AI 1.4. Nicolaj Rubinstein: Le lettere di Lorenzo
Appropriazione indebita
I. Ieri e oggi
1.4. Nicolaj Rubinstein: Le lettere di Lorenzo
Nicolaj Rubinstein, docente di storia al Westfield College dell’Università di Londra, è il curatore dell’edizione completa delle Lettere di Lorenzo dei Medici , pubblicata dalla casa editrice Giunti e Barbera di Firenze.
Quali sono le caratteristiche del progetto del Carteggio, da lei diretto?
La domanda mi impone di affrontare il problema della consistenza delle lettere superstiti di Lorenzo. Pur avendo il controllo della politica fiorentina, Lorenzo non aveva una posizione ufficiale a Firenze. Formalmente era un cittadino privato.
Con altri cittadini della classe dirigente faceva parte naturalmente, di tanto in tanto, di uffici e magistrature, si occupava della politica estera, ma, sul piano formale, nello stesso modo degli altri concittadini. Mentre le missive della Signoria o degli Otto di Guardia o dei Dieci di Balìa, furono registrate dalla cancelleria di Palazzo Vecchio nei registri che esistono ancora, questo sistema non fu applicato al carteggio di Lorenzo, perché era effettivamente un cittadino privato, pur avendo poteri e autorità assai maggiori degli altri. Lo stesso vale per le risposte: si conservavano nella cancelleria di Palazzo Vecchio. Anche nella segreteria di Lorenzo si cercava di conservare le lettere, ma evidentemente c’era un’organizzazione meno efficiente. Lorenzo non era un umanista, non conservava la propria corrispondenza in una collezione o in una raccolta, come Poliziano, o Ficino, o prima ancora Leonardo Bruni, per i quali anche le lettere facevano parte della produzione letteraria o filosofica. Le ordinavano mentre erano ancora in vita e questo naturalmente facilita il lavoro dello storico. Invece le lettere di Lorenzo – e qui non parlo delle lettere private o di quelle che riceveva – sono disperse in molti gruppi e sopravvivono in modo frammentario. Gran parte delle lettere superstiti esiste ancora negli archivi degli Stati ai quali erano indirizzate, negli archivi di principi o signori come i Visconti Sforza di Milano, i Gonzaga di Mantova, gli Este di Ferrara. Altre sono nell’archivio Medici a Firenze, perché vennero copiate dalla segreteria di Lorenzo prima di essere inviate. Altre ancora esistono in minuta nello stesso archivio. Ma in modo casuale. Spesso non si capisce perché una lettera è conservata in copia, ed altre, altrettanto importanti, non sono state copiate. Può essere dovuto al fatto che sono state perse o che i segretari non avevano il tempo per copiarle. Una terza categoria è costituita dalle lettere di ambasciatori a Lorenzo che erano pervenute all’archivio mediceo in un modo o nell’altro, e da copie di lettere che gli ambasciatori avevano conservato – è il caso di molte lettere di Piero Alamanni – e che poi sono pervenute all’archivio mediceo per varie strade. L’archivio Alamanni, per esempio, è giunto attraverso un matrimonio nel Cinquecento fra un membro della famiglia Medici ed uno della famiglia Alamanni. Solo dopo la seconda guerra mondiale è stato scoperto l’archivio di Nicolò Michelozzi, segretario di Lorenzo, che da lui ebbe incarichi importanti, anche come mandatario. L’archivio Michelozzi venne comprato dal principe Ginori Conti e, dopo la sua morte, ceduto allo Stato che lo ha conservato nella Biblioteca Nazionale. Lì ci sono moltissime lettere di Lorenzo.
Sono scritte direttamente da Lorenzo o dettate a un segretario e poi firmate da Lorenzo?
Questa è un’ottima domanda. La maggior parte delle lettere di Lorenzo sono scritte dai segretari che poi le firmavano col suo nome. Le lettere autografe di Lorenzo sono ingran parte lettere di famiglia o lettere diplomatiche di un peso speciale, perché evidentemente in quel periodo, come anche adesso, l’autografo aveva una dignità, un’autorità maggiore delle lettere dettate e che oggi verrebbero scritte a macchina o con il computer. Ci sono poi le lettere scritte dai segretari ma firmate da Lorenzo. In alcuni casi, per sottolineare l’importanza di una certa lettera, si aggiungeva la scritta «manu propri». Questo naturalmente solleva anche la questione della veridicità o, diciamo, dell’accertamento della misura in cui Lorenzo fu veramente autore di quegli scritti. É una delle questioni che preoccupano di più i curatori del Carteggio. Una categoria di lettere è senz’altro attribuibile ai segretari e non a Lorenzo. Sono le lettere commendatizie, e ce ne sono molte. Sicuramente in quei casi Lorenzo avrà detto: «Mi faccia una raccomandazione per quel tizio, dite questo o quello», perché spesso seguono delle formule precise. Quei segretari funzionavano come i moderni uffici stampa. Sì, un po’ come i press agent. C’erano poi delle lettere di introduzione o di presentazione. Questo succedeva spesso e lo stesso vale per la Signoria. La diplomazia segreta di quel periodo si conduceva in gran parte attraverso mandatari e ambasciatori piuttosto che attraverso la corrispondenza, perché c’era sempre il pericolo che la posta fosse confiscata dai nemici. Allora si scrivevano lettere in cui si diceva: «Vi mando Piero Guicciardini che potrà riferire…». Ma se arriviamo alle lettere veramente sostanziose vediamo che ci sono casi in cui furono scritte direttamente dai segretari, in base alle indicazioni di Lorenzo. Lo si può dire perché ci sono alcune lettere scritte quando Lorenzo era assente da Firenze, e talvolta veniva anche indicato. Ma a parte questi casi eccezionali, un’analisi attenta ci insegna che queste lettere sono diverse, e si arriva a un tale risultato anche attraverso un confronto fra le lettere autografe e quelle scritte dai segretari, specialmente attraverso una lettura continua delle lettere, che rispecchiano una consistenza sia intellettuale sia stilistica riferibile ad una persona sola. Sa, ci sono alcune particolarità molto interessanti dal punto di vista della storia della diplomazia e della politica, tanto che, qualche volta, si può avere l’impressione di leggere una lettera di Machiavelli. Ci sono particolarità stilistiche e sintattiche, espressioni dilemmatiche, frasi ipotetiche simili a quelle delle lettere di Machiavelli e naturalmente in tutti e due i casi è ipotizzabile che si richiamassero a delle abitudini, a degli insegnamenti, a dei costumi della classe politica fiorentina. Ma ci sono particolarità tipiche di Lorenzo. Esistono dei piccoli registri all’archivio mediceo che sono stati pubblicati anni fa sotto il titolo «protocolli del Carteggio di Lorenzo». In quei libri, i suoi segretari registravano i destinatari delle lettere spedite, accennando anche spesso al contenuto. Questi registri ci aiutano a capire la frammentarietà delle lettere superstiti. Sappiamo che esiste ancora una piccola quantità di queste lettere. In questi protocolli ci sono anche dei cenni interessanti sulla consistenza dell’archivio privato di Lorenzo. Spesso compare la scritta «copia», oppure «risposta», oppure «dettò Lorenzo», «dettò Lorenzo, copia». Lorenzo dettava ai segretari e questi protocolli ci indicano quali di queste lettere erano state dettate: «dettò Lorenzo». Purtroppo questi segretari non erano molto precisi e zelanti. Alcune delle lettere certamente dettate da Lorenzo non riportano quella scritta. Quindi qui navighiamo un po’ al buio, ma almeno abbiamo delle spie. Poi ci sono accenni al lavoro epistolare di Lorenzo. C’è, per esempio, una lettera ad un ambasciatore del 1479 nella quale si scusa per l’eventuale confusione, perché aveva scritto tutta la mattina, «e sono 22 ore», cioè dal crepuscolo del giorno prima «e non ho ancora mangiato». Insomma la corrispondenza occupava una parte sostanziosa del tempo di Lorenzo. Tutto questo naturalmente incide sulla nostra edizione del Carteggio. Proprio la frammentarietà delle lettere superstiti le rende incomprensibili per il lettore che non è al corrente della situazione politica e diplomatica di quei mesi, di quelle settimane, di quei giorni. La situazione della diplomazia italiana di quel periodo era estremamente complicata.
Quindi vi sarete trovati nella necessità di rendere comprensibile quel materiale alla luce degli avvenimenti dell’epoca?
Esattamente. Quando abbiamo iniziato questa iniziativa editoriale, nel 1955, con il compianto amico Pier Giorgio Ricci abbiamo fatto un censimento delle lettere. La pubblicazione dell’edizione cominciò nel 1974. È la casa editrice fiorentina Giunti e Barbera che pubblica il Carteggio, per conto dell’Istituto Nazionale del Rinascimento e in collaborazione con il Warburg Institute, con la Renaissance Society of America e con The Harvard University Center for Italian Renaissance Studies Villa I Tatti di Firenze. All’opera, e questo è importante, collaborano italiani, inglesi, americani. Dopo quel censimento abbiamo deciso di accompagnare la pubblicazione delle lettere con un commento dettagliato. Ci siamo accorti quasi immediatamente che era impossibile stendere un commento soddisfacente senza prolungate ricerche negli archivi, perché gran parte dei materiali di cui avevamo bisogno non era pubblicata. La grande ricchezza degli archivi italiani del basso Medioevo e del Rinascimento rende difficile la ricerca per la mancanza quasi assoluta di cataloghi o inventari ragionati di certi fondi. Questo riguarda specialmente, ma non solo, i ricchissimi archivi diplomatici. Gli ambasciatori scrivevano ogni giorno lettere di due o tre pagine. I riassunti di queste lettere esistono e naturalmente aiutano molto il ricercatore, ma prepararli è un lavoro lungo e difficile. Dobbiamo ancora leggere i carteggi diplomatici e farne dei riassunti e, in base a questi riassunti, preparare i commenti. In questo modo il commento costituirà quasi una storia della politica e della diplomazia italiana durante il periodo di Lorenzo o, più precisamente, da quando è stato capo del regime, nel 1469, fino alla morte nel 1492. Uno degli svantaggi di una edizione delle lettere è anche quello che non possiamo mai leggere le lettere ricevute, cioè quelle a cui Lorenzo rispondeva, o la risposta alle sue lettere. In questo commento, senza pubblicare intere lettere, abbiamo inserito, quando esistono le risposte, quelle lettere in estratti. Tutto questo vuol dire assai più di una edizione delle lettere di Lorenzo. Abbiamo cercato anche di trovare tutte le lettere che esistono ancora. La loro sopravvivenza in molti casi è fortuita. Alcuni grossi archivi, come quello di Milano, conservano ancora una grande quantità di lettere, ma in altri archivi, di potenze alle quali Lorenzo aveva effettivamente scritto – e lo sappiamo attraverso i «protocolli» – non c’è nemmeno una lettera. È il caso di Venezia, di Napoli e anche di Roma. Questa è una lunga storia, interessante anche perché si collega alla fortuna di questi archivi. Poi ci sono state le catastrofi: due grandi incendi nel Palazzo Ducale di Venezia nel Cinquecento; c’è stato il Sacco di Roma; a Napoli le truppe tedesche, durante la ritirata del 1943, hanno incendiato e distrutto gran parte dell’archivio aragonese. Ed esistono altri fenomeni di dispersione delle lettere che anche prima erano conservate in archivi privati o pubblici. C’è un gran numero di lettere che certamente una volta erano nell’archivio di Stato di Siena e che adesso sono per esempio qui nella Biblioteca britannica, o altre a Parigi. Nella prima metà dell’Ottocento, dopo la Rivoluzione francese, c’è stata una grande dispersione di archivi ed è nata la passione per gli autografi. Si rubavano e venivano venduti a collezionisti. È stato uno dei problemi più difficili per noi, perché spesso sono proprio lettere molto interessanti di Lorenzo e tante volte abbiamo visto che una lettera, citata magari in un catalogo di vendita a Parigi nella metà del secolo scorso è scomparsa e ricomparsa trent’anni dopo a Londra. Spesso siamo stati fortunati e ad un certo punto abbiamo identificato chi aveva comprato quella lettera. Come nel caso dell’archivio Michelozzi, che ho già ricordato e che a un certo punto è ricomparso. Dopo la prima guerra mondiale il membro di un ramo della famiglia, i Medici Tornaquinci, ha venduto a un’asta, qui a Londra, gran parte del suo archivio che conteneva molte lettere originali di Lorenzo a Piero Alamanni. Le lettere furono comprate dal proprietario di un grande magazzino qui a Londra, Selfridge, che si interessava alla storia del commercio, pensava ai Medici come a grandi commercianti. Selfridge riteneva ci fossero parecchie lettere e manoscritti di interesse commerciale, finché non ha scoperto che queste lettere non avevano niente a che fare con il commercio, erano messaggi diplomatici. Ora, quell’archivio – è un gruppo consistente di lettere, sono circa 90 – sono nella «School of Businness» a Cambridge. Altre lettere sicuramente salteranno fuori. Anzi, alcune sono già state scoperte e non abbiamo potuto includerle. In verità sono poche. D’altra parte, se dovessimo aspettare, non potremmo mai fare questa edizione del Carteggio. Pubblicheremo dei supplementi di aggiornamento.
Lei è a conoscenza di qualche fondo archivistico, di cui si è parlato o di cui si ha traccia, che non è ancora stato trovato?
No. Se lo conoscessimo naturalmente avremmo cercato di trovarlo. È possibile, anche se lo ritengo abbastanza improbabile, che ci sia ancora qualche archivio privato interessante. Abbiamo ovviamente esplorato anche gli archivi privati come, per esempio, l’archivio Martelli, o quello Guicciardini. Ma ce ne sono altri. Il fatto che l’archivio Michelozzi sia apparso non si sa di dove, mi fa pensare. È probabile che verranno alla luce dei piccoli gruppi di lettere, anche autografe, perché so, dai cataloghi di vendite di autografi, che ce ne sono alcuni che ancora non abbiamo rintracciato.
A che punto è l’edizione e la pubblicazione dei materiali?
Finora siamo arrivati al volume VI, ed entro l’anno uscirà il VII. Presumibilmente l’intero Carteggio richiederà dodici volumi. Ora sono in preparazione l’VIII e il IX che comprenderà l’anno 1489, un momento molto importante perché c’è stato il cardinalato di Giovanni de’ Medici. Per gli ultimi volumi la preparazione sarà più facile perché la consistenza del Carteggio è significativa. Ciò che porta via tanto tempo è il commento. Quando c’è una lettera all’inizio di un mese relativa a certi problemi politici o diplomatici e poi un’altra alla fine di quel mese, bisogna colmare la lacuna attraverso il commento; mentre, se le lettere si succedono con regolarità, il commento è più facile.
Lei crede che fuori d’Italia ci sia stato un interesse maggiore per il Carteggio di Lorenzo?
Non so se sia vero tra gli studiosi, ma certamente c’è stato un interesse più grande nel pubblico colto fuori d’Italia, specialmente nei paesi di lingua anglosassone e questo fa parte della storia della fortuna di Lorenzo. Lorenzo in Italia ha avuto, come diciamo noi, «a bad press», una cattiva stampa, in quanto è stato spesso considerato un tiranno, un signore che di fatto ha tolto e distrutto le libertà repubblicane. È un atteggiamento che risale in gran parte all’Ottocento col libro di Sismondi. È un atteggiamento che permane ancora oggi. Mentre all’estero prevale – e anche questo è un mito – il Lorenzo mecenate, l’uomo del Rinascimento.
Dal Carteggio viene fuori questo Lorenzo, né tutto mecenate né tutto tiranno?
Il mecenatismo non è in evidenza, a parte casi eccezionali, per la semplice ragione che la grande maggioranza delle lettere, per le ragioni che credo di aver spiegato, sono di carattere politico diplomatico. Sa, io non credo nemmeno che Lorenzo abbia scritto molte lettere agli artisti, perché a Firenze parlava direttamente con loro, non aveva bisogno di mandar loro delle lettere. Spesso gli artisti, a differenza dei letterati, non avevano archivi. Per quanto riguarda le lettere ai letterati, ai filosofi, a Ficino per esempio, ce ne sono alcune, ma le conosciamo perché furono conservate da Ficino stesso e poi pubblicate nel suo carteggio. Da questo punto di vista la pubblicazione del Carteggio di Lorenzo sarà deludente. La seconda questione che lei mi ha posto, quella del tiranno, ha una risposta molto diversa.
Immagino, anche perché lei, nel suo saggio Il governo di Firenze sotto i Medici, ha smontato il mito di Lorenzo signore assoluto e incontrastato, delineando la persistenza degli ordinamenti fiorentini e il peso politico del ceto oligarchico. In che misura le lettere illuminano questo periodo?
La posizione di Lorenzo a Firenze è di superiorità effettiva ma in una struttura repubblicana, assicurata attraverso un sistema piuttosto complicato di controlli elettorali e legislativi. Questa situazione si rispecchia nelle lettere in maniera indiretta. Non ci sono molti accenni alla posizione politica di Lorenzo a Firenze, che non è collegata alla sua condizione nella diplomazia. Faccio un esempio: in più di un’occasione Lorenzo mette a fuoco il fatto di non essere il signore di Firenze ma un semplice cittadino privato. Non era una affermazione originale perché si trova lo stesso atteggiamento già in Cosimo. Ma la posizione di Lorenzo era molto più forte di quella di Cosimo. Più, diciamo, organizzata. Si potrebbe dire che quell’affermazione era una tecnica diplomatica e spesso è vero quando Lorenzo dice, per esempio agli Sforza, di non poter decidere in prima persona certi sussidi o aiuti. Credo che questa voluta riduzione del proprio ruolo, questa falsa modestia, alluda o cerchi di spiegare la posizione effettiva di Lorenzo a Firenze, che si distingue dall’immagine di Lorenzo che prevale fuori dalla sua città. Proprio il suo ruolo preminente nella politica estera di Firenze, che naturalmente fa pensare a principi come gli Sforza o gli Este, induce a pensare a lui come a un signore. Evidentemente per Lorenzo valeva la pena di rimarcare questa sua condizione. Le faccio un altro esempio. Scriveva nel 1481 a Pier Filippo Pandolfini, ambasciatore a Napoli: «Pier Filippo, io non vorrei che il Re credessi che io fussi altro Lorenzo che quello che mi partì da Sua Maestà, né havessi altro che una fede. Voi sapete in che pericoli et afanni sono stato per i modi del Re con noi dopo la pace, et quello che ho potuto fare. Io non sono signore di Firenze, ma cittadino con qualche auctorità, la quale mi bisogna usare con temperanza et iustificatione». Questa non è una scusa, non è soltanto modestia, ma è una analisi precisa della propria posizione. Con modestia parla di «una qualche autorità» mentre aveva certo molta autorità, ma dice anche di dover «usare la temperanza e la giustificazione» e ciò corrisponde alla realtà. Il sistema mediceo, sotto Lorenzo, era in un certo senso un sistema politico misto di democrazia, o meglio un sistema dove coesistevano istituzioni repubblicane ed oligarchiche, con alcune caratteristiche di una Signoria. Prendiamo il consiglio dei Settanta: era una specie di Senato, che in un certo senso rispecchiava e assicurava la supremazia di Lorenzo, ma allo stesso tempo aveva degli aspetti oligarchici, perché qui erano rappresentate le famiglie della cerchia dominante. Questa situazione si riflette nelle sue lettere. Noi sappiamo che Lorenzo ha messo a punto una specie di doppia diplomazia. Moltissime volte all’ambasciatore della Repubblica fiorentina scrivono contemporaneamente sia Lorenzo che la Signoria o i Dieci di Balìa o gli Otto di Pratica. Le lettere di Lorenzo sono spesso più sostanziose e dettagliate di quelle inviate dal suo ufficio. Lo stesso vale anche per quelle ricevute. Lorenzo qualche volta scrive agli ambasciatori, ma lo fa anche all’ufficio, perché sa che deve conquistarsi il consenso e rispettare la forma. Insomma c’è un certo gioco di indipendenza e di consenso nelle decisioni diplomatiche che naturalmente si riferisce alla posizione di Lorenzo. C’è anche la distinzione che lui fa, fra le cose pubbliche e quelle private. Le pubbliche sono anche trattate dai magistrati, le private sono per conto suo. Le faccio un altro esempio. Scrive ai Dieci di Balìa, che erano, diciamo l’ufficio di politica estera: «Ho ricevuto le lettere dai Dieci e anche di commissari in campo, le quali essendo suggellate, sono stato perplexo infino a stamani se dovevo aprirle o no. Pure scrivendomi vostre signorie che le mandavano aperte perché io le vedessi stimo fussi piuttosto i cancellieri, et però le apersi». Mostra rispetto per le competenze dell’ufficio. Se fosse stato un signore come gli Sforza o i Gonzaga non si sarebbe preoccupato di tali sottigliezze.
Trattando con i Signori di altre città Lorenzo aveva un atteggiamento diverso, o comunque dava di sé un’immagine diversa?
È senz’altro vero che aveva un atteggiamento diverso quando si trattava di questioni «estere». Il fatto stesso che lui avesse una figlia sposata con il figlio del Papa, il fatto che suo figlio Giovanni fosse un cardinale, era un bene anche per Firenze. Non era soltanto una questione di famiglia. Tutti gli Stati italiani cercavano di avere dei cardinali perché diventavano una specie di ambasciatori. Questo fatto certamente dava un certo prestigio a Lorenzo. Era un cittadino privato, ma con una figlia sposata agli Orsini e con un figlio cardinale. Non era normale per un semplice cittadino. D’altra parte i principi italiani non potevano dimenticare il fatto che Lorenzo era un banchiere. C’è una lettera, scritta da Federico da Montefeltro prima della congiura dei Pazzi, quando il clima era certamente avverso a Lorenzo. Federico spiega al Re di Napoli che Lorenzo è un semplice mercante e che, insomma, non erano alla pari. Questa potrebbe essere una ragione per la quale Lorenzo voleva questi rapporti di parentela. Ma, lo ripeto, Lorenzo spesso dichiarava apertamente di essere un mercante. Non nascondeva la sua origine e la sua condizione sociale.
È consapevole di essere un mercante?
Si, è consapevole. Tante volte si trovano accenni di questo tipo nelle sue lettere. Fa parte della sua personalità. E si rende conto di essere un protagonista dell’inizio di una nuova stagione, la stagione della borghesia. Sì, questa è un’altra faccia di Lorenzo. Lui non amava molto la vita mercantile. Aveva degli obblighi per questa sua occupazione e la banca non andava molto bene. Non aveva delle entrate ufficiali dallo Stato e invece sopportava privatamente molte spese per lo Stato. È stato accusato di aver usato dei fondi statali e pare che lo abbia fatto, ma d’altra parte sostenere la diplomazia gli costava molto. Di questo, ogni tanto, si lamentava.
L’interpretazione guicciardiniana della bilancia dei poteri oggi viene sottoposta a revisione critica. Su questo punto, il Carteggio consente nuove interpretazioni?
Io credo che dal Carteggio risulti qualcosa su questo aspetto. Non credo si possa dire che Lorenzo teorizzasse la bilancia dei poteri, ma credo che l’attuasse nella pratica. Ha iniziato molto presto, l’anno dopo la sua ascesa al potere. Da molte lettere si può capire che Lorenzo era consapevole del fatto che Firenze, al confronto di Napoli o di Milano, era una potenza minore e tutto il suo gioco diplomatico – un gioco magistrale – serve ad annullare questa posizione di inferiorità. E ci riuscì. Sono sicuro che ha tentato effettivamente di evitare che una delle grandi potenze diventasse ancor più potente così da disturbare questo equilibrio
Un’ultima domanda, professor Rubinstein. Se gli ordinamenti della repubblica fiorentina non avessero avuto tanta resistenza, Lorenzo sarebbe riuscito a fondare una Signoria?
Mah, io davvero non credo che Lorenzo abbia cercato di fondare una signoria tipo quella degli Este o dei Gonzaga. Vede, il sistema repubblicano di Firenze non era soltanto un sistema costituzionale ma, come sempre, rifletteva delle realtà sociali, e in questo caso la tradizionale prevalenza di un gruppo di famiglie che non avevano il potere assoluto, ma esercitavano un controllo determinante nella scena politica. In altre parole ci sono due strutture: la classe politica, se si può dire, cioè quegli uomini che furono dichiarati eleggibili ai più grandi uffici, cioè all’esecutivo, al priorato, alla Signoria, ai Dodici. E questa era una struttura, che risaliva al Trecento e che fu rafforzata nella prima metà del Quattrocento. Ma all’interno di questa struttura, c’era una cerchia più ristretta di famiglie che avevano in mano gran parte della direzione degli affari. Quindi i Medici erano costretti ad accettare e a fondare la loro preminenza entro questi sistemi. Fu un processo lungo, avviato da Cosimo, dopo il suo ritorno, e perfezionato da Lorenzo nel 1480 con la fondazione di un consiglio, quello dei Settanta, che in un certo senso istituzionalizza una realtà politico-sociale esistente già molto prima. Così quello che si potrebbe chiamare il gruppo dirigente, diventò una specie di Senato. Era una riforma ma non una rivoluzione. Se Lorenzo avesse voluto trasformarsi in un signore avrebbe dovuto completamente stravolgere un sistema che si era sviluppato attraverso parecchie peripezie e con molte difficoltà nell’arco di oltre mezzo secolo. Ed era un sistema che funzionava benissimo. Io non vedo nessuna ragione, né c’è alcuna documentazione per appoggiare questa tesi.
[Lo sterminato mondo delle lettere], (inserto «I giorni di Lorenzo») 8 aprile 1992
Nicolaj Rubinstein (Berlino 1911 – Londra 2002) Fuggito dalla Germania durante la persecuzione degli ebrei, fece inizialmente tappa in Italia, a Firenze, per poi trasferirsi in Inghilterra dove è stato professore dell’Università di Londra fin dal 1945. Proprio alla legislazione antimagnatizia fiorentina degli ultimi decenni del Duecento, il “sodamento”, Rubinstein ha dedicato le sue prime ricerche apparse in volume nel 1939. Fu così che Firenze e l’Italia divennero il centro privilegiato della propria attività di storico. Nel 1966 pubblicò, tradotto in Italia nel 1971, un poderoso studio sul governo di Firenze sotto i Medici. Attento conoscitore di quel materiale fu incaricato di curare la pubblicazione delle Lettere di Lorenzo il Magnifico. È stato anche presidente del Comitato di coordinamento degli aiuti stranieri in occasione dell’alluvione di Firenze del 1966.
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