AI 2.15. Umberto Eco: Il nodo al fazzoletto

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2.15. Umberto Eco: Il nodo al fazzoletto

Il sistema più conosciuto è probabilmente quello del nodo al fazzoletto. Ma di metodi per ricordare, attraverso i secoli, l’uomo ne ha inventati parecchi. A ripercorrerli e decodificarli, Paolo Galluzzi, direttore del Museo di storia della scienza di Firenze, ha chiamato alcuni fra gli studiosi più prestigiosi dell’Occidente: dallo storico della filosofia scientifica Paolo Rossi, a Umberto Eco che, accantonato l’abito del romanziere, si è rivestito dei suoi panni di semiologo; dal premio Nobel della medicina Gerald Edelman al neurologo Oliver Sacks, arcinoto autore di quel L’uomo che scambiò sua moglie per un cappello di cui tanto si è parlato quando è apparso in Italia da Adelphi. Tutti riuniti per tre giorni a Firenze a parlare della “Cultura della memoria”, convegno di studi che ha fatto da preludio alla mostra “La fabbrica del pensiero: dall’arte della memoria alle neuroscienze” che da oggi al 26 giugno sarà ospitata in Forte Belvedere.

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Il nodo al fazzoletto lo ha ricordato proprio Umberto Eco, annunciato con una relazione su “Semeiotica e iconografia dell’arte della memoria”, all’ultimo momento modificata in “Mnemotecniche come semiotiche”. Malgrado la complessità dell’argomento, l’autore del Pendolo di Focault ha richiamato tanto di quel pubblico che i guardiani di Palazzo Vecchio hanno dovuto sbarrare le porte degli angusti quartieri monumentali per ragioni di sicurezza, scatenando scene da far-west.

Quel gesto così antico per non dimenticare, come i sassolini gettati da Pollicino per ritrovare la strada nel bosco, o, si potrebbe aggiungere, il filo di Arianna nel labirinto, sono per Eco artifici semiotici, associazioni di una Y ad una X, usando la prima come il significante o l’espressione dell’altro. Ma, nel caso del fazzoletto, il segno ha un valore arbitrario: può far ricordare molte cose, non una sola. «La sequenza di pietruzze – ha aggiunto Eco – istituisce un’omologia vettoriale tra la successione delle pietre e il cammino da percorrere e sta per quel cammino e non per qualsiasi cammino possibile».

Siamo tuttavia ancora lontani da un vero e proprio sistema mnemotecnico. Quest’ultimo, nel lungo cammino della storia umana, si è concretizzato in forme diverse. Eco ha citato testi greco-latini dove l’associazione è ispirata a criteri retorici o si mettono in relazione, per esempio, le varie parti del corpo con una sequenza di numeri. Ma soprattutto ha scandagliato l’universo delle mnemotecniche rinascimentali: teatri di strutture planetarie, di gerarchie celesti, di gironi infernali, tutti accuratamente organizzati. Alle sue spalle, proiettate da una lavagna luminosa, varie rappresentazioni dove i segni, simboli o parole che fossero, rimandavano alla struttura della realtà, secondo schemi che non possono non ricordare l’effetto che fa oggi la pubblicità, con il suo continuo richiamo, scientemente mascherato, a ciò che agisce nel profondo del consumatore. È un tema su cui è tornata la storica della letteratura Lina Bolzoni, docente di storia della letteratura all’Università di Pisa, che ha ripercorso dipinti e manoscritti nati per far ricordare e che hanno finito, è la conclusione a cui è giunta la studiosa, per svelarsi come incarnazioni del ricordo. La memoria, cioè, svolge una funzione creativa, condizionando i caratteri formali del testo. È insomma quella dea, madre delle Muse, fondata dal mito greco di Mnemosyne.

Questo “rincorrersi” della memoria, il suo essere protagonista dei tentativi di “fissaggio” del ricordo, le mnemotecniche appunto, è sembrato il rebus del convegno. È curiosa la somiglianza svelata da Eco tra l’apparato mnemotecnico della Divina Commedia svelato da Frances Yates dopo aver scandagliato le suggestioni di Romberch e una delle mnemotecniche più in voga ancora ai giorni nostri, la raffigurazione schematizzata dell’Inferno dantesco così come appare sul Bignami. Nodi al fazzoletto che rimandano a nodi al fazzoletto. Pietruzze su pietruzze. E le vie del labirinto sono di nuovo caotiche, non c’è più un filo a svelare l’uscita.

È in qualche maniera ciò che gli scienziati presenti al convegno riconoscono. I meccanismi della memoria sono molto più complessi di quello che per un certo tempo si è creduto, sostengono realisticamente, ma non senza ottimismo, Edelman e Rosenfield. Infrangono quella rappresentazione “tecnocentrica” che vede il cervello come se fosse una macchina o un floppy disk, dove i ricordi stanno ordinati e catalogati quasi come i libri nello scaffale di una intelligente biblioteca. O meglio: Edelman riconosce che possa essere rappresentato come un computer che selezionae ed organizza i ricordi, però, senza l’aiuto di programmi. Solo hardware, i circuiti cerebrali, niente software.

Anche Oliver Sacks scardina la “sistematizzazione” delle facoltà mnemomiche. Ricorda l’eccezionalità di certi fenomeni: i quadri di Franco Magnani, pittore di Pontito, provincia di Pistoia, dipinti a San Francisco come se davanti al cavalletto avesse il borgo toscano invece della metropoli statunitense; gli abitanti di LaCrete in Canada affetti dal primo all’ultimo dalla sindrome di Tourette.

La tabella pitagorica, utile per ricordare che 6 per 6 fa 36, o lo schema dei personal computer, ci dicono poco sul funzionamento del nostro cervello in materia di ricordi. L’atlante del cervello, secondo l’affascinante punto d’approdo di Edelman, non riporta sempre la Francia al confine con l’Italia, ma, a seconda dell’individuo, la colloca ora a fianco dell’Unione Sovietica ora ai tropici. E se, come ha ricordato nella sua ampia relazione Paolo Rossi, gli esercizi devozionali di Ignazio di Loyola rimandano alle teorie seguite dai persuasori occulti che operano nel mondo della pubblicità o ai corsi di marketing della moderna società, l’ordine è infranto dal paziente del neuropsichiatra russo Lurija, affetto da un’eccessiva capacità di memorizzare, ma totalmente ignaro delle antiche tecniche dei mnemonisti. Del resto è cosa che i bambini imparano ben presto a scuola quando, non tutti con la stessa facilità, vengono costretti ad imparare a mente «la donzelletta vien dalla campagna…».

[Di memoria in memoria], 21 marzo 1989

Umberto Eco (Alessandria 1932 – Milano 2016) è stato un semiologo, filosofo e scrittore italiano. Indiscusso protagonista della vita culturale italiana fin dagli anni sessanta, ha iniziato la sua carriera universitaria nel 1961 a Torino, poi a Milano e Firenze e, infine, a Bologna dove nel 1975 ha ottenuto la cattedra di Semiotica, contribuendo alla nascita dell’Istituto di Comunicazione e spettacolo del DAMS di cui è stato direttore, e poi del corso di laurea in Scienze della comunicazione. Ha insegnato come visiting professor nelle università di mezzo mondo. È stato autore di basilari saggi e di numerosi romanzi di successo. Ha scritto sui principali giornali italiani, è stato uno degli artefici della Rai di qualità, anima di varie case editrici a partire dalla Bompiani, autorevole voce impegnata nelle vicende politiche del paese.

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