Lezione di intervista 10: l’immaginazione al potere
Terminata la parte seria della lezione ai ragazzi della scuola media di Inveruno, ho potuto introdurre l’illustrazione di un particolare tipo di intervista che, se fatta con preparazione e voglia di informare, non è affatto poco seria: l’intervista impossibile.
A questo genere giornalistico letterario – Primo Levi ne ha fatte di splendide: mi viene in mente Il gabbiano di Chivasso, In diretta dal nostro intestino:l’Escherichia coli, oltre al racconto che s’intitola proprio L’intervista, comparsi nel postumo L’ultimo Natale di guerra – mi ci sono avvicinato molto giovane leggendone una fatta da Edoardo Sanguineti, al quale poi, grazie alla comune amicizia con Aristo Ciruzzi, andando a trovarlo a Genova, tentai di chiederne una per il periodico universitario che dirigevo, Concentramentorenove, ricevendo ahimè un rifiuto motivato da ragioni di impegni già presi, ma la promessa che la mia successiva richiesta sarebbe stata comunque esaudita, una sorta di cambiale in bianco che non esitai a riscuotere, ottenendo un suo pezzo per l’Unità il cui dattiloscritto credo di conservare ancora e che un giorno forse dovrò tirare fuori dal cassetto.
L’intervista impossibile è quella fatta a un personaggio che non c’è, perché è inventato o frutto di fantasia, o non c’è più. Ai ragazzi proposi inizialmente quella a Napoleone, da 1:19 a 2:40:
Dal video sono tornato alla carta stampata, all’intervista immaginaria affidata nel giugno del 2014 dal Corriere della Sera al fumettista Alfredo Castelli per ricordare gli ottant’anni di un personaggio fantastico e inossidabile, scaturito dalla mente di Walt Disney: Donald Duck, che tutti conosciamo come Paperino.
Nelle diapositive proiettate – con la puntualità di un orologio svizzero da Irene Misusan, sulla quale un giorno o l’altro magari scriverò un racconto – ai ragazzi della Alessandro Volta, proponevo alcuna brani tratti da quel pezzo intitolato Ottant’anni di avventure e pigrizia: «Così sono diventato Paperino» che Liana Zorzi ed io abbiamo quasi recitato, facendo divertire come matti i ragazzi, ma forse ancor più divertendoci noi per l’inattesa improvvisazione.
La registrazione di quella scriteriata improvvisazione, anch’essa effettuata da Irene, compare all’inizio del primo capitolo di questa lunga lezione sull’intervista, ma qui la ripropongo facendole seguire il frammento di testo scelto e proiettato sullo schermo della grande aula scolastica:
L’intervista immaginaria
Ottant’anni di avventure e pigrizia. «Così sono diventato Paperino»
Dagli esordi nella «Gallinella saggia» al successo: il fumettista Alfredo Castelli dialoga con Donald Duck. Nel 1934 il primo cartone con protagonista il papero
Paperino ci riceve nel vasto studio della sua bella casa di Anaheim, ai confini della megacittà Los Angeles, nel cui territorio sorge Disneyland. (…) Dopo esserci stretti cordialmente la mano, Paperino rompe il ghiaccio rispondendo alla nostra domanda inespressa con una calda voce baritonale, per nulla simile a quella a cui ci ha abituato il cinema. «Noi toon – esordisce -, i personaggi dei cartoni animati e dei fumetti, abbiamo un metabolismo diverso da quello di voi umani, e invecchiamo di un anno ogni quattro anni circa. Sicché, considerando che quando sono “nato” nel 1924 avevo già una quindicina d’anni, ora, secondo i canoni umani, sono poco più che quarantenne».
Mi scusi, ha detto nel 1924. Ma non è nato nel 1934?
«Nel 1934 sono stato scoperto da Walt Disney, che mi ha lanciato e ha fatto di me un divo internazionale, e che considero come una sorta di padre. Ma erano già anni che facevo la gavetta, con piccole apparizioni qua e là come comparsa. Il mio primo ruolo di un certo rilievo risale al 1924: interpretavo il ruolo di Lazy Duck, «il papero pigro», in una serie a fumetti di Howard Garis illustrata da Lansing Campbell e intitolata Uncle Wiggily».
«Il papero pigro». Se non erro, ha questo ruolo anche nel cartone Disney che solitamente viene considerato come il suo esordio, The wise little hen…
«La gallinella saggia , già. Passavo il tempo a far niente, ballando e suonando la fisarmonica insieme al mio amico Meo Porcello».
Tornando a lei… Come mai è sempre stato associato alla pigrizia?
«Difficile a dire. Forse è a causa del mio status di papero. A parte quelle del Campidoglio, oche, anatre e paperi non sono mai stati associati a figure gloriose. D’altra parte, questo è il cinema. Stan Laurel sembrava il tonto della coppia Stanlio e Ollio, in realtà era lui la “mente” del duo. Lo stesso vale per Topolino e Pippo…».
Non vorrà dirmi che Pippo…
«Pippo è un genio dello show business. Mi ha aiutato in molte circostanze. Se Topolino è riuscito a sopravvivere fino a oggi, è solo merito suo…».
Sempre restando nel campo delle interviste impossibili per ultimo mi ero lasciato quella che il 5 settembre 1981 – avevo 24 anni – mi fece ricevere dalle mani di Romano Battaglia il primo premio della sezione giornalismo del Premio letterario Romena, un tempo indetto dal Comune di Pratovecchio, in provincia di Arezzo, mettendomi in tasca una cifra che all’epoca non era affatto disprezzabile.
Non ci fu il tempo per arrivarci, e per certi versi penso sia stato meglio così: diffido degli eccessi di protagonismo. Era un’intervista niente popò di meno che all’Italia in cui, con qualche escamotage, l’intervistatore riusciva a farsi intervistare dall’intervistata per far così emergere cosa essa avrebbe probabilmente sottaciuto.
Non la pubblico adesso, ma non appena l’avrò messa in rete, aggiungerò il link utile a raggiungerla e leggerla.
Termina qui il mio reportage sull’esperienza a Inveruno o, se si preferisce, una spero non noiosa lezione di giornalismo da uno che, per fortuna, dati i tempi, non fa più quel meraviglioso mestiere che Andrea Liberatori, a lungo caporedattore dell’Unità di Torino, mi ha consentito di fare.
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