AI 2.7. Peter Bunyard: Il punto di non ritorno

Peter Bunyard

Appropriazione indebita

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2.7. Peter Bunyard: Il punto di non ritorno

«Per un po’ si può vivere anche in presenza di grandi cambiamenti, ma poi c’è una frattura. E quasi sempre, a quel punto non si può tornare alle condizioni di prima». Peter Bunyard, condirettore della rivista britannica «The ecologist» non sembra un catastrofista. Ha la flemma del ricercatore, guarda ai fatti con crudezza, li descrive con precisione, non lascia spazio all’emotività. Ma questo non gli impedisce di mettere in guardia dal limite, dal punto di non ritorno. È intervenuto alla conferenza internazionale sulla distruzione delle foreste tropicali organizzata nei giorni scorsi a Firenze dagli Amici della Terra e lì lo abbiamo intervistato.

Signor Bunyard, partiamo da un fenomeno che tutti possono osservare. Le stagioni sono cambiate. Questo inverno è stato molto mite e abbiamo vissuto primavere rigide. Questo cambiamento ha a che fare con la distruzione delle foreste equatoriali?

In parte sì. È un ordine complesso, i fattori in gioco sono molti, ma l’aumento di temperatura e più in generale i mutamenti climatici hanno a che fare con la deforestazione amazzonica per le conseguenze idrogeologiche ma soprattutto per l’alterazione chimica dell’atmosfera.

Quali sono queste alterazioni chimiche dell’atmosfera?

Uno degli effetti più drammatici della deforestazione è che quando gli alberi vengono abbattuti e bruciati, aumenta il carico di monossido e di biossido di carbonio. Accanto a questo aspetto c’è l’aumento di emissioni di metano dal suolo dovute alla crescita delle risaie e degli allevamenti bovini, da un lato, e al moltiplicarsi dei termitai causato dalla mancanza di alberi. L’atmosfera svolge un importante ruolo ossidante che diminuisce con l’aumento della presenza di idrocarburi nell’atmosfera. È così che si formano gas come il cloruro di metile che, passando nella stratosfera agiscono da precursori alla produzione di cloro. Quest’ultimo è il responsabile della distruzione dello strato di ozono.

A che ritmo cresce questa produzione di metano?

Aumenta ad un tasso annuo superiore all’1%. Se questo fenomeno poi lo si mette in connessione con la produzione di ozono a bassa altitudine che avviene nelle zone a più alta concentrazione industriale si può capire quello che sta succedendo: una perdita di ozono nella pura atmosfera tropicale e una sua concentrazione nelle aree inquinate, dove potrà accelerare la produzione di piogge acide.

Ma qual è esattamente il ruolo che svolgono le foreste tropicali in questo ciclo biologico?

Le foreste umide tropicali ricoprono circa l’8% delle terre emerse ma svolgono il 40% dell’attività biologica sul pianeta. L’area più grande di questa zona tropicale è costituita dall’Amazzonia, un bacino di circa 7 milioni di chilometri quadrati che, da solo, rappresenta circa la metà delle residue foreste umide tropicali. Non che le altre zone non siano importanti, ma la sua estensione le conferisce un ruolo molto specifico nel riciclaggio delle piogge. Le foreste dell’Indonesia sono importanti, ma in molti casi si trovano su isole che ricevono quindi poca pioggia. La pioggia sopra al mare è carica di isotopi dell’ossigeno. Il più pesante di questi, l’ossigeno 18, è quello che evapora meno, quindi il meno presente, ma proprio per la sua pesantezza è anche il primo a cadere con la pioggia. È questo ossigeno che evapora dopo essere stato traspirato dalle piante. Nel vapore c’è energia sotto forma di calore, quel calore che permette di riscaldare le zone più lontane. Ma se non c’è questo meccanismo provocato dalle foreste l’aria diventa molto più calda.

Prima parlava di conseguenze idrogeologiche. Quali sono?

Quando la foresta è intatta, c’è una erosione del suolo di 0,5 tonnellate per ettaro. Se si taglia la foresta l’erosione sale a 200 tonnellate per ettaro.

Secondo lei le conseguenze possono essere reversibili?

Oltrepassato un certo punto, dove avviene una frattura netta, no. Il buco dell’ozono è un taglio netto, un punto catastrofico, dal quale non si può tornare indietro.

["È vicino il punto di non ritorno"], 27 febbraio 1988

Peter Bunyard si è laureato in scienze naturali a Cambridge e in fisiologia degli insetti ad Harvard. È stato uno dei padri fondatori della rivista “The Ecologist” con la quale collabora dagli anni Sessanta. Esperto dei problemi dell’Amazzonia è consulente di Greepeace per l’energia nucleare. È autore di numerosi libri.

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