La “commozione” di Belpoliti

Marco Belpoliti e Anna Benedetti alla presentazione di "Primo Levi di fronte e di profilo". Foto di Andrea Ruggeri (andrea@nonamephoto.it)

Non mi era mai capitato – eppure non è attività che non abbia praticato nella mia ormai lunga vita – di vedere, alla presentazione di un libro, l’autore “commuoversi” per il contenuto di quanto ha scritto, diciamo così “per l’oggetto” della sua narrazione.

Ma c’è sempre una prima volta. A Marco Belpoliti – tenace curatore delle Opere di Primo Levi e adesso autore di 736 magiche, intriganti e preziose pagine intitolate Primo Levi di fronte e di profilo che Guanda ha mandato in libreria un anno e mezzo fa, ospite ieri con Giovanni Falaschi della rassegna “Leggere per non dimenticare”, da molti anni prestigiosa vetrina della migliore editoria messa in piedi da Anna Benedetti – si è spezzata la voce facendo un inciso sulla poco esplorata attività poetica di Primo Levi, quei 45 componimenti in versi contenuti in Ad ora incerta, edizione Garzanti perché Einaudi li snobbò, più gli 11 ripescati proprio da Belpoliti nelle Opere del 1988. «Le poesie sono il grido di dolore di Primo Levi», ha detto quasi facendo fatica a pronunciare quelle parole.

Benché fossi in ultima fila e la miopia non mi consenta di veder fin laggiù, ho percepito quella sorta di singhiozzo, un singulto, direi il segno della “com-passione”, una sorta di immedesimarsi, quasi un esperire simultaneamente, forse un dire tramite un altro, Levi, qualcosa di se stesso, Belpoliti. Certo posso sbagliarmi, i sensi fanno brutti scherzi, come quella volta che mi persuasi che il mio grande amore a due passi da me stesse provando piacere con un altro, convincendomene quantunque, mi è stato giurato, non fosse vero. E però anche le sensazioni hanno il loro peso, la loro importanza, la loro attendibilità.

Non escludo che in questo caso ci sia anche una mia “proiezione”, il trasferimento sull’emozione di Belpoliti verso Levi di quanto io “provo” per Levi, un gioco di specchi o un castello di destini incrociati, di sliding doors che si aprono e si chiudono per poi riaprirsi. Non escludo, in altre parole, che il dolore gridato in versi dall’autore de I sommersi e i salvati e di Storie naturali, sia il mio, trattenuto, inespresso, celato, sedato.

Anch’io ad ora incerta, ma senza dargli alcun peso, sminuendo deciso e convinto possa esserci alcunché là dentro, men che meno del valore, della bellezza, della godibilità.

E poi Belpoliti è uno schivo, e schivo era anche Levi, e questo tratto può darsi mi accomuni, ed intravedo in quella ritrosia anche il lato antipatico, la “scostanza”, il burbero e scontroso che diviene indisponente e quasi altezzoso, il rischio della superbia.

Ci sta dunque io introietti qualcosa – tanto! – che non m’appartiene o m’impossessi – un’appropriazione indebita – di qualcosa che non è mia: di interviste fatte a 30 grandi personaggi; di un racconto verso occidente per farne altri dieci che si spingono oltre, più in là; di una novella inimitabile su una ragazzina molestata da un vecchio per cercare uno scoglio a cui abbarbicarmi, un appiglio in alta montagna; di una leggenda, quella della fine del mondo, per scongiurare l’annientamento, per esorcizzare il vuoto, il nulla, la morte; della vita di uno dei più grandi scrittori al mondo – lo affermo senza timore d’essere smentito – per testimoniare della mia sofferenza o del mio riscatto da essa, del mio sommergermi e del mio salvarmi.

E mi servo probabilmente ora di Belpoliti per fare questo – come ho fatto di Primo Levi innanzitutto, di Arthur Schnitzler, di Garin, Rossi Monti, Haskell, Bernstein, di Ernesto De Martino, Augusto Placanica, Gerolamo Savonarola e poi ancora di Primo Levi – ma rendendo l’onore dovuto, il riconoscimento, il debito, la riconoscenza, la gratitudine, l’affetto, la stima.

Nel caso di Primo Levi, scoperto in gioventù per amore e con amore, questo “servirmi” strumentale mi ha portato qualche anno fa – su richiesta dell’editrice di Io la salverò, signorina Else, Emilia Aru di Portaparole – a scrivere la sua biografia, a ripercorrerne vita, libri e pensieri. E l’unica originalità che credo di avervi aggiunto, rispetto ad altri libri certamente più autorevoli, documentati e completi, è quella della passione.

Perciò è divenuta una “biografia appassionata”, quella capace di riconoscere ed affermare che “questo è un uomo”: lo è, nel senso pieno della parola uomo, nella perentorietà del pronome dimostrativo che la precede, nella forza affermativa del verbo che lo sostanzia, ne dà esistenza, né fa emergere essenza.

Primo Levi è ed è stato un uomo, umanamente umano e al tempo stesso straordinario, inequivocabilmente centauro anche in questo, poliedrico, inafferrabile, complesso, semplice e disponibile. E questo spero di aver fatto emergere, insieme alla irripetibile capacità del suo essere scrittore, con il libro che sta andando in stampa per TESSERE, arricchito dall’introduzione di Massimo Giuliani – docente di Pensiero ebraico all’Università di Trento e di Filosofia ebraica nei corsi dell’Unione delle Comunità ebraiche italiane, divulgatore dell’opera Primo Levi negli Stati Uniti e in Israele – e dalla testimonianza di Andrea Liberatori, l’ultimo giornalista che ha intervistato Primo Levi prima che ci lasciasse.

Questo mosaico – son fatti di TESSERE – che ho ricostruito, deve molto, ovviamente, a Marco Belpoliti, senza il cui immane lavoro, “di” e “su” Primo Levi sapremmo molto meno ed a cui dobbiamo anche la prestigiosa e proficua rivista doppiozero per la quale ho avuto l’onore di collaborare con due articoli e che spero possa essere partner di un progetto analogo: quello che, con alcuni amici che ci auguriamo sempre di più, stiamo tentando di TESSERE.

Il video della presentazione di Belpoliti a “Leggere per non dimenticare”

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