Dinanzi ai ricordi di Antonella

Il relitto della Costa Concordia

Quando ho conosciuto Antonella non sapevo fosse stata la passeggera n. 10832513. Questo il numero di prenotazione che le era stato assegnato per prendere posto nella cabina 9278 della Costa Concordia, la nave che alle 21 e 45 del 13 gennaio 2012 finì contro gli scogli dell’isola dove ho trascorso molte vacanze della mia infanzia e poi della mia giovinezza, piene di ricordi belli e brutti: l’isola del Giglio, 27 chilometri di costa a credo circa 10 miglia marine dal Monte Argentario, una vera e propria rarità geografica di cui la Toscana detiene il primato.

L’ho conosciuta a un interessante corso di scrittura autobiografica organizzato da Corinne Voss ed al quale, con cari amici, ho partecipato, come dicono in vernacolo, fra il lusco e il brusco, in una zona incerta mezza rischiarata e mezza oscura, nella fattispecie non molto dissimile da quanto separa il serio dal faceto.

Solo poi, da non molto, ho scoperto che la scrittura autobiografica Antonella l’aveva messa in pratica raccontando come lei – appunto passeggera n. 10832513 di quella nave – avesse vissuto le sole prime 3 ore di crociera e le molte che hanno seguito quella tragedia in cui hanno perso la vita 32 persone.

De Falco e Schettino

Lo ha fatto in un libro edito da Vertigo che si intitola Più lontano dal mare. Cronaca di un naufragio, con la semplicità di chi né ricostruisce l’incoscienza di chi per far lo smargiasso provocò quella sciagura, né la lunga storia della rimozione della carcassa di quella nave lunga 290 metri, larga 36, alta 70, 114 mila tonnellate di stazza, 1.900 metri quadri di ponti, 1.500 cabine, 5 ristoranti, 13 bar, 4 piscine, un centro benessere, un campo polisportivo, un teatro disposto su tre ponti, una discoteca, sale da ballo, casa da gioco, un maxi schermo cinematografico di 18 m² e un cinema 4D. E neppure lo sfinente iter giudiziario iniziato, si potrebbe dire, con quella memorabile frase pronunciata dall’ufficiale De Falco della Capitaneria di porto di Livorno per intimare al comandante della nave di non darsela a gambe levate su una scialuppa ma di riprendere il controllo della nave: «Comandante Schettino, cazzo, torni a bordo! Glielo ordino!»

Antonella Cipriani

Antonella Cipriani, infermiera nell’ospedale dove da anni stanno dietro alle mie magagne, racconta invece quasi in presa diretta, non come dice lei nelle prima righe del libro «in maniera quasi giornalistica», ma certamente cronachistica, testimoniale direi, perché – scrive – «ho sentito forte la necessità e il desiderio di scrivere quello che avevo vissuto quella notte, di ripercorrere attimo dopo attimo i fatti accaduti».

Parole simili a quelle che ha usato Primo Levi per spiegare la pulsione e il dovere di ricordare, di non lasciare che andasse smarrito il ricordo.

Rievocare la storia e le forti emozioni provate, aggiunge Antonella Cipriani, «mi ha aiutata a liberarmi dalla paura, dall’angoscia e dal terrore che quella notte mi erano penetrati dentro, togliendomi sonno e tranquillità».

Ci torna sull’argomento Antonella, nell’epilogo, raccontando che «il momento più difficile giungeva la sera, la notte, in cui soddisfare il bisogno fisiologico come quello di dormire, diventava un’impresa immane. Correnti elettriche attraversavano il mio corpo, impedendo alle membra ti rilassarsi, e la mia mente non trovava la via dell’abbandono, dell’oblio». Poi, facendosi aiutare, è riuscita a superare quel malessere.

Il relitto davanti al Giglio

Ci sono due punti del suo libro, anzi tre, che mi hanno particolarmente colpito.

Il primo è proprio il fatto che la sciagura avvenne appena tre ore dopo l’inizio della crociera, il tempo di raggiungere il Giglio da Civitavecchia diretti a Savona. Io ho pochi ricordi di quel fatto di cronaca che non ho potuto seguire né come inviato né come caporedattore che coordina il lavoro dei suoi inviati, ed al quale non prestai più di molta attenzione, essendo avvenuto in uno dei momenti più difficili della mia vita, nel quale tutta l’attenzione era rivolta solo a come sopravvivere e non far naufragio.

Il secondo è quando Antonella narra dell’incredulità. «Non può davvero succedere», scrive sbattendoci a seguire ben 3 punti esclamativi. «Quello che si vede nei film catastrofici, che non mi piacciono nemmeno, sta accadendo proprio a me, non è possibile. Sto sognando!… ma non è il momento di pensare troppo e farci prendere dal panico, dobbiamo agire, dobbiamo muoverci…».

Presumo qualcosa di simile avvenga prima di ogni sciagura, certamente lo hanno pensato molti ebrei prima che il nazismo mettesse in atto quanto poi ha davvero fatto. Vero è che non ci si deve far prendere dal panico – mai dal panico o dalla paura, pessimi consiglieri, mai – com’è vero che si debba agire, ma pensare sì, pensare si deve, pensare è fondamentale farlo, stando solo attenti a non farsi trascinare da pensieri che si avvitano su se stessi e menano in qua e in là distraendo dalla meta. Pensare bisogna ed aver presenza mentale, questo sì.

Infine il terzo punto, la sopravvivenza e cosa si sente quando si è dinanzi alla morte. Da una parte c’è «il volto coraggioso di una hostess, una ragazza giovane in divisa, ferma a un piano, che ci indica la via per raggiungere il ponte della salvezza, continuando a fare il suo lavoro, nel rispetto della sua etica professionale: “prima i passeggeri, poi l’equipaggio”». Dall’altro il comprensibile istinto della compagna di viaggio di Antonella: «Nicla disperata reclama il suo diritto alla vita, inveendo contro un cuoco (ha ancora il cilindro bianco in testa) che è su una di quelle scialuppe. Fa di tutto per fargli capire che il suo posto spetta a noi, che lui deve ritornare sulla nave, ma questi non sembra proprio curarsene e finge di non capire anche se il non verbale di mia cognata è piuttosto chiaro. Vita mia, morte tua! È questo il lei motivo che fa da sottofondo a questo scenario». E da un’altra parte ancora quel quesito senza risposta che ti fa chiedere «perché proprio noi abbiamo avuto questo privilegio e ci siamo salvati e non loro?»

Sono temi che vanno molto oltre quanto avvenne quella notta nel mar Tirreno. Antonella li tira fuori, a noi spetta rifletterci. Ma quanti sapranno farlo?

Prova

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