Il libro sul Movimento studentesco fiorentino
Paolo Maggi, ex segretario di redazione de l’Unità a Firenze e attuale presidente dell’associazione “Ciclostilato in proprio”, che riunisce i miei più o meno coetanei militanti o anche solo aderenti al Movimento studentesco fiorentino negli anni Settanta, nella puntuale e affettuosa newsletter al suo indisciplinato gregge informa che è finalmente pronto il libro contenente le ricerche fatte su di noi, sui documenti che possedevamo, in buona sostanza su chi fossimo e cosa volessimo.
Il libro si intitola Concentramento ore 9, scritto con gli spazi com’era uso fare alla fine dei volantini per dare appuntamento agli studenti delle scuole medie superiori fiorentine generalmente in piazza San Marco o in altri luoghi nevralgici della città, dai quali sarebbe partito, all’incirca a quell’ora, un corteo che avrebbe sfilato per le vie a manifestare la protesta per un delitto delle Brigate rosse; per la strage fatta da un terrorista nero; per solidarizzare con chi in altri paesi era oppresso, privato delle libertà, sotto invasione straniera; per introdurre nei codici norme più sensibili ai diritti civili ed in particolare ai bisogni delle donne; perché il ministro della pubblica istruzione, o in sua vece il Parlamento, introducessero significative correzioni all’impianto con cui era organizzata la scuola italiana e cioè la rendessero capace di accogliere davvero tutti i ragazzi, discriminandoli meno al loro interno per l’appartenenza a un censo anziché a un altro – a una classe anziché a un’altra avremmo detto all’epoca rifacendoci a Marx –, preparandoli davvero a un mestiere che consentisse di aver di che vivere e la dignità della professione intrapresa così come del dovuto per il fatto di esercitarla, ma più che altro a pensare con il proprio cervello avendo in mano gli strumenti della conoscenza indispensabili a farlo.
Preciso “scritto con gli spazi” perché quella stessa formula verbale contratta in un’unica parola, Concentramentorenove, divenne, al termine di quell’esperienza – è proprio il caso di dire “raggiunta la maturità” – la testata di un periodico, di cui ne uscirono 5 numeri, degli studenti universitari comunisti che nel frattempo avevano deciso di organizzarsi da soli e non stando dentro alla sezione universitaria del Pci. Fu chiesto a me, già indirizzato a fare il mestiere che poi ho avuto la fortuna di esercitare, di progettarlo e dirigerlo, tranne dinanzi al Tribunale, non essendo ancora iscritto all’Ordine dei giornalisti, ruolo che svolse con discrezione e simpatia un funzionario del Pci con il tesserino da pubblicista a lungo vissuto nei paesi dell’Est, Bruno Bigazzi.
Ma per tornare al libro, prima di dare qualche cenno su di esso, vorrei tratteggiarne la genesi. Qualche anno fa, a una festa dell’Unità che non era già più l’Unità ed ora, pur possedendone la testata, non lo è affatto, un “gruppuscolo” – così chiamavamo all’epoca gli extraparlamentari – di “reduci” come me da quell’esperienza si ritrova – un po’ come i protagonisti del film The Big Chill, Il grande freddo, di Lawrence Kasdan del 1983 (qualcosa di analogo avviene in Truman – Un vero amico è per sempre di Cesc Gay che ho visto recentemente, benché gli argomenti siano tutt’altri, e proprio per questi caldeggio di andarlo a vedere perché è davvero istruttivo) – per rimpinzarsi di rosticciana e salsicce, forse inneggiare Contessa di Paolo Pietrangeli, ricordare i bei tempi andati e la giovinezza che si fugge tuttavia.
Non accetto l’invito alla rimpatriata, per diffidenza atavica verso questo genere di consessi e perché ero in un periodo particolarmente dissestato, ma quando Massimo Bellomo e Luigi Chicca, che stimo ed a cui voglio bene, mi dicono che di lì è nato un abbozzo di progetto di far qualcosa, rispondo ok, ci sto.
Parliamo, mi spiegano ed io cedo, ma a patto che tutto ciò serva a qualcosa. Decidiamo di raccogliere tutto il materiale dell’epoca che ciascuno di noi dovrebbe aver conservato in cantina, in soffitta o, come me, in dei faldoni da ufficio, allineati insieme a decine di altri nella libreria – sono un conservatore, di nome e di fatto, in entrambi i sensi della parola forse, compreso quello che vuol dire di destra, e non escludo, addirittura, un disposofobico, tratto caratteriale della mia famiglia da parte materna e, in senso bibliofilo, anche da quella paterna – e di metterlo tutto insieme perché ne resti traccia, lasci memoria, non vada disperso.
Eravamo e siamo convinti, così come gli altri che sostengono l’associazione “Ciclostilato in proprio”, che quella nostra esperienza giovanile sia stata, se non unica, molto particolare. Perché abbiamo condiviso molto dei tratti caratteriali dei nostri coetanei che militavano in Lotta continua o nel Manifesto o in Potere operaio, ed anche di quelli che avevano la tessera della Fgci in tasca, ma ci differenziava l’insopprimibile volontà di essere autonomi, di massa – e quindi aperti a chi esitava, la vedeva un po’ diversamente, tentennava in qua e in là, stava in bilico tra la voglia di rivoluzione e quello che probabilmente gli avevano inculcato i genitori – ma organizzati, senza spontaneismi, propensi a contenere gli slanci impulsivi e le decisioni sbrigative.
Avevamo un servizio d’ordine, un posto dove far riunioni, uno scantinato dove stampare i nostri volantini ed una scaffalatura fatta di mattoni ed assi di legno per suddividerli in mazzetti, ognuno della quantità giusta per tutte, e dico tutte, comprese le private, scuole di Firenze, ed un nome, un numero di telefono di qualcuno che li venisse a prendere e li distribuisse all’ingresso del proprio istituto. Avevamo percentuali “bulgare” alle elezioni degli organi collegiali della scuola e la maggioranza degli studenti fiorentini dietro ai nostri striscioni nei cortei dove sfilavano organizzazioni diverse.
Qui stava la nostra “particolarità”, quella che meritava di essere ricordata, non dispersa al vento, nella speranza magari che, di quell’esperienza, qualcuno possa farne tesoro, sia esso uno studente che oggi va al liceo come noi allora, o un “fossile” “rottamato” come siamo noi adesso, in mezzo a una politica che di avere idee, passioni, disciplina, competenze, peso sulle spalle, rughe in volto, non ne vuole sapere.
Decidemmo dunque, ed io ho insistito con fermezza, che quei materiali fossero affidati a qualcuno teoricamente in grado e preposto proprio a conservare memoria e rinfrescarla, renderla viva, farla uscire dalla sua polvere. Per ciò proposi l’Istituto Gramsci che, purtroppo, a Firenze è un po’ malandato e lasciato in mani prive di pratica adeguata al compito e più attente a dar retta al pontefice ed a promuover se stesse per aver un ruolo, visibilità e forse un po’ di reddito. Lì, ad ogni modo, sono fisicamente conservati, ma vivaddio in comodato d’uso, gli scatoloni con le nostre cartacce, cartelline disordinate come le mie o accuratamente classificate, e buona parte di quel materiale, grazie alla competenza ed alla disponibilità di Giuliano Marullo, è anche stato scannerizzato, reso digitale e consultabile on line, in un brutto sito internet che va ad aggiungersi alla pagina Facebook del gruppo.
Proprio lavorando su quelle scartoffie, ma anche su libri attinenti l’argomento o su interviste fatte da Gianna Bandini ai reduci, a chi c’era ed ha vissuto, i ricercatori a cui l’Istituto Gramsci ha affidato il compito, hanno scritto i loro saggi, ed oggi questi sono raccolti nel volume intitolato Concentramento ore 9, scritto con gli spazi, che il Consiglio regionale della Toscana ha acconsentito a stampare per i propri tipi.
Raccoglie i lavori di Anna Scattigno (Tra memoria e storia), di Matteo Mazzoni (Politica in Movimento: fasi, protagonisti, dinamiche di una stagione di impegno collettivo), di Dario Ragazzini (Quali domande pongono i reperti-documenti che diventano fonti per la storia del Movimento Studentesco Fiorentino?) e una appendice di Sylva Casagli (Il Movimento Studentesco Fiorentino e la lotta per la riforma della scuola media superiore nelle documentazioni del suo archivio).
Paolo Maggi ha diffuso la versione in pdf di questo libro ed io la propongo ai miei lettori.
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