AI 2.1. René Thom: Benvenuta, catastrofe

René Thom

Appropriazione indebita

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2.1. René Thom: Benvenuta, catastrofe

Tiene lezione nel santuario dell’infinitamente grande edell’infinitamente piccolo, in quell’Atlantide dell’universo scientifico dove le particelle atomiche sono state fatte correre ad una velocità tale che, scontrandosi, hanno riprodotto in laboratorio ciò che presumibilmente è successo 15 miliardi di anni fa, il big-bang.

Al Cern di Ginevra, ospite del fisico Ugo Amaldi e dell’Istituto italiano per gli studi filosofici che nella città svizzera ha portato la mostra su «Federico Cesi e la fondazione dell’Accademia dei Lincei», sale in cattedra René Thom, discusso personaggio nella comunità internazionale della ricerca scientifica, ma indubbiamente uno dei pochi viventi che dai nostri nipoti saranno ricordati come noi oggi ricordiamo Bacone o Darwin, se non proprio Galileo o Einstein.

René Thom, infatti, è l’uomo che ha elaborato quella «teoria delle catastrofi» che, da un paio di decenni, agita i sonni di matematici e filosofi, soprattutto dei secondi. È l’uomo che ha trovato una risposta credibile ad un antico interrogativo che si trascina dai tempi di Platone: perché, e in che modo, tanti piccoli mutamenti quantitativi possono produrre un mutamento qualitativo? È l’uomo che è riuscito a stabilire, come ha notato Krzysztof Pomian, «un legame intellegibile fra le cause le cui azioni variano in modo continuo e gli effetti discontinui».

A Ginevra parla di «scienze forti e scienze deboli: lo spazio dei modelli», nell’ambito di un convegno sull’unità e l’internazionalismo delle scienze e degli studi umanistici. Legge la sua relazione dopo l’intervento del filosofo Remo Bodei, un panorama del dibattito filosofico contemporaneo sull’unità della ragione nella multiplicità delle culture. Il pubblico degli studiosi del Cern segue con molta attenzione il suo intervento; lui contraccambia non perdendosi neanche un istante del convegno. È gentile e disponibile, ma concede solo pochi minuti per l’intervista, solo qualche domanda tra le tante segnate sul taccuino.

Professor Thom, la teoria delle catastrofi è il frutto della sua ricerca in due campi: da un lato l’analisi differenziale sul problema della stabilità strutturale e dall’altro il confronto con l’embriologia. Nel 1965 lei ha scritto che la sua teoria «presenta un grande carattere di astrazione e di generalità» e che «il suo campo di applicazione va ampiamente al di là dell’embriologia o anche della biologia». A più di vent’anni di distanza, può dirmi fin dove arriva il campo di applicazione di questa teoria?

Se lei intende campo di applicazione nel senso di efficacia pratica e di possibilità di predire e agire, finora non c’è praticamente niente, non si è fatto nessun passo avanti. Se, invece, intende la possibilità di migliorare l’intelligibilità dei fenomeni e la comprensione della teoria, credo che apporti e possa apportare molto; anzi, in molti casi, ha dato molto. Devo dire che per quanto riguarda la biologia è certo che le cose non sono andate così in fretta come io speravo. Voglio dire che le mie idee non hanno avuto nessun impatto sull’evoluzione della biologia, o almeno meno impatto di quello che avevo pensato trent’anni fa. E questo per un motivo semplice, per il motivo dell’obiezione sperimentale.

È una motivazione non indifferente.

Attualmente si pensa che una teoria debba essere in grado di prevenire. Io ritengo che questo sia sbagliato. Penso che ci si può dare un «corpus» di dati sperimentali conosciuti e proporre un’elaborazione teorica di questo «corpus» che sia in grado di portare a una presentazione più semplice, più elegante, più comprensibile senza che questa nuova presentazione porti necessariamente a delle previsioni. È in questa ottica che io lavoro in biologia. Prendo come dati delle cose che tutti conoscono. Non mi interesso dei fenomeni eccezionali, dei fenomeni che esigono davvero una conoscenza da specialisti. Credo che si possa fare una teoria della biologia fondata su delle conoscenze di carattere «grossolano».

Qui a Ginevra lei interviene sul problema dell’interdisciplinarietà. È un problema su cui si era già soffermato nel 1983 in un convegno a Rimini. È ancora convinto che le barriere tra le discipline possano superarsi solo con l’estensione della teoria matematica?

Non ricordo questo convegno a Rimini…

La sua relazione è stata pubblicata dall’editore Cappelli di Bologna in un volume curato da Piero Meldini che si intitola Katastrofè. Teoria delle catastrofi e modelli catastrofici

No, io non mi riconosco in questa affermazione, anche se non escludo la possibilità che la matematica possa essere l’unico sistema per superare la barriera tra le discipline. Io, però, ho scritto un tempo che nella scienza solo il matematico ha diritto ad essere intelligente. È una formula mia che mi hanno molto rimproverato. Penso che la matematica si sviluppi da sola, sia puramente «endogena». Non credo molto all’influenza delle applicazioni, contrariamente a quello che ritengono i fisici, secondo i quali l’analisi di Fourier viene fuori dalla fisica. Insomma, il mio pensiero è che gli uomini avessero costruito già tremila anni fa, prima di Cristo e forse ancor prima, degli strumenti musicali fatti con delle corde vibranti e che già allora si provava un certo piacere ad ascoltare i suoni. È a partire da questo che si sono realmente analizzati i suoni. Orbene, la matematica e l’armonia sono intimamente legate.

Ritiene che nella nostra epoca ci siano dei punti di rottura, dei punti di catastrofe? E ancora, professor Thom, non si sente in qualche maniera, anche solo inconsapevolmente, «padre» di tanti catastrofisti?

Gli apocalittici?

Sì, gli apocalittici.

No, davvero, non mi sento padre di un pensiero escatologico. Per quanto riguarda la nostra epoca, devo dire che il problema delle rivoluzioni sociali è naturalmente un problema interessante che si può far discendere dal formalismo catastrofico. È vero, ho anche scritto un articolo sull’argomento che riprendeva una conferenza da me tenuta a Vicenza, in un incontro alla fondazione Dora Markus. Lì ho dato un testo nel quale individuo un modello per le catastrofi storico-sociali. Ma questo modello di interpretazione non mi porta a rilevare nella nostra epoca segnali di catastrofe. No, penso che non ci siano… la specificità delle catastrofi è di essere imprevedibili, perchè le nostre società, in fondo, non hanno princìpi. Una volta avevano dei principi regolatori, trascendenti. Mi riferisco alla religione, al sacro, che fornivano appunto dei principi regolatori. Con il marxismo, poi, abbiamo avuto anche la referenza all’evoluzione della storia, allo svolgimento scientifico delle società. Ma adesso questi principi si sono aboliti e siamo in un vuoto di paradigmi, in una società che vive in assenza di paradigmi. Per paradigmi di una società intendo il principio organizzatore, ossia il mezzo con cui si attua la separazione fra governanti e governati. Ogni società è divisa in governanti e governati e il paradigma di una società è il protocollo che permette di scegliere i governanti: può essere per eredità, o procedendo a un esame, o ancora attraverso un meccanismo elettivo. E su questo non abbiamo più tanti paradigmi. Questo è un gran problema: il paradigma democratico-parlamentare è un paradigma che non ha più fondamento trascendente e, da questo punto di vista, son certo, è diventato un po’ fragile. Comunque, per rispondere alla sua domanda, ritengo che sia molto difficile prevedere le catastrofi… si può quando un sistema non è realmente stabile, ma davvero, prevedere una catastrofe è molto difficile.

[L’insostenibile leggerezza della società], 24 maggio 1988

René Thom (Montbéliard 1923 – Bures-sur-Yvette 2002) è stato un matematico e filosofo francese. Laureatosi in matematica all’Ecole Normale Supérieure di Parigi fino al 1951 è stato ricercatore al centro nazionale di ricerche francese, insegnando poi presso le facoltà di scienze a Strasburgo e Grenoble. Nel 1958 gli è stato assegnato il massimo riconoscimento internazionale per la matematica: la medaglia Fields. Dal 1963 ha insegnato all’Istituto di alti studi scientifici di Bures-sur-Yvette. È stato membro dell’accademia delle arti e delle scienze statunitense e dell’accademia delle scienze di Parigi. René Thom è fra coloro che hanno recato i maggiori contributi alla topologia differenziale ma è noto in particolare per la teoria delle catastrofi, termine con il quale si intendono cambiamenti improvvisi di un processo strutturalmente stabile. Thom con la sua teoria ha cercato di applicare la matematica ai fenomeni naturali, in particolare a quelli discontinui causati dalla continua variazione dei parametri da cui dipendono. Viene applicata a campi che vanno dalle scienze fisiche (meteorologia, fisica, ingegneria, biologia) a quelle umane e sociali (linguistica, semiotica, etologia, sociologia, economia).

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