Ok, scrivo di mio padre
Non ho voluto finora occuparmi, qui nel blog, del libro scritto da mio padre Orazio, intitolato «Gentile editore…», che ricostruisce la storia della casa editrice Sansoni attraverso i carteggi con i loro autori e collaboratori, di Giovanni e Federico Gentile – il filosofo fascista e il figlio a cui egli consegnò la gestione di quell’azienda rilevata liquidando altri soci negli anni Trenta – e attraverso le memorie di chi in quella “fucina” di cultura lavorò fino agli anni Settanta quando la balena Rizzoli si mangiò il marchio fiorentino.
Non ho voluto farlo per una sorta di pudore, anzi, provando una specie di timore, quello di star facendo qualcosa che somiglia all’“interesse privato in atti d’ufficio”, al “conflitto d’interesse”, un abuso insomma del proprio ruolo di figlio, e di figlio per mestiere divulgatore, o un’intrusione familiare in un campo che non pertiene a me, è tutto di mio padre e dell’editore che ha pubblicato il suo ultimo sforzo intellettuale prima di cedere alla fatica e alla quiete della vecchiaia.
Ha 88 anni mio padre, qualche acciacco, una modesta pensione costruita cucendo come nel vestito d’Arlecchino, contributi versati qua, là o anche in nessun luogo, che da sola non gli consente di avere un tetto – che, per “romantica imprevidenza” presumo, non si è mai costruito – e quant’altro occorra a trascorrere gli ultimi anni della propria vita nutriti, accuditi, accompagnati, non in solitudine.
I suoi 4 figli, avuti da tre donne diverse, esclusa quella con cui più a lungo ha vissuto che ne aveva già uno suo da un primo matrimonio, a modo loro e ciascuno secondo la propria indole, stanno cercando di aiutarlo a vivere dignitosamente e protetto questa stagione della vita, malgrado possano in gioventù aver avuto di che ridire sul loro genitore.
Ed hanno deciso di dargli una mano anche quando è emerso chiaramente che la casa editrice erede del catalogo Sansoni e in mano ancora alla famiglia che ne era stata la proprietaria, le Lettere, da troppo tempo teneva in un cassetto un libro evidentemente di loro interesse e sulla cui pubblicazione erano in passato intercorse conversazioni concordi riguardo tale ipotesi.
Il libro parlava dei loro avi, papà Federico e nonno Giovanni, ma stranamente non usciva, il tempo passava e mio padre nel frattempo invecchiava come la biologia vuole che sia. Ci siamo mossi per capire a cosa fosse dovuto quel lungo silenzio e il silenzio merita di essere steso sulle ragioni di tal scortese comportamento.
Acquisito il disinteresse dei Gentile alla pubblicazione del volume e il nulla osta a far del testo quel che se ne voleva, trasformato il manoscritto in un libro – cosa che può sembrare un gioco e invece comporta mestiere, strumenti, competenza, tempo, fatica e cervello – l’abbiamo proposto a un editore, la Phasar, che, con un contributo economico relativo alla fornitura del numero di copie tirate, si fa coraggiosamente carico di inserirlo nel proprio catalogo e di curarne la distribuzione, sì che possa essere ordinato, con un po’ di pazienza, in una qualsiasi libreria, escluse quelle della berlusconiana catena Mondadori, oppure, sia in formato cartaceo che di e-book nelle principali librerie on-line e nel proprio sito internet (www.phasar.net – ordini@phasar.net).
I quattro fratelli, anche a costo di varcar l’Oceano, si sono riuniti per consegnare la prima copia odorosa d’inchiostro nelle asciutte mani del vecchio, coronando così una sua aspirazione, forse un sogno, probabilmente rendendolo felice e commosso, portando in porto qualcosa che altrimenti sarebbe rimasta incompiuta – come, fatte le debite proporzioni l’omonimo Concerto di Schubert, la Decima di Mahler, la stessa Messa da requiem di Mozart, terminata sì ma per altra mano, il terzo volume dell’Uomo senza qualità di Musil – e, per i lettori la cosa più importante, mettendo a disposizione di chi ne fosse interessato un lavoro di ricerca e una testimonianza non indifferenti, forse da parte di qualcuno discutibili, ma non inutili.
In particolare il libro facilita l’accesso ai preziosi carteggi, in buona parte fortunatamente conservati all’Archivio di Stato di Firenze, dove appunto Orazio, con l’aiuto del mio grande amico Gian Luca Corradi che di biblioteche se ne intende, ha raccolto la maggior parte del materiale su cui ha a lungo lavorato, da quando, laureandosi in tarda età con il professor Renzo Pecchioli, aveva, in tre corposi volumi di tesi conservati all’Università di Firenze, ricostruito le relazioni culturali tra Germania e Italia negli anni Trenta tramite appunto le lettere che Delio Cantimori scambiava con Federico Gentile.
L’ulteriore fatica alla scrivania, scritta a penna e poi fatta ribattere al computer, è stata appunto questa ricostruzione della storia della Sansoni a partire dai delicati anni del fascismo, quando ci si poneva l’interrogativo se affidare o meno a un ebreo di chiara fama ed esperienza la stesura di un saggio o di una voce enciclopedica o di un articolo per una rivista, e quale atteggiamento tenere dinanzi a libri che, parlando di Hitler, potevano stare in bilico tra l’obiettiva ricostruzione dell’innegabile figura di un protagonista della scena politica internazionale da un lato e l’agiografia o addirittura la propaganda dall’altro.
Quel che sembra emergere è racchiuso nel titolo del comunicato stampa che domani la Phasar invierà ai media italiani per promuovere il libro di mio padre: «Dalla storia della casa editrice Sansoni emerge un Gentile “protettore” degli ebrei».
Ma nel libro, che sicuramente aggiunge un tassello allo scenario storico della cultura italiana prima e dopo l’ultima Guerra – Garin, Banfi, Longhi, Chabod, Garboli, Branca, Della Volpe, Devoto, solo per far qualche nome –, c’è anche un piccolo spaccato di quella viva Firenze a cavallo fra i primi anni Sessanta – quando mio padre giunse qui, dopo aver sperimentato a “l’Unità” quello che io poi ho fatto per tutta la vita ed imparato il nuovo mestiere da Einaudi, proprio per fare il redattore editoriale alla Sansoni – e la metà o la fine degli anni Settanta, quando il vecchio Federico Gentile cedette il marchio con la grande S, sfruttando o scongiurando le primordiali aggressive incursioni della finanza nell’editoria che poi hanno dato vita al duopolio, ormai divenuto un unico trust, Mondadori-Rizzoli.
E quando Orazio optò per altre strade: prima la “gauchista” Guaraldi, poi la libera professione con il Saggiatore, Bompiani, Garzanti, ma anche con la Regione Toscana ai suoi albori ed il Pci – nel quale ha militato, suppongo per una qualche forma di nostalgica, disciplinata dedizione, finanche addirittura nella sua attuale deriva – progettando nel 1975 con John Alcorn la grafica del periodico “Politica e Società”, quindi la socialistissima ma autorevole Marsilio di Venezia, di cui è stato art director, infine ancora la libera professione con Raffaello Cortina, Edizioni San Paolo, Nardini, Loggia de’ Lanzi e Meridiani Mondadori.
Un piccolo spaccato di quella “roaming Florence” guidata prima da La Pira e poi da Gabbuggiani, tra i cui protagonisti in campo editoriale spiccano figure come Alberto Busignani, Lara Vinca Masini, Enrico Ghidetti, Marcello Pacini, Guido Baldereschi, Maria Concetta Fozzer – la compagna appunto di mio padre – Piero Pieroni, Alfredo Cioccolani, Lucia Panconesi, Angelo Toninelli, affiancati nel campo della grafica da personaggi come Leonardo Mattioli, Paolo Lecci, Mario Strippini, Mario Lovergine ed in quello amministrativo e commerciale da Federico Fussi, Vinicio Bandini e Giorgio Jorio, quest’ultimo una delle uniche due persone “essenziali” della mia vita.
Nel ricostruire la carriera professionale di mio padre è doveroso ricordare almeno la storia in 5 volumi del Partito comunista italiano attraverso i Congressi dal titolo Da Gramsci a Berlinguer, nella quale io stesso fui coinvolto, ed una traduzione fatta per le Edizioni San Paolo di un libro al quale so lui tiene molto, Tre racconti di Gustav Flaubert, nonché un certo numero di libretti a tiratura limitata e in formato mignon dove, in versi e giocando con le parole, ha raccolto qualche sentimento magari non saputo in altro modo esprimere.
Vincendo quella sorta di pudore, il blando timore di star facendo qualcosa che somiglia all’“interesse privato in atti d’ufficio” o al “conflitto d’interesse”, la ritrosia dinanzi all’intrusione familiare – qualcuno potrebbe dire al lavaggio in pubblico dei panni propri – ho scritto quanto precede, che comunque costituisce un’informazione, e da giorni sto tentando di mettere a punto la voce “Orazio Pugliese” della democratica Wikipedia che per ora non mi ha dato facoltà di accesso, convinto che, sia quel che sia e sia stato quel che è stato, mio padre merita una menzione, quanto meno il ricordo.
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