Due o tre cose su mio padre

Mio padre al lago di Vico

Vincendo «una sorta di pudore», anzi, «una specie di timore» provato per «star facendo qualcosa che somiglia all’“interesse privato in atti d’ufficio”, al “conflitto d’interesse”», in un post del 30 agosto scorso, intitolato Ok, scrivo di mio padre, ho consentito a me stesso di occuparmi del libro scritto da mio padre Orazio che ricostruisce la storia della prestigiosa casa editrice Sansoni di Firenze dove egli ha lavorato fra il 1960 e il 1970, attraverso i carteggi di Giovanni e Federico Gentile con i loro autori e collaboratori.

Libro intitolato «Gentile editore…» ed edito dalla Phasar (pp. 340, € 17,00. Formato e-book € 6,99) dopo che gli eredi del filosofo fascista ucciso dai partigiani e del figlio a cui affidò la conduzione di quell’impresa culturale, hanno tenuto a lungo a candire il testo in un cassetto, senza dare al mio anziano genitore – ha 88 anni – alcun cenno riguardo la possibilità o meno di pubblicare un volume che, giusto o sbagliato che sia, tesse le lodi di quella dinastia ancor oggi presente nel mercato editoriale, ancorché con altri marchi e imprese.

Ho poi anche ritenuto corretto ed accettabile pubblicare nel mio blog il comunicato stampa che la Phasar ha diffuso per dar notizia dell’uscita del libro, dandomi da fare io stesso, in virtù della stima e dell’amicizia raccolte in tanti anni di lavoro nel mondo dei media, per richiamare l’attenzione di quei colleghi su un libro che, al di là di chi e di come lo ha scritto – mio padre ed io abbiamo modi molto diversi, forse generazionalmente diversi, di valutare la parola scritta – ha indubbiamente il pregio di ricostruire una storia, o parte di una storia, importante per la cultura italiana, di mettere a disposizione materiali inediti o comunque non facilmente reperibili, di far rivivere, anche solo scorrendo l’indice dei nomi, quella che davvero dev’essere stata una fucina di menti e competenze.

Mi sono infine sentito in dovere ed ho provato il piacere di sentire Gian Luca Corradi – che, oltre ad essere il mio migliore amico, è stato un prezioso collaboratore di mio padre nella stesura di questo libro date le sue competenze storiche e la sua dimestichezza con gli archivi e i cataloghi bibliotecari – intervistato da un’emittente radiofonica locale proprio su quest’opera, dandone conto qui nel mio blog.

Ora torno sull’argomento perché mi sembra doveroso dar conto della non piccola rassegna stampa raccolta intorno a «Gentile editore…», a partire dall’articolo uscito oggi nella cronaca fiorentina di “Repubblica” a firma di Maria Cristina Carratù, fin dai tempi dei primi articoli scritti da entrambi con uno spirito di collaborazione credo oggi impensabile fra colleghi, la Mimma:

«“Vedi come nasce la marea antisemita? Mi dispiace pel povero Kristeller”. “Carissimo, la marea cresce, al punto che, secondo quel che mi vien detto, non permetterebbe più neanche la circolazione dei libri di autori ebraici (…). Ho pensato pertanto che conviene affrettare per tute le ragioni un colloquio col Duce (…). Sono molto preoccupato per questa faccenda. Bisognerà pur difendere la verità”. A parlare con toni preoccupati della terribile deriva che, sulle orme del Terzo Reich, sta prendendo anche l’Italia fascista, in alcune lettera scritte nell’immediata vigilia delle leggi razziali (il 2 settembre 1938), è Giovanni Gentile, il filosofo del regime. Il teorico dell’attualismo e ideologo dello Stato etico, che morirà per mano dei partigiani, nel 1932 aveva acquistato col figlio Federico la Casa editrice fiorentina Sansoni, chiamando a collaborarvi alcuni dei migliori intellettuali italiani, fra cui molti ebrei, come appunto il filosofo Kristeller. Ben presto, la sua avversione filosofica al razzismo si scontrerà con il nuovo corso antisemita. Non sarà mai rottura aperta, ma il dissidio che coinvolge l’intellettuale e il politico, e l’imprenditore-editore, costretto a rinunciare a molti suoi autori, emerge con chiarezza nel carteggio dei membri della famiglia Gentile con alcuni dei loro più autorevoli collaboratori della Sansoni, fra cui Delio Cantimori, appena pubblicato in “Gentile editore… I libri della Sansoni nelle memorie dei suoi protagonisti”. (Phasar edizioni, anche in e-book) da Orazio Pugliese, redattore della Sansoni dal 1960 al ’70, dove ha curato alcuni dei titoli e delle collane più importanti, prima in Einaudi.

Un’opera di amorevole riesame, attraverso testi inediti, di una vicenda intellettuale che ha segnato la storia italiana, e che offre uno spaccato della grande cultura del ‘900 di Garin e Banfi, Longhi e Garboli, Huizinga e Devoto, Golo Mann e Chabod».

La copertina di «Gentile editore...»

Un articolo è stato pubblicato anche da La Nazione ed uno pare sia in attesa a Il Tirreno. Ne hanno riferito l’Ansa toscana e quella nazionale, l’Asca nel notiziario per i propri abbonati, Globalist, Met, il quotidiano on line delle pubbliche amministrazioni fiorentine, Informazione.it, Giovanni Agnoloni su La poesie e lo spiritoBe Star Blog.

Mi fa però particolarmente piacere riportare l’intervista che Enrico Zoi, amico e collega, ha fatto al “patriarca”, pubblicandola nel suo blog il 17 settembre scorso:

A colloquio con Orazio Pugliese: “Gentile editore…”

Orazio Pugliese ha lavorato alla casa editrice Sansoni di Firenze per tutti gli anni ’60 del secolo scorso, da spettatore attento e studioso di un’epoca importante per la cultura e la storia italiana. Oggi racconta quelle pagine di vita e di cronaca nel libro “Gentile editore…”

‘Gentile editore…’ è la storia della casa editrice Sansoni, ma, dalle sue pagine, emerge anche un ritratto un po’ diverso di Giovanni Gentile, quale?

“Diciamo diverso dall’immagine che più comunemente se ne dà, quella del filosofo che aderì con convinzione al fascismo tanto da divenire ministro della pubblica istruzione durante il Ventennio, mettendo in quella veste a punto una riforma della scuola che – così modellata, con una forte scissione tra la cultura umanistica e quella scientifica e tra queste e i saperi tecnici, specialisti, più mirati a una precisa professione o mestiere – ha organizzato l’educazione di molte generazioni anche nel dopoguerra. L’immagine di un Gentile intimamente votato a quel regime totalitario e all’ideologia autoritaria, repressiva e razzista che lo ispirava, tanto da venir barbaramente giustiziato da un gruppo partigiano in un agguato il 15 aprile 1944 all’ingresso della sua residenza a Firenze, la Villa di Montalto al Salviatino. Episodio che divise subito lo stesso fronte antifascista ed ancor oggi è al centro di polemiche affatto sopite. Molta critica storiografica ha già dato atto, invece, dell’’atipicità’ di Gentile nel contesto fascista e comunque si riconosce il valore della sua elaborazione filosofica e culturale. Ma quello che emerge dai suoi carteggi con gli autori ed i collaboratori della casa editrice Sansoni, che lui, dopo averla pienamente acquisita negli anni Trenta, affidò alla gestione del figlio Federico, ed anche dalle lettere di quest’ultimo, è un atteggiamento chiaramente liberale e restio all’antisemitismo, scevro da pregiudizi razzisti, addirittura direi ‘disobbediente’ alle prescrizioni mirate ad emarginare gli ebrei. Ne sono testimonianza non solo l’ingaggio nell’attività culturale della casa editrice di autori e collaboratori ebrei, che in qualche maniera ebbero così una certa ‘protezione’, ma anche le inquietudini e gli interrogativi riguardo l’opportunità, o quanto meno sulle forme migliori, di pubblicare autori di destra come Carl Schmidt o alcuni saggi su Hitler. Federico Gentile poi fece un attento e scrupoloso uso delle indicazioni del padre, aggiungendovi la sua profonda esperienza editoriale, divenendo di fatto l’autorevole editore che ha dato alla Sansoni il prestigioso ruolo avuto nel campo dell’editoria italiana”.

Perché è così difficile raccontare con parole nuove personaggi spesso controversi ed etichettati dalla storia e dalle ideologie?

“Perché pesano purtroppo ancora, esacerbati oltremisura, asti e lacerazioni che in Italia hanno prodotto una Resistenza che comunque è stata una sorta di guerra civile e, nel dopo guerra, tolta la parentesi che ha consentito l’unitaria e condivisa approvazione della Costituzione – fino al governo di unità nazionale sorto in concomitanza con il rapimento di Aldo Moro nato sull’onda delle sue ‘convergenze parallele’ e sul progetto di ‘compromesso storico’ formulato da Enrico Berlinguer, e in seguito fino al successo dell’Ulivo e di Prodi – hanno emarginato ed escluso la sinistra dalla possibilità di governare o partecipare al governo del Paese. E perché – come purtroppo confermano le derive xenofobe che hanno preso corpo in alcuni paesi dell’Unione europea e della galassia post-sovietica ed il clima di intolleranza e pregiudizio diffuso anche da noi – il rischio di riesumazione di regimi totalitari è ancora fortemente presente”.

Gentile a parte, qual è il tratto distintivo, se c’è, della storia della Sansoni?

“L’alta qualità degli intellettuali messi in catalogo innanzi tutto, ma anche, per così dire, il ‘pluralismo’ delle scelte operate nella selezione dei titoli e dei loro autori, senza pregiudizi ideologici o politici. Ma di più: è senz’altro stata anche una casa editrice capace di grandi innovazioni, di scelte antesignane poi percorse da molti altri. Basti pensare che una delle prime grandi opere commercializzate a dispense in edicola, e non in libreria, è uscita proprio per i tipi della casa editrice fiorentina. Un’altra sua significativa collocazione è stata nell’àmbito delle enciclopedie. E, infine, il carattere miscellaneo delle pubblicazioni: altolocate da un lato, popolari dall’altro”.

Dicendo Sansoni, si dice grande casa editrice: come vede la situazione dell’editoria oggi?

“Ahimé! Per fortuna sono alle soglie dei novant’anni, anche se la passione di leggere è rimasta non dico immutata, ma… Certo si possono ancora leggere autori di gran pregio, ed anzi non sono morti i capolavori, ma sugli scaffali delle librerie finisce tanta paccottiglia e prevale purtroppo la promozione di titoli di scarso valore basati solo sulla notorietà di chi li ha scritti o se li è fatti scrivere mettendoci infine solo il nome. È magari nella piccola editoria che invece si può trovare una maggiore attenzione alla qualità. E poi c’è questo drammatico processo, ormai giunto all’epilogo, con la convergenza dei colossi Mondadori-Rizzoli, della concentrazione e, di fatto, con l’appiattimento dell’offerta culturale. Un processo dettato dalle logiche commerciali della distribuzione anziché dalle scelte di un redattore o di un direttore di collana. Infine, il fenomeno dell’auto-pubblicazione, o peggio, del far pagare il libro a chi lo scrive anziché a chi lo compra. Sono scenari che non so dove ci porteranno, ma per fortuna sono vecchio io”.

Tra internet e social network, ebook e smartphone, come e, soprattutto, perché si deve e si può raccontare oggi la Storia, quella con la A maiuscola?

“I nuovi mezzi di comunicazione di massa – con i quali io ho nulla dimestichezza, ma ne sento dire tanto dai miei quattro figli, anche quelli non più giovani – sono certamente un’immensa opportunità che quelli della mia generazione nemmeno si sarebbero potuti immaginare. Come ogni strumento dipende dall’uso che se ne fa, ma ora il rischio è che l’uso sia lo strumento stesso, non cosa esso consente. La storia, con o senza la A maiuscola, la si racconta studiando, documentandosi, basandosi su fonti certe, credibili, accertabili, ma anche un romanzo o un articolo di giornale credo andrebbero fatti così. Mi verrebbe da dire con maggior fatica, con meno facilità ed immediatezza, meditandoci un po’ più sopra. Come dite? Off line? A proposito, ma lei pubblica questa intervista con me su carta o in rete?”

C’è poi un altro capitolo che meriterebbe di essere aperto, quello dei messaggi, delle lettere, dei commenti su Facebook da parte di persone che sono state nel corso della vita a contatto con mio padre. Ma di questo mi riservo, se vincerò il riserbo, di scriverne in un altro momento.

L’articolo di Maria Cristina Carratù su Repubblica

L’intervista di Enrico Zoi sul suo blog

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