Il direttore dell’unità
Devo innanzitutto delle scuse ai miei lettori per la prolungata assenza da questo blog: è dovuta agli impegni che ho preso per far nascere TESSERE – l’associazione, casa editrice e rivista culturale di cui avevo dato conto nel penultimo post del 14 gennaio scorso – e per dar vita ad un’altra associazione, Sotto la Mole, che tenta di salvaguardare la memoria della stampa nata per iniziativa del Partito comunista italiano, alla quale avevo fatto accenno in un articolo del 25 novembre 2016 intitolato La tela di Vittorio per ricordare Sermonti e il suo rapporto con l’Unità (che peccato non disporre di link in rete a cui collegare questo prestigioso nome!), iniziato per volontà di Alfredo Reichlin, il due volte direttore del giornale fondato da Antonio Gramsci: dal 16 gennaio 1957, prima che io nascessi, al 9 marzo 1962, e poi dal 14 maggio 1977 al 5 ottobre 1981; e poi ancora direttore di Rinascita dal 1975 al 1977.
Reichlin è morto la notte scorsa, ed è stato proprio lui a firmare la lettera di assunzione con cui ho potuto realizzare il mio sogno giovanile rimasto immutato finora e, a questo punto, credo fin che campo: fare il giornalista proprio in quel giornale o, in alternativa, a Rinascita.
Non ho sfortunatamente trovato quel foglio fra le carte che consegnerò all’Istituto Gramsci di Bologna, dove appunto cercheremo di raccogliere quanto testimonia tale lunga e “nobile” storia, anche perché forse fu uno dei due suoi successori – Claudio Petruccioli dal 6 ottobre 1981 al 13 aprile 1982 e Emanuele Macaluso, dal 14 aprile 1982 al 29 aprile 1986 – a redigere formalmente, diciamo a “regolarizzare”, la mia presenza in redazione a partire dal luglio 1978.
Ho tuttavia ben presente l’ammirazione ed il rispetto che, con i miei colleghi, portavamo a quest’uomo morto all’età di 91 anni che ha fatto il partigiano, è stato un combattivo dirigente del Pci, ha con passione sostenuto le proprie anche “eretiche” opinioni, ma sempre con una pacatezza ed uno stile direi inimitabili e degni proprio di essere imitati; una pacatezza ed uno stile che lo hanno contraddistinto proprio nella conduzione del giornale al quale, nel periodo almeno in cui c’ero io, aveva dato una caratterizzazione ben precisa, di grande apertura e rigore. E, infine, negli ultimi articoli che ha scritto, con una lucidità sconvolgente, per quel che è rimasto de l’Unità, mantenendo la barra ferma, l’ostinazione ad attenersi a proprio quel monito che Gramsci aveva dato fondando il giornale:
«Io propongo come titolo “L’Unità” puro e semplice, che sarà un significato per gli operai e avrà un significato più generale, perché credo che dopo la decisione dell’esecutivo allargato sul governo operaio e contadino, noi dobbiamo dare importanza specialmente alla questione meridionale, cioè alla questione in cui il problema dei rapporti tra operai e contadini si pone non soltanto come un problema di rapporto di classe, ma anche e specialmente come un problema territoriale, cioè come uno degli aspetti della questione nazionale».
Proprio l’“unità” tra quanti intendono battersi per un mondo migliore, e quella fra le classi impegnate a farlo – prima gli operai ed i contadini, poi quella con i ceti medi e produttivi, con gli studenti, gli intellettuali, i nuovi diseredati e gli esclusi – ed ancora quella nel partito o nella coalizione sedicenti votate a questo scopo ed in ultimo quella fra i nostri “extracomunitari” additati da un’immaginaria linea Maginot che taglia fuori Napoli, Bari, Catanzaro o Palermo, ed i nostri poco comunitari “comunitari”, è stata una specie di chiodo fisso di Alfredo Reichlin, chiaramente leggibile nelle sue righe più recenti che ancora davano lustro alla testata a cui ci sentiamo in tanti così intimamente e fedelmente legati.
Per questa ragione a prestigiose firme di quel giornale con cui sono in stretto contatto per tentare di dare vita a Sotto la Mole – come Sergio Sergi, Antonio Zollo e Giorgio Frasca Polara – avevo suggerito, senza con ciò voler sminuire il ruolo che altri direttori (come Macaluso, Tortorella, Veltroni, lo stesso D’Alema), che si chiedesse a Reichlin di diventare presidente onorario di questa associazione, lasciando che altri colleghi relativamente più giovani, ma anch’essi prestigiosi e autorevoli, prendessero il mio incarico pro-tempore di presidente operativo, incarico dovuto solo alla mia ostinazione di fare questa cosa prima che sia troppo tardi per me e per tutti e prima che chi non sa nulla di questa storia non possa mai più saperne nulla e perciò non trarne qualche insegnamento che valga anche per il futuro.
Mi avevano detto che era malato e non avrebbe potuto accettare, e pur comprendendo, me ne sono dispiaciuto: proprio perché, malgrado l’età che aveva e fosse perciò a tutti gli effetti “rottamabile” – come molti vorrebbero sia il destino di chi ha sulle spalle molta esperienza oltre a un curriculum più ricco, all’ingombrante presenza ed al peso degli anni – sapevo che aveva ancora da dirci e avrebbe potuto “unirci”: darci l’“unità”.
Grazie, perciò, Reichlin, non solo di avermi consentito, con Andrea Liberatori e Gabriele Capelli, di fare il giornalista proprio in quel giornale.
Tags: Alfredo Reichlin, Andrea Liberatori, Antonio Zollo, Gabriele Capelli, Giorgio Frasca Polara, l'Unità, Sergio Sergi