Silenzio per Gioia

Gioia non c’è più. Ieri se n’è andata. Aveva 93 anni e lei per prima sapeva che stava per succedere.

Forse è per questo che nelle settimane scorse aveva insistito perché andassi a trovarla, dicendomi che doveva parlarmi. L’hanno portata in pronto soccorso proprio il giorno che stavo per arrivare. Non sono riuscito – come invece con Giorgio, suo marito – ad esserle accanto poco prima che la morte me la strappasse.

Non provo senso di colpa per il mio “ritardo”, ma solo dispiacere, anzi, dolore. Che riesco e so trattenere. Ma c’è. Dolore e dispiacere.

Il primo non ha spiegazioni, o se le ha è inutile descriverle. Ma il secondo, invece, merita un attimo di attenzione. Che sarà forse molto più di un attimo. Tutto quello che occorre.

Un attimo di attenzione per immaginare cosa avrebbe voluto dirmi, per interrogarmi su quali sarebbero state le parole che “doveva” dirmi. Non lo saprò mai.

Molte cose non saprò mai ed ho imparato a rassegnarmi a quest’idea: alle migliaia di libri non letti; ai mutismi imposti; alle situazioni mancate; alle porte scorrevoli che si sono chiuse impedendomi di passare e far sì che la storia andasse in altro modo o si sono aperte lasciandomi passare e far sì che la storia andasse in altro modo.

Ho scritto anche troppo adesso. La tastiera del computer non è troppo rumorosa. Ma il bisogno di silenzio, la convinzione che sia indispensabile il silenzio, il silenzio che percepisco, impongono che lo scrivere si interrompa qui.

Forse Debussy potrebbe interromperlo. A lei credo sarebbe piaciuto. Me lo aveva regalato.

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