Rileggere Gramsci

Antonio Gramsci

Con Antonella Blanco, Rita Martinelli, Luigi Chicca e Massimo Bellomo abbiamo raccolto poco meno di un centinaio di euro con i quali acquistare una copia dei 5 volumi di Da Gramsci a Berlinguer. La via italiana al socialismo attraverso i congressi del Partito comunista italiano, pubblicato nel 1985 dalle Edizioni del Calendario insieme alla Marsilio, curato da mio padre, Orazio Pugliese, con una introduzione di Renato Zangheri ed il contributo di Renzo Pecchioli (vol. I – 1921 – 1943), Sergio Bertolissi e Lapo Sestan (vol. II° – 1944 – 1955), Francesco Benvenuti (vol. III° – 1956 – 1964) e mio insieme a mio padre (vol. IV° – 1964 – 1975 e vol. V° – 1976 – 1984, per i quali sono stati preziosi i contributi di Eva Pollini e Gian Luca Corradi).

La copertina del 5° volume di "Da Gramsci a Berlinguer"

I libri, comprati su E-Bay da una libreria antiquaria, sono stati donati al Museo Casa Gramsci di Ghilarza, in provincia di Oristano, che meritoriamente conserva la memoria non solo del fondatore del Partito comunista italiano nel 1921 a Livorno e de l’Unità a Milano nel 1924, ma soprattutto di un pensatore anomalo, eclettico, difficilmente incasellabile, di «un cervello» al quale Mussolini pensava si dovesse «impedire di pensare», tanto poteva essere sconveniente e sconvolgente quanto ne veniva fuori, l’articolazione delle riflessioni, la connessione delle idee.

Un pensatore che da tempo incuriosisce e intriga anche all’estero, e ormai più solo all’estero, chi studia filosofia, politica, filosofia politica e politica della filosofia.

Tanto la casa di Ales in provincia di Cagliari dove Gramsci nacque il 22 gennaio 1891, quanto quella di Ghilarza, dove la famiglia si trasferì nel 1898, sono state messe a disposizione di chi voglia vederle, ma nella seconda è stato allestito un museo che conserva una bella documentazione fatta di oggetti personali, fotografie, giornali, libri, lettere, documenti attraverso i quali, anche con l’aiuto di una gentilissima giovane guida che si chiama Antonella Sanna, è possibile avvicinarsi – umanamente più che politicamente o per condivisione del pensiero – a questo straordinario intellettuale, le cui pagine – esposte in una mostra organizzata da Banca Intesa che è stata a Torino, Milano e Genova ed io fatico a portarla a Firenze – aprono scenari inattesi se quell’uomo lo si vuole considerare “solo” l’artefice del Partito comunista italiano.

E tuttavia questo è anche stato e mi sembrava giusto e doveroso che Casa Gramsci a Ghilarza avesse nella propria biblioteca – la quale «conta oltre 2000 volumi sulla storia del movimento operaio internazionale, nazionale e sardo, oltre a pubblicazioni su temi diversi come il fascismo, la letteratura, la linguistica, l’arte, la storia contemporanea, la politica» – anche quei 5 volumi a cui con passione e fatica ho contribuito quand’ero un giovane uomo, come sempre, chissà perché, bisognoso di soldi quantunque mai dissipativo.

L’appello che ho lanciato ha trovato ascolto e con quei 4 amici e amiche abbiamo provveduto alla donazione di un’opera che spiega come sia progredito il progetto lanciato da Gramsci al Teatro Goldoni di Livorno fino alla morte di Enrico Berlinguer, un altro sardo, un’altra mente di grande livello anche se non ha spaziato a così vasto raggio come quella di Gramsci.

E ne lancio un altro, che è quello di sostenere, quel Museo così da garantirne l’esistenza e comunque la crescita.

La copertina del libro di Luca Paulesu

Poi, lì a Ghilarza, ho ritessuto il contatto avviato tempo prima con Luca Paulesu, un nipote di Gramsci che ha pubblicato un bel libro sul suo avo, su cui ho scritto in un articolo del 30 ottobre 2012. Col quale poi ci siamo visti mettendo a punto un paio di progetti da portare avanti insieme. Dei quali, però, è ancora troppo presto per parlarne.

C’è infine un’ultima cosa che voglio segnare, anche solo a mo’ di promemoria, o come invito, a chi più di me ne fosse capace: le opere di Gramsci, come ho accennato, hanno un carattere, probabilmente imposto o necessario, di frammentarietà, ma quella frammentarietà è anche l’eclettismo, la spaziatura in qua e in là ed un carattere analogo c’è nella scrittura di Primo Levi e in quella di Giacomo Leopardi e pure in quella di Gregory Bateson.

La differenza fra i quattro è considerevole, associarli potrebbe addirittura, per ciascuno di loro, risultare blasfemo, ma la sensazione che a me rimane è quella di quattro cervelli che per certi versi pensino in maniera analoga, oserei dire intermittente, dando un senso nobile a questo aggettivo.

Occorrerebbero gli strumenti della critica letteraria, della linguistica, forse delle neuroscienze per verificare questa mia ipotesi, per dire se ha del fondamento o se è totalmente campata in aria: in tal caso mi ritirerei in buon ordine, fugando quello che forse è solo, per me, un sospetto.

Anche qui c’è un appello. Chissà che, come quello rivolto a Antonella, Rita, Massimo e Luigi, non resti inascoltato.

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