mare. Ora questa barriera su cui si infrangeva il mare non c’è quasi più. E bisogna ricostruirla se si vuole ristabilire l’equilibrio naturale del mare.

Grandi opere e turismo. Lei punta il dito su queste «attività umane». E gli scarichi delle città e delle industrie?

Oh, quelli non sono un grande problema. Perché sono facili da controllare. Si possono mettere i depuratori, si può agire sull’inquinamento chimico. Sembrerà incredibile, ma la crisi economica degli anni passati, soprattutto quella del settore metallurgico e delle raffinerie di petrolio, ha salvato il Mediterraneo, ha fatto molto di più di tutte le campagne ambientaliste. Ora si tratta, anche in presenza di una ripresa economica, di non riaprire più quelle fabbriche.

Professor Doumenge, esiste anche per il mare un fenomeno simile a quello che per la terra chiamiamo «effetto serra»?

Il mare è una grande riserva di energia e svolge sulla terra una sorta di ruolo di valvola regolatrice. L’evoluzione del mare è più lenta di quella della terra o dell’aria, quindi si può dire che ha ricevuto meno colpi. Diciamo che i fenomeni negativi non sono ancora così vistosi, marcati come quelli della terra. Ma proprio per questa maggior lentezza si può dire che i fenomeni, una volta consolidati, andranno avanti per più tempo. Dunque, se si considera il ruolo di valvola regolatrice del mare, si può dire che i fenomeni marini avranno molta più influenza sull’uomo di quelli terrestri, anche perché sono loro a determinare il clima del mondo. C’è inoltre un particolare che rende tutto più difficile.

Quale?

Che i comportamenti marini sono più difficili da osservare di quelli terrestri. E quando si è trovato il fenomeno, spesso è troppo tardi per porre un rimedio. Sulla terra è più facile intervenire.

Sulla terra l’uomo sta distruggendo pesantemente intere foreste. Esiste qualcosa di simile anche nel mare?

No, per il mare non c’è niente di simile allo stravolgimento cui sono sottoposte le foreste tropicali.

Neanche il saccheggio delle barriere coralline?

No, neanche quello, perché la barriera corallina è piccola e non svolge una funzione così importante come la foresta amazzonica. Questo ovviamente non vuol dire che la barriera corallina non vada salvata. Semmai il problema più grave è la distruzione della fauna marina.

È un fenomeno molto importante?

Importantissimo, per questo credo che si dovrebbero prendere delle misure drastiche. Del resto lo si è già fatto subito dopo la guerra mondiale.

Che misure intende?

Una politica di protezione delle specie animali, il divieto assoluto di pesca per qualche anno, la creazione dei parchi marini. Questo lo si può fare nel Mediterraneo. Servirebbe moltissimo anche da un punto di vista scientifico, perché essendo un mare «chiuso» ci dice molto in piccolo anche di quello che avviene negli oceani. Il Mediterraneo è un piccolo modello. Ora con i satelliti siamo alle porte di una vera e propria rivoluzione nella conoscenza del mare. Ci permetteranno di conoscere molto meglio la faccia del mare, ci consentiranno scoperte straordinarie. Ci daranno molte informazioni sulle correnti marine, sull’equilibrio tra oceano e atmosfera, sulla struttura del fondo marino. La superficie del mare, infatti, non è mai piatta e traduce le deformazioni del fondo. Pensi, col satellite recentemente sono stati scoperti 50 vulcani sottomarini nel Pacifico, tra Tahiti e la Nuova Caledonia.

["Salvate i pesci del Mare Nostrum"], 12 marzo 1989

François Doumenge (Viane 1926 – Nizza 2008) è stato un geografo specializzato in geografia marittima e delle isole. Per questa strada è divenuto un importante oceanografo conducendo lavori sulla pesca, l’acquacoltura, l’evoluzione degli arcipelaghi. Docente al Museo nazionale di storia naturale, ha insegnato etologia e conservazione delle specie animali, occupandosi sia di parchi zoologici che di orti botanici. Nel 1988 è succeduto a Jacques-Yves Cousteau alla direzione del Museo oceanografico di Monaco. È stato in seguito insignito del titolo di professore onorario del Museo nazionale di storia naturale.

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