AI 2.4. Willard Van Orman Quine: I nostri aruspici

Willard Van Orman Quine

Appropriazione indebita

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2.4. Willard Van Orman Quine:
I nostri aruspici

Ottant’anni esatti, allievo di A.N. Whitehead, Willard Van Orman Quine è passato dalla matematica (in cui si è laureato) alla logica, alla filosofia. Alla filosofia della scienza e del linguaggio, disciplina quest’ultima, dove ha speso le sue più recenti risorse.

Quine è stato nei giorni scorsi ospite di quel «Centro fiorentino di storia e filosofia della scienza» che da una decina di anni, malgrado gli ostacoli di una burocrazia miope e per l’impegno di nomi come Paolo Rossi Monti, Maria Luisa Dalla Chiara, Giuliano Toraldo di Francia, Ettore Casari, Salvatore Califano, Massimo Piattelli Palmarini, tenta di restituire a Firenze quel posto nel mondo scientifico che ha vantato in passato e di rappresentare un polo pubblico di divulgazione culturale ad alto livello, vicino ma esterno all’università. Il filosofo americano ha acconsentito ad una brevissima intervista dopo aver tenuto una lezione ad una folta platea di studenti, ricercatori e docenti della facoltà di filosofia di Firenze.

Difficile trovare le domande da fargli. Quine, che è candidato al premio Kyoto, l’equivalente per la filosofia del Nobel, è, come ha scritto Massimo Piattelli Palmarini recentemente sul «Corriere della Sera», «un filosofo dei più difficili». Meglio dunque farsi guidare dagli esperti che lo stavano ascoltando alla facoltà di filosofia di Firenze, ai ricercatori che conoscono i suoi scritti.

Che cosa chiederebbe lei a Quine? Ecco qui le loro domande e le risposte del filosofo che, sempre a detta di Piattelli Palmarini, rappresenta una sorta di spartiacque nella teoria logica: «Fino a Quine potevano essere veri o falsi soltanto degli enunciati interi: per esempio la “neve è bianca”… Con Quine, anche le singole componenti di una frase sottostanno a un criterio di vero e di falso: “neve” è vero della neve, “bianco” è vero delle cose bianche…».

Professor Quine, in che cosa consiste per lei la verità della scienza?

La verità consiste fondamentalmente nella predizione. È la predizione che costituisce il criterio di controllo per verificare una teoria. Quando si fa un esperimento si sa che si vuol produrre un certo risultato. Ma se il risultato non viene vuol dire che l’ipotesi è falsa. Ora, con una teoria si cerca sempre la semplicità, e la verifica consiste sempre nella predizione. L’utilità, l’obiettivo che si può raggiungere con quell’esperimento, è invece un’altra cosa. Ha molta importanza, soprattutto nella tecnologia, ma non è il movente della ricerca scientifica.

Dunque è il bisogno di sapere prima, di predire appunto, che muoverebbe la scienza?

Certamente. Anche la voglia di soddisfare una curiosità intellettuale spinge in questo senso e, come dicevo, la necessità di averne un’utilità. È così quando si vuol evitare un disastro o si ha intenzione di guadagnare sul mercato: in entrambi i casi c’è bisogno di predire. Ma non è sempre utile predire, mentre la predizione è indispensabile per la verifica della teoria.

Secondo lei la ricerca filosofica è una branca della ricerca scientifica o è qualcosa che vive di vita autonoma, indipendente?

La ricerca filosofica è senz’altro una parte della ricerca scientifica, perché non possiamo immaginare una fonte di conoscenza più sicura della scienza stessa. Se andiamo alla ricerca della conoscenza, l’ultima cosa a cui possiamo rinunciare è proprio la scienza.

Eppure si muovono molte critiche ai principi della nostra scienza. Quando una teoria scientifica sbaglia, secondo lei, si devono tentare delle piccole correzioni di rotta o si tratta di mettere in discussione i principi stessi della scienza?

Molte volte la scienza sbaglia, ma non abbiamo niente di migliore. Allora, quando c’è un errore, si cerca una correzione. Ma dev’essere una correzione non più radicale del necessario per non disturbare il sistema più di quanto è indispensabile. Sono rari i casi in cui si scopre che è necessario un cambiamento molto radicale. È stato così con la teoria della relatività di Einstein che ha imposto una revisione molto radicale dei presupposti della scienza. Ma in generale è molto più semplice.

Lei si ritiene un relativista?

Non so. In certi sensi sì, in altri no. È una definizione troppo usata: noi siamo imprigionati nelle teorie del mondo e nei sistemi degli scienziati ed è difficile a volte prescindere da quei significati. Sono espressioni che abbiamo inventato in maniera da dare dei riferimenti a quelle teorie e a quei sistemi. Ora, nel senso che normalmente si intende, non mi ritengo un relativista.

[La verità scientifica è nella predizione], 19 giugno 1988

Willard Van Orman Quine (Akron 1908 – Boston 2000) è stato un filosofo e logico statunitense. Ha ricoperto la cattedra Edgar Pierce di filosofia della Harvard University dal 1956 al 2000. Chiamato da taluni “il filosofo del filosofo”, è il modello quintessenziale del filosofo analitico.

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