AI 1.3. Francis Haskell: Il grande fratello vecchio
Appropriazione indebita
I. Ieri e oggi
1.3. Francis Haskell: Il grande fratello vecchio
Professor Haskell, lei ha indagato a fondo il rapporto tra artisti e mecenati nell’età barocca. Cosa può dirci del mecenatismo a Firenze in pieno Rinascimento?
C’è una grandissima differenza tra il mecenatismo dei Medici, e di Lorenzo in particolare, e quello che ho studiato in epoca più tarda, nell’età barocca. La differenza più importante deriva dal fatto che a Firenze, in pieno Rinascimento, la società era ancora una repubblica. Non c’era una corte, o un papa, o un cardinale.
Si discute molto su che tipo di regime sia stato in verità quello di Lorenzo, ma comunque, almeno nominalmente, non era una società diretta da un re o da una famiglia reale. E questo determina una differenza enorme, perché significa che il mecenate in un certo senso è un semplice cittadino. Certo, è un cittadino ricco – i mecenati sono sempre ricchi – ma non sono signori che possono comandare a loro piacimento. Un progetto come piazza San Pietro a Roma non era neanche immaginabile nella Firenze del Quattrocento. Magari più tardi, quando c’era il Granducato, le cose cambiarono a Firenze, e cambiò anche il mecenatismo. Ma nel Rinascimento, cioè nell’epoca di Lorenzo, e indietro fino a suo nonno Cosimo, o al tempo di suo padre e dei suoi zii, un mecenatismo «fastoso» e «assoluto» non era concepibile, perché i Medici erano semplici cittadini. E quindi, anche per motivi politici, non potevano offendere i loro clienti. Il mecenatismo c’era, ma su un piano più nascosto. Non poteva essere «dimostrativo» come quello, ad esempio, dei francesi o di una qualsiasi società dove c’era un re o un capo incontrastato. C’è una spiegazione abbastanza semplice: nella Firenze del Quattrocento, si potevano rovesciare i Medici, anche senza la forza. Gli Strozzi, o un’altra famiglia, avrebbero potuto prendere il loro posto. Non è avvenuto, ma si sapeva che sarebbe potuto succedere. I Medici non potevano e non avrebbero certo voluto offendere i cittadini con un mecenatismo troppo ostentato.
Che tipo di mecenatismo è quello di Lorenzo?
Entro i limiti che ho cercato di spiegare, i Medici furono dei mecenati. Ci sono dei miei colleghi che hanno studiato attentamente quel tipo di mecenatismo e sostengono, e credo a ragione, che una delle caratteristiche del mecenatismo di Lorenzo fosse l’influenza, in una situazione del tutto diversa, del mecenatismo esercitato dai Gonzaga a Mantova o dagli Este a Ferrara o dallo stesso re di Napoli. Insomma, Lorenzo si è fatto influenzare dalle varie corti in Italia e per la prima volta, in una repubblica, ha creato un tipo di mecenatismo che era, se non proprio reale, almeno ducale. Direi che ha cercato di fare le stesse cose che in quell’epoca venivano fatte nelle altre corti e cioè ha avuto artisti che lavoravano per lui, che gravitavano intorno alla sua famiglia o che comunque facevano parte del suo entourage. Questo, credo, fu una grande novità per Firenze. È stato un tipo di mecenatismo non strettamente repubblicano, ma esercitato senza ostentazione. Non fu così plateale come più tardi il mecenatismo di tutti i cardinali e dei Papa a Roma o dei re di Francia. Lorenzo lo faceva in modo piùsottile.
Lorenzo come mecenate, si differenziava da suo padre o da suo nonno?
Lorenzo si è avvicinato a un mecenatismo di tipo ducale, pur mantenendo questa caratteristica di privato cittadino, di membro di una ricca famiglia che doveva rispondere anche ad altri interlocutori. È una novità introdotta proprio da Lorenzo. Ernst Gombrich ha scritto a proposito un articolo molto importante, che è stato molto discusso ma che a me sembra, in linea generale, un bellissimo articolo che ci dice che cosa fu effettivamente il mecenatismo fiorentino. Gombrich spiega che Cosimo dei Medici non avrebbe mai fatto un tipo di mecenatismo così personale come quello di Lorenzo. Quando si faceva una nuova chiesa a Firenze, o un monastero, si chiedeva a tante persone di contribuire, di fornire i soldi necessari. Cosimo faceva come tutti gli altri cittadini: dava la sua parte di soldi. Certamente ne dava più degli altri, considerata la sua potenza economica, e quindi aveva una certa influenza sulla costruzione della chiesa. Se mi è consentito mettere delle parole in bocca sua, lui avrebbe potuto dire: «Visto che io ho dato il doppio di quello che avete dato voi, io preferirei, se fosse possibile, che ci lavorasse un artista che conosco bene e che stimo molto». Più tardi Lorenzo cambia queste usanze. Lui ha visto che negli altri grandi centri italiani, c’erano famiglie reali o nobili che potevano ordinare quello che volevano, che si facevano costruire grandi palazzi, come a Mantova o a Ferrara. Ha quel modello davanti e a quel modello si avvicina. Ha potuto fare qualcosa di molto simile a quello che veniva fatto in quelle città, pur rimanendo, o almeno facendo finta di rimanere, un repubblicano. Ha avuto questa possibilità, perché alla fine del Quattrocento c’era un culto della personalità più forte che nella prima metà del secolo.
C’è qualcosa che differenzia Lorenzo da altri patrocinatori di artisti in quell’epoca?
Oltre alle differenze di cui ho parlato fra Lorenzo e i suoi predecessori, c’è un’altra caratteristica che gli va attribuita. Lorenzo è stato il primo o almeno uno dei primi a capire che l’arte, le belle arti potevano servire anche come strumento di propaganda per la sua città fuori da Firenze, e quindi non è stato un mecenate che si limitava ad ordinare quadri, statue, chiese per la città stessa. Molto spesso, e questo gli è stato rimproverato, mandava gli artisti a lavorare altrove, fuori Firenze. Erano quasi missioni diplomatiche. C’è un caso che è di gran lunga il più conosciuto, e che forse è un po’ un caso limite, ma che ci spiega che tipo di mecenate fu Lorenzo. È il caso della Cappella Sistina a Roma, dove vari artisti fiorentini, compreso Botticelli, hanno lavorato moltissimo. Botticelli, per esempio, ha fatto in un certo senso cose molto più importanti a Roma che non a Firenze. E le ha fatte mandato da Lorenzo dei Medici, perché Lorenzo capiva che poteva essere un intervento di politica culturale.Mi sembra un atteggiamento di grande modernità.Non c’è dubbio. Direi che ha anticipato quello che oggi fanno tanti paesi, l’Italia stessa, che hanno una politica culturale all’estero, con istituti di cultura in tutte le grandi città del mondo. Lorenzo è stato uno dei primi a capire quanto fosse importante far vedere che a Firenze c’erano grandi artisti, e a capire che questo poteva avere una certa influenza sulla politica magari del Papa, o del re di Napoli o di altri alleati o nemici in Italia. Più tardi questa concezione della politica culturale è stata applicata da molti, ma non mi risulta che, a parte Lorenzo, nel Quattrocento sia stata seguita da altri. Credo che lui sia stato uno dei primi a capire l’importanza che poteva avere la cultura anche nel campo della politica.
Che cosa crede lo abbia spinto a muoversi in questa direzione?
Evidentemente si era accorto che già dal Trecento in poi, nella letteratura, con Dante, Boccaccio, Petrarca, tutta la grande cultura italiana era basata sulla Toscana. Aveva intuito che, malgrado tutti i problemi che Dante aveva avuto a Firenze, ovunque si sapeva che il linguaggio della Divina Commedia era la lingua della Toscana e che tutta la cultura italiana dipendeva dalla cultura toscana del Trecento letterario. Penso che Lorenzo abbia preso le mosse da lì per tentare la stessa cosa con le belle arti. È interessante, perché ha significato la nascita, se si può dire, di un certo tipo di mecenatismo «a distanza», di un mecenatismo inteso come diplomazia culturale. Credo che Lorenzo ne fosse consapevole. Questo aspetto lo si vede nella sua politica di onorare gli antenati degli artisti e gli artisti già morti. Lorenzo fece costruire dei monumenti per loro, per far vedere che Firenze aveva una grande cultura e antiche tradizioni.
All’epoca c’erano altri mecenati nel resto d’Italia?
Sì. In ogni corte. I Gonzaga a Mantova, per esempio, furono grandi mecenati. Ma quello che si sviluppò nelle altre città italiane era un mecenatismo molto più legato alla celebrazione del principe, ai fasti del duca, finalizzato alla costruzione di palazzi patrizi e al loro abbellimento con affreschi, quadri, statue. Non fu, direi, un mecenatismo per la città. I Medici invece si vantavano di questo impegno pubblico. Allora si diceva, e lo si è poi detto in tutte le epoche, lo ha detto non solo Savonarola ma anche altri preti, che tutti quei soldi era meglio spenderli per i poveri. Si obiettava che c’era gente che moriva di fame mentre i Medici spendevano i soldi per costruire grandi monumenti. La difesa dei Medici fu sempre che non lo facevano per se stessi, ma per la gloria della città. Questa difesa era credibile a Firenze, mentre penso che a Mantova sarebbe stato molto più difficile. Lì il mecenatismo girava intorno al principe. Basta guardare il palazzo ducale di Mantova con gli affreschi di Mantegna: cose splendide, ma per i re, per i principi. A Firenze, nel Quattrocento, non c’è nulla di simile. Ci sarà solo nel Cinquecento con il Granducato.
Ritiene che il mecenatismo di Lorenzo fosse dettato dall’amore per l’arte?
Qui è importante fare una precisazione. Stiamo parlando del mecenatismo delle belle arti, dei monumenti, ma non bisogna dimenticare che per Lorenzo il mecenatismo più importante era quello delle lettere, la traduzione dei testi antichi. È abbastanza raro che nel Quattrocento qualcuno riconosca in Lorenzo un grande mecenate degli artisti. Al suo tempo era considerato una persona che proteggeva le lettere, dava la possibilità di leggere Platone, faceva riscoprire i manoscritti antichi, li faceva tradurre, li rendeva accessibili a un pubblico più vasto. Questo era molto importante. Noi siamo un po’, come dire, deformati perché attribuiamo più importanza alle belle arti, e ci sentiamo attratti più da un quadro di Botticelli che non da un testo antico che ormai si trova facilmente nelle librerie. Per loro, invece, tutta questa riscoperta del mondo antico fu di gran lunga più importante. Quindi non bisogna sbagliare sul significato di Lorenzo come mecenate. Io credo che non si possa dire che Lorenzo faceva tutto quello che ha fatto proprio perché amava l’arte. Certamente amava l’arte. Ma non lo faceva come si direbbe adesso di un governo che fa qualcosa per le arti, per incoraggiarle. Era raro in quell’epoca vedere opere d’arte firmate. Per esempio erano rarissime le «Vite degli artisti» nel Quattrocento. Solo molto più tardi, nella seconda metà del Cinquecento, con Vasari cominciano ad essere scritte le biografie degli artisti. Solo da quel momento ha iniziato a farsi strada anche l’immagine di Lorenzo come mecenate di artisti. Un’immagine che ci siamo portati dietro per molto tempo. Perché il mecenatismo di Lorenzo è stato descritto da Vasari in un ambiente molto diverso, quando Vasari e molti altri scrittori e artisti volevano onorare gli antenati dei Granduchi. Fu agiografia. Fu in buona parte agiografia. E, come sempre, fu antistorica. Perché quel tipo di mecenatismo che c’era nel tardo Cinquecento sotto il Granducato, era del tutto diverso da quello del Quattrocento. Se si guardano i grandi affreschi di Palazzo Vecchio dipinti da Vasari ed altri nel Cinquecento, si nota che sono tutti volti alla glorificazione della famiglia Medici, dei Principi, dei Granduchi. Raffigurano il Principe attorniato da artisti, da soldati. Ma questo era inimmaginabile nella Firenze del Quattrocento, perché per un cittadino privato era impensabile avere un artista privato o degli eserciti privati.
Nasce lì, insomma, un certo mito di Lorenzo mecenate?
In un certo senso sì. Vasari – non so se perché non aveva capito bene che cosa davvero fosse successo, o perché voleva onorare i suoi mecenati – ha inventato un mecenatismo alla cinquecentesca nel Quattrocento. Ultimamente altri storici hanno dimostrato che non tutto quello che diceva Vasari era esagerato. Vasari, per esempio, parlava di un grande giardino nel centro di Firenze con sculture antiche, dove artisti come Bertoldo, e soprattutto il giovane Michelangelo, hanno potuto studiare la scultura antica e si sono formati. Qualche anno fa si diceva che questa è la tipica esagerazione di Vasari, che pensa alla sua epoca, quando c’erano le accademie. Ma in questi ultimi anni alcuni studi hanno fatto ritenere che esistesse davvero un giardino. Forse non così importante, non così grande come lo descriveva Vasari, però c’era. Lorenzo aveva una collezione di sculture antiche. Bertoldo e Michelangelo ed altri artisti hanno lavorato ed hanno potuto studiare. In questo senso è vero che Lorenzo è stato trattato male dagli storici negli ultimi trent’anni. Certo è difficile trovare un equo punto di vista tra quelli che hanno voluto elogiarlo troppo e gli storici moderni che sono scettici e dicono che non possiamo credere a tutto quello che è stato scritto dagli antichi. Ma è verosimile ritenere che Lorenzo abbia introdotto delle novità come appunto l’allestimento di una collezione di sculture, e il fatto di aver fatto lavorare degli artisti nel suo ambiente.
Si può dire che Lorenzo abbia anticipato il mecenatismo moderno?
È difficile da dire. Il mecenatismo moderno è un mecenatismo di grossi affari, ma direi di sì, se è vero appunto che mandava artisti a Roma…Un po’ come i ministri alla cultura dei nostri governi…In quel senso sì. C’è un’altra cosa che lo rende interessante al confronto con i mecenati moderni. Lorenzo era un uomo colto. Si sa che leggeva Leon Battista Alberti. Conosceva bene i classici dell’arte. Si interessava moltissimo a quello che si costruiva in altre città. Chiedeva sempre che gli si mandassero i disegni e i progetti, per esempio, del palazzo ducale di Urbino. Voleva sapere cosa si faceva. Sono sicuro che aveva questo senso dell’emulazione. A Lorenzo interessava vedere che da una parte si faceva questo e da un’altra quell’altro. Questo lo capiva. Non so se i nostri mecenati moderni lo capiscono.
Chi sono stati gli artisti protetti da Lorenzo?
È difficile rispondere in modo diretto, perché ci furono artisti protetti da Lorenzo, ma la protezione non significava che li faceva lavorare per sé. Poteva proteggerli, o sponsorizzarli come si direbbe oggi, mandandoli a lavorare fuori Firenze. Gli artisti che ammirava di più forse erano proprio quelli che lavoravano meno per lui. Sembra un paradosso, ma credo che fosse così che lui dava corpo a quella sua idea della politica del prestigio culturale. Devo dire è molto difficile sapere davvero quali furono i quadri o le sculture ordinate da Lorenzo per sé stesso, perché tante cose delle collezioni medicee arrivarono dopo, con il Granducato, e tante erano già lì. Alcuni studiosi ritengono che Luca Signorelli avesse dipinto proprio per Lorenzo quel quadro meraviglioso che fu distrutto a Berlino durante la guerra, un grande quadro di nudi con il dio Pan. Non so se sia vero. Si sa che Botticelli ha lavorato per un cugino di Lorenzo. Quello che si sa quasi per certo è che Lorenzo interveniva quando si trattava di fare un palazzo o una chiesa. Faceva i disegni e collaborava direttamente con gli artisti. Ci sono casi di artisti che scrivono a Lorenzo chiedendo il suo consiglio. Spesso scrivevano «Lorenzo, tu che sai tante cose, forse mi puoi aiutare», in modo molto amichevole, ed è possibile che Lorenzo stesso collaborasse con gli artisti. Non bisogna dimenticare che scriveva poesie ed è verosimile che lavorasse anche con architetti.
Che benefici traevano gli artisti dal loro rapporto con Lorenzo?
Per loro era una fatica andare a lavorare a Napoli o a Roma o altrove anziché restarsene a casa, ma questo gli dava una fama internazionale, perché tutta l’Europa era affascinata da quello che stava succedendo in Italia alla fine del Quattrocento o ai primi del Cinquecento, quando arrivarono i Francesi e poi, più tardi, gli Spagnoli. Evidentemente era importante lavorare in mezza Italia, questo dava all’artista molti soldi, ma soprattutto un prestigio che non aveva mai avuto prima. Tanto che da quel momento in poi, i principi di altre corti cominciano a scrivere ad artisti come Michelangelo. Vogliono qualsiasi cosa sua, una scultura, se non una scultura un quadro, oppure un disegno o qualsiasi altra cosa. Questo riconoscimento a Michelangelo fu attribuito più tardi, ma bisogna ricordare che è stato un artista creato nell’ambiente dei Medici.
Gli artisti a quell’epoca avevano un riconoscimento sociale?
Sì, anche se nella prima parte del Quattrocento è abbastanza difficile parlare di un vero e proprio riconoscimento sociale. Si vedono artisti che scrivono a Cosimo dei Medici in tonofamiliare e questo anche per il fatto che Cosimo dei Medici voleva essere considerato un cittadino normale, non un principe. A Firenze un artista poteva rivolgersi a Cosimo e anche a Lorenzo in una maniera che sarebbe stata inimmaginabile altrove. Certo, questa era una finzione, perché Lorenzo era molto più ricco ed aveva molto più potere. Ma la finzione più o meno si manteneva, forse come avviene un po’ adesso che ogni tanto mi capita di essere invitato a cena da un miliardario che mi chiama con il mio nome, ed io lo chiamo con il suo nome, e per due ore mangiamo e beviamo la stessa cosa, poi io vado a cercare il pullman e lui fa arrivare la sua macchina con lo chaffeur. Ma più tardi, nel Cinquecento, scrittori come Vasari avevano un interesse anche personale ad esagerare questo riconoscimento sociale. E allora si sono inventate tante storie e si è raccontato che Tiziano dipingeva e che l’imperatore gli raccolse il pennello che gli era caduto per terra. C’è insomma tutta un’aneddotica per dimostrare che anche Carlo V, il più grande re del mondo, va ad aiutare l’artista. Ma è con i Medici, e con Lorenzo soprattutto, che si assiste a una sorta di glorificazione degli artisti che avevano contribuito allo splendore di Firenze. Penso che mai prima del Quattrocento a Firenze, un artista abbia avuto un suo ritratto fatto a spese dei Medici o dello Stato.
Il mecenatismo di Lorenzo era rivolto anche a consolidare il proprio prestigio all’interno della città?
Sicuramente Lorenzo capì che avere bravi artisti al proprio servizio poteva avere un’importanza sociale. I Medici facevano una specie di doppio gioco: da un lato volevano essere cittadini del tutto normali, vivendo in una repubblica dove tutti potevano fare quello che volevano e dall’altro volevano mantenere sè stessi al potere. In un certo senso facevano un po’ come i nostri uomini politici. Vede, quando si parla di mecenatismo adesso pensiamo ad un mecenatismo soltanto artistico e letterario. Bisogna invece tenere presente, e penso che il professor Nicolai Rubinstein potrebbe confermare quanto sto per dire, che per certi versi tutto il sistema di potere a Firenze consisteva in una sorta di mecenatismo, o di clientelismo si direbbe oggi, nel senso che si diceva «tu fai questo per me ed io voterò per te». Dunque anche in quel senso era importante aiutare e proteggere gli artisti, non solo per puro amore dell’arte, ma anche perché si sapeva che si sarebbero potuti trarre vantaggi dal punto di vista del prestigio. Ora io non vorrei si credesse che tutto questo sia riducibile ad un puro interesse materiale. I Medici erano persone culturalmente preparate e più di altri hanno capito il valore degli artisti ed hanno scelto bene gli artisti. Hanno fatto molto, molto per l’arte e sarebbe un errore dimenticarlo.
I Medici sono stati anche dei collezionisti?
Sono stati dei mecenati, ma per loro fu più importante essere dei collezionisti e soprattutto dei collezionisti delle cose dell’antichità: gemme, monete, busti, statue. Queste cose avevano un significato che noi non possiamo neanche immaginare adesso. Anzi, si sa che, quando alla fine dell’Ottocento i primi grandi studiosi hanno cominciato a studiare gli inventari di Lorenzo e degli altri Medici, hanno visto che c’erano delle cose incredibili. Hanno visto, per esempio, che per una piccola gemma antica, che noi considereremmo oggi magari abbastanza carina, ma niente di speciale, i Medici erano disposti a pagare non cento, ma duecento, cinquecento volte di più di qualsiasi capolavoro di un artista moderno. E a quegli studiosi sembrava così impossibile questo, che addirittura hanno tolto quelle cose dai loro articoli.Anche per questo la nostra idea del mecenatismo dei Medici è stata falsificata. Perché quando hanno pubblicato quegli inventari, questi grandi studiosi della fine dell’Ottocento hanno pensato che fosse assurdo che i Medici avessero pagato tanto per una piccola gemma o una piccola statuetta di bronzo tardo romana, o addirittura per una copia antica di un’opera greca. Sembrava assurdo mentre in quello stesso momento lavoravano Botticelli, Michelangelo, Signorelli e tanti grandi artisti. Credo che finché gli studiosi di collezionismo e quelli di mecenatismo non si metteranno insieme si capirà male quale era il vero gusto dei Medici.
Professor Haskell, vorrebbe dirci anche qualcosa sulla fortuna di Lorenzo attraverso i secoli?
Volentieri. È importante l’idea che ci si è fatti di Lorenzo nei secoli dopo la sua morte. Lorenzo è stato sempre accettato come il prototipo del mecenate artistico e quindi ha sempre suscitato interesse, tanto che si potrebbe coniare la parola «medicismo», perché per l’epoca moderna lui ha rappresentato quello che per il mondo antico rappresentò Mecenate, l’antico romano che favorì le arti e la letteratura.
Lorenzo o tutti i Medici?
I Medici in generale, ma più particolarmente Lorenzo. Forse non è giusto, ma Lorenzo ha avuto un’enorme considerazione subito dopo la sua morte. Nei secoli successivi, non c’è stato moltissimo interesse per quello che era successo nei primi anni del Quattrocento, quando c’era Cosimo. È Lorenzo che ha suscitato un interesse enorme, già dal Cinquecento. E questo anche perché è stato il mecenate di Michelangelo e dal Cinquecento fino al Novecento, quando si parlava di artisti fiorentini, non si pensava a quelli che noi oggi consideriamo grandi artisti come Filippo Lippi o fra Angelico o tanti altri. Per tutto il Settecento, e anche per l’Ottocento, questi artisti erano artisti primitivi, così si diceva, e il grande artista era Michelangelo e Lorenzo era legato a Michelangelo. Quindi il mecenatismo di Lorenzo è stato considerato di gran lunga il mecenatismo più importante.
Ma quando nasce il culto di Lorenzo?
Già nel Cinquecento c’è stato un certo culto di Lorenzo. E poi nel Seicento ci sono stati quadri, dipinti, affreschi che raffigurano Lorenzo circondato da artisti. Già allora lo si considerava soprattutto un grande mecenate di letteratura e un uomo che aveva favorito la riscoperta dell’antichità. Ma è solo nel Settecento, con l’arrivo dell’illuminismo, con Voltaire e Gibbon, che Lorenzo è diventato un mito. I grandi storici del Settecento hanno considerato che tutto il mondo moderno derivasse da Firenze e che Firenze fosse stata la culla della cultura moderna e, di più, di tutta la modernità, e che Lorenzo ne sia stato il massimo artefice. È significativo che Gibbon, incoraggiato certamente dall’entusiasmo di Voltaire, avrebbe voluto scrivere un libro sui Medici e soprattutto su Lorenzo. Ma non l’ha fatto perché c’era un problema politico. E cioè che si poteva dire: «Sì, d’accordo, Lorenzo è un grandissimo mecenate, ha fatto tante cose per le belle arti e per la letteratura e per la scoperta dell’antichità, però era un tiranno». Firenze era un comune, e per la cultura del Settecento rappresentava quasi un’utopia. Non l’avrebbero chiamata democrazia solo perché ancora non esisteva il concetto di democrazia, ma comunque era uno stato libero, dove tutti i possidenti, tutte le persone che avevano una certa quantità di soldi, i borghesi, potevano votare, potevano decidere il governo. E loro pensavano che questo fosse stato distrutto da Lorenzo. Pensavano che il nonno Cosimo fosse ancora un democratico – non è la parola giusta – ma comunque uno che faceva parte della costituzione repubblicana fiorentina, e che invece Lorenzo fosse molto più tirannico. Era molto difficile per le persone nel Settecento scrivere su Lorenzo, perché da una parte era uno dei grandi eroi del mondo e della cultura moderna, ma dall’altra parte era l’uomo che aveva assassinato, se si può dire così, la libertà a Firenze. Più tardi è arrivato un inglese molto interessante, Roscoe, che ha scritto un libro che ha avuto una risonanza europea, tradotto in tutte le lingue del mondo. Roscoe era un banchiere, affascinato dall’idea di un banchiere colto com’era stato Lorenzo. Scrisse un libro che forse è il primo libro di storia culturale su Lorenzo. Parla del Magnifico come uomo politico, ma anche come mecenate della cultura. Questo libro ha avuto in un certo senso un successo europeo, in Italia se ne è parlato moltissimo. Ci fu una grande avversione verso questo libro fra le persone che erano contro la dittatura – ma non è questa la parola che veniva adoperata – diciamo fra le persone che erano contro l’ancient regime. In particolare ci fu uno svizzero, uno storico importantissimo all’epoca ma non molto letto oggi, Sismondi, che più tardi scriverà quel grande libro in quindici volumi sulla storia dei comuni in Italia, il primo e forse ancora il più bel libro sul medioevo italiano. Lui aveva quest’idea generosa, forse non del tutto accettabile storicamente, che nel medioevo tutte le città italiane, Siena, Firenze, erano quasi come la Svizzera di adesso, cioè indipendenti, governate da cittadini, senza tiranni, senza re, senza autocrazia, senza dittatura. E quando Sismondi lesse il libro di Roscoe su Lorenzo dei Medici, scrisse una lettera in cui diceva: «Non so più se devo piangere o se devo ridere su questo libro. Sì, d’accordo, forse Lorenzo ha fatto qualcosa per le arti, però è stato una persona orrenda, una persona che ha distrutto le libertà che c’erano, che ha fatto ammazzare tutti quelli che erano contro di lui, un uomo corrotto, cattivo, con tendenze dittatoriali, che grazie a dio è morto abbastanza giovane, se no chi sa cosa avrebbe fatto e da lui cominciano tutti i tiranni, tutti i duchi in Italia nel Cinquecento». Sismondi era una persona intelligente e riconosceva che Lorenzo era stato un grande mecenate, ma era convinto che per quel mecenatismo si fosse pagato un prezzo troppo alto. E l’argomento che contrapponeva il mecenate al tiranno dura ancora, perché non abbiamo smesso di domandarci fino a che punto si debba valorizzare la cultura contro la libertà.
[Il debutto della politica culturale], (inserto «I giorni di Lorenzo»), 8 aprile 1992
Francis Haskell (Londra 1928 – Oxford 2000) è stato uno dei più importanti storici dell’arte. Dopo gli studi a Cambridge, dal 1967 ha insegnato storia dell’arte all’Università di Oxford, della quale è stato professore emerito dal 1995. È stato membro della British school at Rome (1971-74) e dell’American Academy of Arts and Sciences (dal 1979). Numerose le sue pubblicazioni che spaziano in settori anche molto diversi della storia dell’arte, nonché la sua partecipazione all’allestimento di importanti mostre. In particolare ha studiato i vari aspetti del rapporto tra arte e società, attraverso un’ampia visione e un puntuale metodo storico, mettendo in luce la funzione della committenza in relazione all’orientamento e alla produzione artistica. È stato un acuto indagatore del fenomeno artistico a tutto campo, approfondendo i temi del collezionismo, della musealizzazione e dell’esposizione delle opere d’arte, anche in rapporto alla storia del gusto e ai suoi mutamenti nel tempo.
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