La “riappropriazione” di Enrico
Enrico Zoi dev’essere entrato al liceo Nicolò Machiavelli di Firenze, all’epoca ospitato dentro la medicea Fortezza da Basso dove ormai si fan solo più mostre di second’ordine o più blasonate sagre di paese, un paio d’anni prima che io, ripetente di un anno perso al ginnasio, me ne stavo per uscire e, se non ricordo male, partecipava a un po’ delle sterminate riunione che si organizzavano all’epoca nelle scuole o nelle case del popolo.
Ci siamo rivisti molti anni dopo tenendoci però, credo, reciprocamente sott’osservazione, perché, come un’altra mezza dozzina di compagni del liceo – mi vengono in mente ovviamente Mario Fortini, e poi Simone Fortuna, Paola Emilia Cicerone, Paolo Russo, per certi versi Francesco Maria Cataluccio, coautore con me di un resoconto sull’ultimo seminario di Cesare Luporini all’Università, e, ma andando ai tempi delle medie anziché delle superiori, Stefano Bucci, sperando non me ne voglia chi rimasto fuori dalla lista –, abbiamo poi intrapreso, con le opportunità che ciascuno ha avuto a disposizione, il medesimo mestiere, quello di dare informazioni, nobile variante di un’attività che c’è chi dice sia quella di far la spia.
Soprattutto negli ultimi anni, per ragioni accidentali, abbiamo avuto varie volte modo di confrontarci, o collaborare, o far ciascuno la propria parte con pieno rispetto di quella dell’altro, perché entrambi abbiamo operato nel campo delle notizie diffuse dalla pubblica amministrazione, dovendo talvolta dire la stessa cosa ma da punti di vista non propriamente identici, senza però mai darci sui piedi
Enrico, poi, che è tra gli artefici di un gruppo di colleghi che mescolano attività giornalistica a quella attinente i libri, e per definirsi hanno dato vita al neologismo “libristi“, è stato uno dei primi a parlare dei miei racconti Sempre più verso Occidente, poco dopo la loro uscita nel 2009, con una bella intervista per il sito “Il trillo del diavolo“, che deve il suo nome alla celebre sonata per violino e basso continuo di Giuseppe Tartini, testata per la quale Enrico ha scritto anche un altro articolo, spezzando – caso più unico che raro fra i colleghi! – una lancia contro l’ignobile “rottamazione” di quel falso rivoluzionario da due soldi che si chiama Enrico Rossi, il quale mi costa ogni mese 2.500 euro in saecula saeculorum.
Con Enrico Zoi avevamo inoltre tentato una “mission impossible”, quella di far dialogare, in un libro scritto scambiandosi e-mail, uno sfegatato tifoso viola (lui) con un agnostico gobbo (io), se, del caso, juventino più per acquisita condizione di apolide – e, perciò, marchiato dalla “diversità” nonché dall’orgoglio di possederla, fin dall’infanzia – che non per passione zebrata. L’idea nacque dopo la presentazione del suo Firmamento Viola di cui ho dato conto in un post intitolato Dal calcio alla pace.
Ora Enrico, instancabile, è tornato all’assalto e – visto il comunicato stampa che AliComunicazione di Daniela Mugelli, la mia “personal squire press agent”, ha diffuso dando notizia della pubblicazione nel blog delle interviste più significative fatte ai tempi de l’Unità, e dell’intenzione poi di raccoglierle in un e-book – ha pensato di intervistarmi com’è sua abitudine usando uno spettro di vedute un po’ più vasto, divagando anche, si potrebbe dire, ma molto pertinentemente. Il risultato è una intervista all’intervistatore che l’intervistatore dell’intervistato ha pubblicato su un sito fatto da “giornalisti e redattori che intendono dare voce non solo a chi è alla ribalta della cronaca ma anche, e soprattutto, a chi cerca con entusiasmo e perseveranza, di far crescere la propria attività nel rispetto del mondo e degli individui”.
Il sito si chiama “esserciweb” e quella particella affissa al verbo copulativo, tesa a sottolineare da un lato l’appartenenza a “una prima singola persona plurale”, un “noi” insomma, e dall’altra ad una presenza “qui” ed “ora”, mi è particolarmente cara perché scaturisce dal dizionario della parte migliore di Martin Heidegger, quella per così dire esistenzialista, che il filosofo tedesco esprimeva con la parola “Dasein”, esserci appunto, un concetto non poi molto dissimile dalla presenza mentale che mi ha insegnato Thich Naht Hahn.
Il sito si chiama “esserciweb” e l’articolo si intitola Daniele Pugliese: un’”appropriazione indebita” tutta da leggere. Eccolo:
Daniele Pugliese: un’”appropriazione indebita tutta da leggere”
di Enrico Zoi
Daniele Pugliese, giornalista e scrittore torinese, ma fiorentino di adozione, legato in gioventù al movimento studentesco, ha più di trent’anni di carriera giornalistica alle spalle e numerose pubblicazioni all’attivo, dalla storia politica al racconto, dalla saggistica al sigaro toscano, dalla massoneria al mostro di Firenze. Per oltre vent’anni ha lavorato all’”Unità” e per dieci è stato il direttore di Toscana Notizie, l’Agenzia di informazione della Regione Toscana.
La sua ultima fatica letteraria è l’e-book Appropriazione indebita.
“Una ‘fatica’ antica, ad essere onesti – spiega Pugliese -. E, più che letteraria, giornalistica. Se poi il lettore dovesse giudicare che ho scritto bene lì, come si dice abbia fatto in Sempre più verso Occidente o in Io la salverò, signorina Else, bontà sua. Ma per rispondere alla tua domanda, Enrico, Appropriazione indebita è, come si evince in qualche maniera dal titolo, il veniale ‘furto’ che, nei 25 anni trascorsi a “l’Unità”, ho perpetrato ‘ai danni’ di intellettuali come Eugenio Garin, Francis Haskell, Paolo Rossi Monti, René Thom. In alcuni casi nomi inavvicinabili, in tutti, o quasi, dei maestri dai quali c’è ancora da imparare. Sì, perché i protagonisti di quelle 30 interviste che ora ho deciso di pubblicare nel blog, per poi farne un e-book, sono stati capaci di toccare corde che, come scrivo nell’introduzione, ‘avrebbero vissuto più a lungo della copia di giornale su cui stavano per essere pubblicati’”.
Qual è stata la motivazione che ti ha spinto a pubblicare le interviste prima nel tuo blog e poi a farne un e-book?
“Be’, ho sei o sette libri nei miei cassetti, le relazioni con gli editori sono estenuanti ed io mi sono convinto che, se pensi di avere qualcosa da dire scrivendo un libro, è meglio che tu faccia questo anziché stare ad aspettare risposte che non arrivano. Insomma, a ciascuno il suo mestiere. Campo del mio, non mi spinge il denaro, non se ne fa con queste cose. E, soprattutto, penso ai lettori, non a me, quando decido che merita pubblicare. Penso, a torto o a ragione, questo non sta a me a giudicarlo, che quanto ho scritto possa interessare un certo numero almeno di persone che non decidono cosa leggere solo perché lo hanno sentito da Fazio. Quindi, quando qualcuno mi ha confortato in quest’idea dicendo che quelle interviste già raccolte in un dattiloscritto erano molto interessanti e che avrebbe meritato leggerle tutte insieme, ho preso la decisione. E infine perché penso che in qualcuna di esse ci sia qualcosa che può tornarci utile anche adesso, in questi strani tempi di smarrimento”.
Quali sono le interviste più interessanti da segnalare della tua raccolta o quali le risposte?
“Io sono molto affezionato a quella a Francis Haskell che feci nel salotto, molto piccolo, della sua casa a Oxford, sorseggiando insieme whisky. Eravamo amici da molto tempo, discutevamo molto, lui liberal, io radical, trovando senso in quello che diceva l’altro e non pochi punti di contatto. La sua scomparsa mi pesa davvero. Anche la seconda delle due fatte a Garin mi è cara, non solo perché in essa manifestò le medesime riserve che sentivo io sul cambiamento di nome del Pci, questo sì, forse giusto, ma del suo modo di essere partito, della sua capacità di ascoltare le persone, organizzarle, unirle, farle contare, e dei valori che comunque difendeva. Non c’è più niente di tutto ciò oggi. Quell’intervista, poi, mi è cara perché a lungo è stata in una cornice nello studio di Piero Farulli, il musicista che ha fondato la scuola di Musica di Fiesole. Sapere di ‘essere’ stato con una ‘appropriazione indebita’ alle sue spalle mi riempie di orgoglio. Chissà se è ancora appesa lì? Infine quella a Ludovico Geymonat, per lo più dedicata a Galileo, ma fu una delle rare volte che concesse di lasciarsi intervistare da ‘L’Unità’ essendosi molto allontanato, o non essendo stato tenuto sufficientemente vicino, dal Pci. Però, scusami, non vorrei far torto agli altri”.
In quale di esse ti riconosci di più a livello individuale e perché?
“In quella a Mario Innamorati, scritta, a differenza della maggior parte delle altre, non nella forma classica di intervista, con domande e risposte come quella che tu stai facendo a me, l’intervistatore che viene intervistato. È scritta quasi fosse un diario di bordo di uno scienziato fiorentino che è stato a lungo in Antartide a cercar di capire quanto stiamo distruggendo questo pianeta”.
Che spaccato della società italiana ne esce?
“Direi di una società viva e affatto omologata, in cui anche il dissentire – ci sono frecciatine evidenti a qualche proprio collega in alcune di esse – restava nell’àmbito della voglia di capire, considerando l’obiezione non un fastidio, ma un nuovo spunto a cui pensare, magari per continuare a non essere d’accordo. Oggi, come ben sai…”
Fare politica oggi vuol dire…
“Quella che leggo purtroppo da tempo sulle prime pagine dei giornali a me non pare politica, anche se so che lo è. Ma non risponde minimamente, a mio giudizio, a quanto è racchiuso nella parola stessa politica, che ha a che fare con la polis, la città, la comunità, i cittadini, la gggente, come dice qualcuno. Neanche quell’arrosto di protestarismo sfegatato messo su da un saltimbanco, e nemmeno dei migliori, al di là del populismo di facciata, risponde a quel canone. Per non dire di chi, a giorni alterni, rivendica l’eredità ideale dei comunisti, dei laici e dei cattolici che avevano detto di sì a un bel nome per un partito: democratico. Bah! Per politica intenderei occuparsi di come mai, mentre tutti dicono che infuria una crisi economica bestiale, l’1 per cento della popolazione mondiale è diventato possessore dell’equivalente cifra ci cui dispone il rimanente 99 per cento. O valorizzare davvero il nostro patrimonio culturale, o sfruttare davvero l’energia del vento e quella del sole. Ma su tutto questo silenzio, o poco più. E infine, scusa se mi dilungo, tornare a leggere e a studiare, proprio come facevano quei 30 che ho intervistato, e mettere le proprie conoscenze acquisite a disposizione delle persone. Qualche tweet in meno e qualche ora in poltrona o alla scrivania di più. Ma sono fuori del mondo, vero?”
Esserciweb, 26 agosto 2016
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