Ötzi è una persona civile
La notizia è di quelle sconvolgenti. Il mondo dell’antropologia, dell’archeologia ed anche un vasto gruppo di studiosi del comportamento umano, psicologi e “counselors” in primo luogo, è in subbuglio.
Ötzi, la mummia con 7 mila anni sulle spalle rinvenuta il 19 settembre 1991 ai piedi del ghiacciaio del Similaun, una vetta delle Alpi Venoste che supera i 3.000 e divide Sud Tirolo ed Alto Adige italiani dall’Austria – un tempo territorio indiscusso di Cecco Beppe, all’anagrafe Franz Joseph d’Asburgo-Lorena, dal 1867 al 1916 sovrano dell’Impero austro-ungarico, la Cacania del grande Musil, che a lungo comprese anche il Regno Lombardo Veneto, poi rientrato a dar corpo a quello che fu il sogno prima di Guicciardini e Machiavelli, poi di Garibaldi, Mazzini e Cavour, ed oggi uno splendore in lenta distruzione – ma in un punto che per qualche spanna è sotto la giurisdizione di Roma, non di Vienna, è… civile, educato e solerte.
Solo qualche giorno fa, il 16 agosto per l’esattezza, ho scritto di lui, ospite del bel Museo archeologico di Bolzano, in La lezione di Ötzi, ed egli puntuale, sintetico, ma garbato, mi ha già risposto, il giorno stesso della mia esternazione, che poi è per tutti lo strascico dell’intoccabile ferragosto, come la pasquetta della Pasqua, Santo Stefano di Natale e il primo dell’anno dell’ultimo, quando è d’obbligo alzare i calici e farsi gli auguri:
«Gentile Signor Pugliese, grazie per il Suo articolo, ci fa molto piacere che il museo sia stato di Suo gradimento. Gentili saluti».
La firma, in vero, è quella di una sua stretta collaboratrice, forse anche perché non c’è prova che Ötzi ed io si parli la stessa lingua, quantunque, proprio come ho tentato di dimostrare in quel mio scritto, siano più le cose che ci uniscono di quelle che ci dividono, a cominciare dalla posizione eretta (per lui un tempo, prima d’esser trafitto da una freccia e poi congelato sotto le nevi di quella cima, ma anch’io in questa stagione sono spesso costretto a star coricato), per non dire della un po’ pettegola disquisizione sulla presenza o meno, o quanto meno sulla funzionalità, dei nostri attributi sessuali, o, per finire, sull’indomito desiderio di superar limiti, muoversi, travalicare confini, inerpicarsi sui massicci.
Io, però, che negli ultimi anni ho collezionato una rispettabilissima sequela di gente che gli scrivi, gli parli, gli spedisci un messaggio, la cerchi, in qualche caso addirittura gli mandi un accorato appello d’aiuto e nemmen sembra ricordarsi di averti conosciuto, parlato, letto, se non addirittura beneficiato dei tuoi servigi, o, quand’anche ti dice “senz’altro”, poi sparisce come un ladro che ha ancora la refurtiva in mano o le tenebre al fiorire dell’aurora, tendo ormai a gioire, quasi a stupirmi, del solo fatto che si sia educati come un tempo m’avevan insegnato, rampognandomi se non facevo sedere la vecchina sul bus, se non mi fermavo davanti alle strisce pedonali, se tenevo i gomiti sul tavolo, passando alle pene corporali in caso di reiterata distrazione.
Mi allieto insomma d’un semplice dovere, per quanto smentito dal proverbio che “domandare è lecito, rispondere è cortesia”, a sottolinearne sì creanza e nobiltà della replica, ma non la sua obbligatorietà, com’è invece quella del pubblico ministero che, venuto a conoscenza d’un misfatto, è tenuto all’apertura del fascicolo giudiziario, ovvero sia all’avvio delle indagini.
Ne provo piacere e riconoscenza anche quando il riscontro alla richiesta o alla comunicazione non è una buona nuova, un rifiuto o meno garbatamente uno scaricabarile, forse proprio solo perché ormai mi sembra così desueta ed in disuso l’usanza e davvero vien da chiedermi come si comportasse Ötzi e quelli che allora, mutatis mutandis, 7 mila anni fa, stavano a dirigere un giornale, facevan l’editore, ricoprivano una carica pubblica o, anche più semplicemente, stavano allo sportello ed erano appunto lì per riceverla la gente, stipendio garantito, per quanto magro, alla fine del mese.
Invece Ötzi e la femminile mano che lui ha incaricato, mi hanno risposto, e l’ha fatto anche l’entusiasmante, per me almeno, Museo della macchina da scrivere, lo Schreibmaschinenmuseum dedicato a Peter Mitterhofer di cui ho riferito in Lassù a Parcines, ringraziandomi per i complimenti, apprezzando e condividendo i miei suggerimenti, promettendo di aggiungerli alla lista delle cose da fare che il budget, appartenente ad un ceppo linguistico “altro” dal loro e dal mio, rende sempre più lunga ed infine rendendo omaggio ai tanti che, come me, hanno visitato il Museo, lo consigliano ad altri e sono, in definitiva, il miglior mezzo di pubblicità.
Dunque andate a vederlo e dategli una mano, prima che vi si insecchisca come quella del buon vecchio Ötzi. E quando qualcuno si rivolge a voi, tendenzialmente, rispondetegli.