L’ordine delle cose
Ho votato per Enrico Rossi alle elezioni regionali. Ne vado fiero. Posso non essere d’accordo con lui su alcune cose, ma sono di sinistra – facciamo a capirsi! – e ritengo che non esercitare il proprio diritto-dovere di elettore, caposaldo di una democrazia, sia un reato. L’appartenenza a uno Stato, cioè a una collettività, a una comunità, che si fregi di essere democratica, non un regime come c’è stato in Italia fra il 1925 e il 1945, implica poche fondamentali regole. Tutte da rispettare.
1. Pagare le tasse, contribuire cioè a ciò che in qualche maniera dovrebbe tornarci in quanto cittadini, con modalità che possono essere più o meno eque e efficaci.
2. Esprimere la propria opinione almeno infilando la scheda nell’urna quando ci sono le elezioni e, se possibile, avendo qualcosa da dire, parlando a Hyde Park Corner a Londra, al bar sport dietro piazza Repubblica a Firenze, dinanzi a Palazzo Re a Bologna, nell’agorà ad Atene. Comprendo ma sono contrario all’astensionismo. Meglio annullare la scheda con scritta rivoluzionaria e comunque fare quorum, affermando che il mezzo va bene e non siamo disposti a rinunciarvi.
3. Rispettare i basamenti della propria appartenenza, nella fattispecie la Costituzione, così come un cattolico ossequia il Vangelo, un islamico il Corano e un ebreo la Torah.
4. Sottomettersi alla legge o, quando non si è disposti a farlo per un qualsivoglia motivo, sottomettersi al fatto che per ciò si è disposti a pagare non in termini di denaro, ma di rinuncia.
Questi princìpi hanno guidato la mia esistenza e non intendo rinunciarvi. E se qualcuno ha una casa più di me in Brasile o a Punta Ala, me ne sbatto. Perciò, finito di scrivere quest’articolo, andrò a votare al ballottaggio per l’elezione degli organismi nazionali e locali dell’Ordine dei giornalisti, al quale aderisco e non appartengo, dal 1981.
In realtà la mia tessera – l’unica che ho in tasca eccettuato quella dell’Anpi, Associazione nazionale partigiani d’Italia a cui sono iscritto platealmente dal 25 aprile scorso nel ricordo dello zio Lino e del professor Giuseppe Barbieri, e se si fa eccezione per la Carta d’identità attualmente scaduta, la Patente di guida al pieno dei punti, quella sanitaria col codice fiscale indispensabile per comprare le Camel di notte e i broncodilatatori di giorno, le tessere di Inpgi, Casagit, Ast, Asl ex Usl, Palestra H2o che per me è una bella nuotata, carta di credito personale e aziendale, bancomat, postepay per le spese via web, e aficionados di Stefan paghi 2 prendi 3, Scuola di musica di Fiesole lì vado in pensione, Mwm me l’ha data mio fratello, PnaPappa si mangia benino, Fidaty card ci spendo un patrimonio,Irish pub mi scordo sempre di farmela timbrare, lo spaziodiviadell’ospizio fornitore ufficiale di libri di sua maestà la regina d’Inghilterra, e mi scordo quelle che stanno nel borsellino e falcone rosso, dove risiedono sicuramente sconti per libri, cd e dvd, magari mignotte – la mia unica tessera, dicevo, n. 38048, come il 174 517 di Primo Levi, data 18 gennaio 1983, non 1981 o 1978 come sarebbe più giusto dire, perché solo allora ho superato e mi è stato riconosciuto, con la complicità e la convinzione di Antonio Ghirelli, capo ufficio stampa ai tempi di Sandro Pertini, il ruolo di giornalista professionista.
A quell’esame, condiviso con Massimo Razzi di Genova e Saverio Lodato di Palermo, fors’anche la camera, ciò che più temevamo era neanche il Codice penale, ma quello di Procedura penale, e a me invece m’han fatto morbido proprio sulla Costituzione, sul numero di firme necessarie a indire un referendum, e perfortuna, davvero c’era Ghirelli che rammentava cos’avevo scritto e come l’avevo scritto e al magistrato che voleva farmi morbido gli disse non se ne parla nemmeno, non puoi autorizzare la corrispondente da Parigi di Vogue solo perché è una bella gnocca e lo era davvero con rispetto parlando e neanche stupida anche se non le fecero alcuna domanda mentre a me mi torchiarono ben bene solo perché stavo in provincia dacché Firenze è in provincia ma questo è un suo problema, non mio.
Di anni ne sono passati, ho visto il mostro di Scandicci e il corpo assassinato di Lando Conti, la strage del Melarancio e un po ‘ offuscato quella dei Georgofili, ma anche quella della stazione di Bologna o del Moby Prince. Ho intervistato Garin e Paolo Rossi Monti, Geymonat e Pajetta, Berlinguer e Amendola, stanato Sensani e intuito Sanguineti, corteggiato Francis Haskell.
Ma io ancora credo nell’Ordine – forse quello di cui scrive Bateson in Verso un ‘ecologia della mente che, come la mia raccolta di racconti, dà pur sempre una prospettiva, un orizzonte, una direzione – non come un privilegio ma come un dovere, un monito, un’opportunità, un giuramento. Perciò ora vado a votare, convinto che la deontologia non abbia a che fare coi dentisti, i farmacologi, i ginecologi, possa solo rispettarli, loro e le loro mogli e le loro figlie.
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