Infingimenti

Uno dei libri più belli che io abbia mai letto è Finzioni di Jorge Luis Borges. Il cui titolo m’è tornato alla mente pensando a ciò che ormai guida noi bipedi con la presunzione dell’intelletto. Già Marx ce lo spiegava. Saremmo finiti in un mondo dove il valore dei soldi sarebbe stato sempre più nominale, dove la banconota sarebbe stata soppiantata dalla transazione virtuale. Non son parole sue, ma se si vanno a ricercare i concetti li si ritrovano e quando uno scrive di merce come feticcio la dice lunga. Noi di ciò siamo consapevoli, come ebeti intontoliti dinanzi a Borse che vanno su e giù e dichiarazioni di Prodotti interni lordi di cui non vediamo neanche gli spiccioli tanto sono rarefatte e immaginarie, fantastici e spettrali quegli scambi di denaro.

Guardiamo una borsa, un paio di scarpe, una maglietta e non vediamo più pelle, cuoio, cotone, neanche il colore ci dice più molto o la qualità delle cuciture, ma il marchio e la griffe, il potenziale evocativo, la suggestione d’appartenenza e di possesso, scatenano qualche nostro ferormone come elettroni impazziti di un attimo eccitato al Cern di Ginevra.

Pochi ormai guardano a un libro e ancor meno a quel che dentro c’è scritto, ma la bandella che lo reclamizza citando l’encomio d’un critico corrotto – a cui qualche pazzo editore affida addirittura la rubrica settimanale – e la collocazione in pile dinanzi alla porta scorrevole, stuzzicano voglie che se non son soddisfatte inducono crisi d’astinenza peggio della scimmia d’un tossico.

Ma più che altro i nostri discorsi, quel conversare ad ogni costo solo perché una bocca s’è aperta prima della nostra ed ha fatto fuoriuscir parole o suoni che risultano tali, o i comportamenti, la definizione dei caratteri, delle psicologie, sempre più assomigliano a cliché presi in prestito alla bisogna, come se uno avesse dinanzi gli scaffali di una farmacia o i barattoli d’un erborista, aprendo ciascuno dei quali ci si può appropriare del rimedio buono per l’uso, insignificante il fatto che niente abbia a che fare con la nostra patologia o i meccanismi del proprio metabolismo.

Quanti milioni di persone restano estasiate dinanzi ai capolavori esposti nei musei d’ogni dove al termine di interminabili code scodinzolanti e paralizzate da quel bello assoluto tornano nei propri ovili dozzinali dove niente, non dico di lusso, ma di proprio, di afferente la propria personalità, tradisca non moda, ricalcamento, affettazione, ma sostanza, individualità, presenza, decisione?

Fingiamo nei nostri comportamenti, nelle nostre reazioni e nel comportamento e nella reazione innescati da finti comportamenti e finte reazioni, con comportamentii e reazioni altrettanto falsi, stereotipati, desunti da un vademecum d’esistenza ridotto al lumicino, a poche scarne frasi che assomigliano a precetti, decaloghi, catechismi.

Temo che Sally del film con Harry a cui vien presentata ce la dica lunga sul nostro modo di vivere e ci lasci più inquieti che divertiti. Ci stupiamo che una relazione finisca con una bugia, cioè un infingimento, senza chiederci quante balle ci si sono raccontate in buona fede in precedenza, quanta appariscenza si è dispensato senza neanche rendersene conto, senza alcuna consapevolezza. E senza interrogarci su quante balle si sparano per por rimedio a quella bugia, per toglierne il detonatore, per disinnescarla.

A tal punto ci siamo abituati all’infingimento, alla ricerca di cose che sono tutt’altro, a soldi che non ci sono se non sulla carta o in un chip, a merci che non hanno cachemire o cotone ma solo vetrine o poster o spot, a ondate di weltanshaung adattabili in ogni istante, a cocktail evanescenti e sempre più aromatizzati con artifici delle chimica, che, quando per sbaglio incrociamo qualcuno che c’è, la cui presenza si percepisce come una maglietta sudata lasciata in bella mostra, ci prende paura, c’è uno scompenso, uno smarrimento, una sbandata. Al punto tale che verrebbe voglia di dar ragione a quei filosofi che avevano torto, secondo i quali il mondo non esiste, siamo noi che ce lo immaginiamo, per ciò non appartenendo al mondo, ma noi stessi al mondo dell’immaginazione.

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One Response to “Infingimenti”

  1. Fabiola Moretti scrive:

    E’ quello che mi chiedo ogni giorno, ogni giorno mi chiedo se la percezione del mondo e di quello che mi accade è solo mia, se davvero è impossibile comunicare, se ogni dialogo è in realtà un monologo e se la somma di tutti i dialoghi altro non è che una cacofonia, ormai rumore di fondo.
    In questa mia ricerca vorrei non arrendermi ai filosofi che forse avevano torto e continuare a provare e vedere se qualcuno c’è.

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