Il severo sorriso di Elvira

Elvira Pajetta

La data sull’agenda del computer non riesco a trovarla. Digito nell’apposita casella contrassegnata dalla lente di ingrandimento una delle parole che potrebbero servirmi ad individuarla ed il programma si chiude “inaspettatamente”, mentre si apre una finestrella che te lo dice – come se non lo vedessi da solo – e la scritta spiega su cosa “fare clic” per scegliere fra le tre opzioni possibili. Ma non è il numero di un giorno e di un mese a fare la differenza, perché è di quel che è successo quel giorno, non di quando, che ho desiderio di scrivere.

Ricordo invece esattamente il luogo, perché ci ho a lungo vissuto in gioventù e lì risiede ancora mia madre: Scandicci. Che da quando ci vivevo io è cambiata da far paura, ed in meglio.

Ora la amministra un sindaco che ho avuto occasione di conoscere tempo addietro per ragioni di lavoro e mi ha fatto una buona impressione per il garbo con cui accompagna la sua determinatezza.

L'assemblea della Rete degli studenti di Firenze

Impressione epidermica, che talvolta, tuttavia, sono le migliori. Si chiama Sandro Fallani e a corroborare la mia buona intuitiva sensazione su di lui, malgrado l’appartenenza ad un partito dal quale disto mille miglia e un’inchiesta giudiziaria aperta nei suoi confronti, c’è l’averlo visto un giorno, indipendentemente dal fatto che fosse lì in veste ufficiale o perché tra quei ragazzi ci fosse sua figlia o suo figlio, star seduto per tutto il tempo necessario in terza o quarta fila –attento e senza segni di insofferenza, né consultando compulsivamente l’I-phone –, ad una assemblea di liceali di sinistra che si sono dati il nome di “Rete degli studenti medi” e che, a modo loro e nelle nuove forme che hanno autonomamente scelto, sembrano ripercorrere la passione che ha animato la mia generazione quando aveva la loro età, passione della quale l’associazione “Ciclostilato in proprio” a cui sono iscritto, ed anzi ne sono stato un fondatore, cerca di conservare memoria.

Scandicci, proprio di fronte al palazzo del Comune, ha, dal 2013, una bella piazza progettata dall’architetto Richard Rogers, con una fontana che spara acqua dal pavimento e su cui i bambini vanno a infradiciarsi pieni di gioia, la fermata della tramvia, case, negozi e – incredibile dictu! – una grande libreria, la quale affianca la Biblioteca comunale allestita non molto lontano in una scuola dismessa e restaurata.

La presentazione del libro di Elvira a Scandicci

È proprio in quella libreria e quel giorno che – con il piacere di presentarmi finalmente al figlio di Cesare Luporini, Luigi, e di rivedere il carissimo Baldo Gulotta, provveditore agli studi quando io facevo il barricadiero –  sono andato alla presentazione del libro Compagni di Elvira Pajetta, 376 pagine di ricordi di una famiglia straordinaria nella storia dell’Italia della seconda metà del Novecento, ma anche delle sensazioni personali che si potevano provare a vivere in un ambiente simile.

Elvira Pajetta, infatti, è la figlia di Giuliano Pajetta, che certamente, se mai il Pci fosse andato al governo, avrebbe a pieno titolo svolto il ruolo di ministro degli esteri.

Giuliano Pajetta con Berlinguer

Giancarlo Pajetta con Berlinguer e Napolitano

Per certi versi meno noto  del battagliero e impulsivo fratello Giancarlo – che io ho avuto la fortuna di conoscere avendo scritto un articolo per l’Unità sul suo libro Le crisi che ho vissuto, nel quale parla dei tormenti, ma anche della determinazione, con i quali lui, il vertice del Pci e molti militanti di quel partito, vissero i drammatici momenti in cui l’Unione sovietica, a Budapest, a Praga e a Varsavia, mostrò il proprio volto imperialista ed autoritario – Giuliano Pajetta è stato tra i comunisti considerato l’uomo chiave delle relazioni, buone e cattive, con il Pcus a Mosca, e proprio i suoi viaggi all’estero e la sua frequente assenza da casa, giocano un ruolo chiave nei ricordi che Elvira ha messo nero su bianco in Compagni.

Elvira io l’ho conosciuta, o più esattamente ho iniziato ad aver a che fare con lei, quando divenne la responsabile scuola della Federazione fiorentina del Pci ed io allora nel gruppo dirigente del Movimento studentesco, per cui era inevitabile dovessimo di tanto in tanto colloquiare tra di noi, non escludo, talvolta, non trovandoci per niente d’accordo, non essendo sempre medesimi i fini che, per il nostro compito, dovevamo perseguire.

Elvira Pajetta

Proprio alla presentazione del suo libro Elvira ha ricordato quanto drammatica fu la sua decisione di accettare quell’incarico quando le fu affidato, essendosi da poco riavvicinata al Pci dopo un’esperienza extraparlamentare comprensibilmente inevitabile, dato il peso familiare sulle spalle nella formazione storica della sinistra italiana.

Drammatica perché avvenne, se non ricordo male, il giorno stesso che le Brigate rosse uccisero Aldo Moro e lei, così ha raccontato, percepì come questo l’avrebbe costretta ad una “serietà” che – data la sua età, forse le esperienze degli anni precedenti, proprio il settore scuola che le veniva affidato – cozzava con gli iniziali intenti che in buona sostanza l’avevano pressoché portata ad accettare la proposta.

Una serietà che era gravosa, mi verrebbe da dire come il volto corrugato di Enrico Berlinguer, ed in qualche maniera ancor oggi le sembrava difficilmente digeribile da chi le fosse intorno, fastidiosa, allontanante, repulsiva. In altre parole che lei risultasse antipatica e respingente, ma fermamente convinta, anche a costo di quell’impopolarità, che i tempi la imponessero e fosse inevitabile tentar di sottrarvisi.

Sentii a quel punto il dovere di intervenire alla presentazione del suo libro, garantendole che all’epoca, come oggi del resto, a me aveva fatto tutt’altra impressione, l’esatto contrario direi, o, meglio, che, accanto a quella severa autorevolezza, a quell’affidabile serietà, inequivocabile appariva l’apertura mentale, il garbo, la gentilezza, la disponibilità, persino il velato sorriso netto nei suoi occhi, malgrado l’impassibilità del volto.

Il libro di Elvira

Aggiunsi che mi sentivo così di trarre una riflessione a partire da questa sua confessione, vale a dire che i comunisti italiani della sua e della mia generazione, e forse anche quelli della precedente – i suoi genitori ed i miei che nella Torino del dopoguerra si erano frequentati –, fra i tanti errori che probabilmente hanno commesso – sarà la storia a giudicarlo! – avevano fatto anche quello di cercare ossessivamente i propri errori, nel tentativo forsennato di essere costantemente migliori, dimenticandosi talvolta anche di vedere la capacità che hanno avuto di aprire i propri orizzonti, accogliere quanto geneticamente non apparteneva loro, non chiudersi nell’angusto recinto delle proprie, pur solide, convinzioni. Che avessero, insomma, molta consapevolezza di quanto avveniva intorno a loro, ma non molta di se stessi.

La ringraziavo pertanto per quello che era stata allora, negli anni Settanta, e per quello che era ora, non credo tanto lontana dai settanta. Grazie Elvira, a te e alla tua famiglia.

P.S. Per vie traverse ho ritrovato la data che mi mancava: il 2 aprile di quest’anno.

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