Le poche parole di De Mauro
Uno dei dieci libri che credo salverei in caso di diluvio universale si intitola Guida all’uso delle parole. Come parlare e scrivere semplice e preciso. Uno stile italiano per capire e farsi capire, e lo hanno pubblicato nel 1980 nella bella e intelligente collana “Libri di base” gli Editori Riuniti. Il libro è stato scritto da Tullio De Mauro, il linguista scomparso oggi a cui dobbiamo molto e sarebbe stato bello avessimo potuto dover ancora molto.
Perché lo salverei non credo abbia bisogno di spiegazioni, anche se non spiegarlo può risultare un modo per non farsi capire. Non importa. Cercate il libro, anche se è introvabile, e mi piacerebbe avere i diritti per poterlo pubblicare con TESSERE: anche in omaggio a tutti.
Ho incontrato De Mauro un paio di volte, credo, mentre ho avuto la fortuna di conoscere meglio suo figlio Giovanni, il bravissimo ideatore e direttore di “Internazionale”, forse la più bella rivista italiana.
Nel mio archivio ho trovato un articolo che scrissi il 28 ottobre 1981 per una delle rubriche che curavo sulle pagine toscane de l’Unità, “Tempo pieno”, quando De Mauro presentò un’indagine sull’analfabetismo condotta nell’hinterland (mi passerebbe questa parola?) fiorentino. Lo ripropongo ai miei lettori:
Uno spettro in agguato: è l’analfabetismo
I comuni di Scandicci, Signa e Lastra a Signa hanno un progetto al riguardo – Un’indagine di Tullio De Mauro, Sauro Sirigatti e Filippo Maria De Sanctis
Tempo di censimenti. Quello Istat del 1971 disse che il 5,2% della popolazione è analfabeta. Plausi da tutte le parti. L’obiettivo che lo Stato si era posto fin dai tempi dell’Unità d’Italia sembrava raggiunto. E un ottimistico atteggiamento positivista ha cantato vittoria: quella percentuale sarebbe diminuita, Anche solo per la scomparsa materiale delle vecchie generazioni. Ma c’è del superficiale in questo plauso. Quel 5,2% del ’71 corrispondeva a più di 2 milioni e mezzo di persone.
In attesa del nuovo censimento vediamo qualche altro dato della fotografia di 10 anni fa: il 27,2% degli italiani era privo di titolo di studio. È in grado uno che ha fatto la seconda elementare di leggere un giornale, di capire la televisione, di scrivere senza difficoltà una lettera? Il 44,3% della popolazione aveva solo la licenza elementare. Che avrebbe fatto davanti al complesso discorso di un avvocato? E chi ci dice che i pochi strumenti “culturali” di cui disponevano non siano stati persi nel tempo per mancanza di allenamento? Problemi di non poco conto. Che fare? Una iniziativa interessante arriva dai comuni del distretto scolastico 22. I comuni di Scandicci, Signa e Lastra a Signa insieme alla Regione, al Provveditorato agli studi e a un’equipe di esperti guidata da Tullio De Mauro dell’Università di Roma, da Sauro Sirigatti dell’Università di Siena e da Filippo Maria de Sanctis dell’Università di Firenze, hanno dato vita ad un interessante progetto sull’analfabetismo in quella zona, giunto già alla seconda fase. Non si tratta solo di un’indagine fatta a tavolino per avere un’immagine più dettagliata di quella che offrono i censimenti. La raccolta dei dati, l’indagine e l’analisi non saranno disgiunte dall’elaborazione degli strumenti d’intervento per “sanare” la situazione. Proprio ieri in una riunione di lavoro presso il Comune di Lastra a Signa, De Mauro E Sirigatti hanno illustrato ai rappresentanti degli enti locali le modalità di intervento per fare andare in porto il progetto.
L’indagine è partita con una premessa importante: non si può considerare l’analfabetismo solo come “incapacità assoluta di leggere e scrivere”. Certo la prima fascia di interesse sono gli adulti con insufficienti strumenti linguistici di base. Ma poi è stato preso anche in considerazione quello che si chiama “analfabetismo di ritorno”. Cioè la condizione di chi, pur avendo un titolo di studio mostra. I ricercatori hanno esaminato le cause di questo “regresso”, in particolare nella situazione locale. E poi il “semianalfabetismo di partenza”. La verifica cioè di quanti giovani terminano la scuola dell’obbligo E se quelli che la terminano hanno effettivamente i mezzi linguistici e la formazione culturale necessaria a muoversi con sufficiente autonomia nella società. Con l’espressione “semianalfabeta di partenza” i ricercatori intendono anche chi non possiede un vocabolario sufficiente per potersi esprimere in situazioni diverse e chi non sa cambiare il proprio modo di parlare a seconda delle intenzioni, degli interlocutori e degli argomenti trattati.
L’indagine dunque finisce per analizzare tutte quelle “occasioni” che si presentano alla gente per arricchirsi di strumenti culturali. Insomma si occupa anche di che cosa offrono le istituzioni in materia di “cultura”.
E quel che è più importante il lavoro sull’alfabetizzazione dovrebbe anche cominciare ad eliminarla.
28 ottobre 1981
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