Stare insieme, federarsi

Thomas Hobbes

Ho seguito il convegno su “partito e federalismo” organizzato questa mattina a Livorno dall’associazione Politica e società, messa in piedi da Vannino Chiti e altri sinceri appassionati delle sorti di questo paese e della forza politica che potrebbe tentar di dargli una chance, ammesso che non sia troppo tardi. Il vicepresidente del Senato e gli altri promotori dell’associazione mi hanno affidato l’incarico di mettere in piedi il sito www.politicaesocieta.it che tenterà di essere uno spazio di riflessione dove raccogliere le idee “per la” e “della” sinistra.

Ho ascoltato alcuni degli interventi e vorrei dire qualcosa di mio sul tema. Se scelgo di farlo nel mio blog e non nel sito dell’associazione è perché, essendo da molti anni fuori dalla politica e non volendovi rientrare proprio ora se non con un contributo professionale a una causa che mi par meriti d’essere sostenuta, non so dove finiscano le mie opinioni personali e dove esse possano cominciare a diventare, una volta pubblicate su un sito riferibile a un’associazione dal direttore responsabile, una linea, una strategia, un’indicazione di lavoro. Invece, lo ripeto, sono riflessioni personali e vorrei restassero tali finché non siano condivise espressamente.

La prendo alla larga. Il Principe di Machiavelli, opera senza la quale a mio giudizio neanche val pena di pensare alla politica, è datato 1513. Il Leviatano di Thomas Hobbes, altro caposaldo in assenza del quale è del tutto vano inoltrarsi sul sentiero scelto, è del 1651. Entrambe le opere hanno dato sfogo alle più disparate interpretazioni e ad esse sono stati attribuiti significati e valenze che forse non hanno mai avuto, ma francamente è difficile immergersi in quelle pagine senza vedervi, almeno in controluce, il riverbero, la premonizione o il suggerimento di un organismo politico, poco importa che sia un popolo, uno Stato, una nazione o un partito politico. Nè ci interessa qui particolarmente l’orientamento più o meno autoritario di tale formazione collettiva.

Sottolineo solo, in entrambi i casi, la devoluzione a un organismo altro, di compiti ed incombenze che altrimenti stentano a divenir realtà, a farsi azione, a tradursi in fatti. Lo ripeto, l’ho presa larga, perché qui vorrei sottolineare che la maggior parte delle federazioni o dei federalismi così come si son venuti strutturando nel corso della storia, hanno preso corpo per una volta d’aggregazione, nel tentativo cioè di costruire un’entità più ampia, solida, efficace e duratura, capace però di rispettare e tener di conto delle entità più piccole che hanno contribuito a formare quella “unità” più più vasta, più collettiva.

Gli Stati Uniti d’America al termine di una massacrante guerra civile, l’aggregazione dei Lander tedeschi e addirittura il recupero di quella fetta strappata dalla guerra fredda per quasi mezzo secolo, ma la stessa idea d’Europa che ha visto artefici così lungimiranti e schietti come Altiero Spinelli ed Ernesto Rossi.

In ognuno di questi casi si è cercato di unire, non di dividere, di associarsi non di fare una secessione, di perseguire un percorso comune, non di andar ognuno per la sua strada, di stare insieme, non di mollarsi. Ero fiero, quando lavoravo a l’Unità, per il significato che quella testata incarnava, la stessa idea che ancor più giovane mi teneva in un Movimento studentesco dove si voleva convivessero anime diverse, non tutte omologate e tesserabili sotto una bandiera, la stessa che mi ha fatto guardare con grande ammirazione a quel proposito di Enrico Berlinguer di dar vita ad un compromesso storico, mediato come la prima parola ma di lungo respiro come la seconda, che vedesse la convergenza e il reciproco rispetto di forze, ideali e aspirazioni in parte così diverse, ma in parte così condivisibili.

Ernesto Che Guevara

Ero affascinato da Ernesto Che Guevara che affermava «Bisogna battersi risolutamente ogni volta che si parla contro l’unità». Dal Karl Marx che ribadiva di non  aver mai sostenuto che le vie per giungere alla stessa mèta «siano dappertutto le stesse. Noi crediamo che si debbano prendere in considerazione le istituzioni, i costumi e le tradizioni dei diversi paesi, e non neghiamo che vi sono paesi (…) dove i lavoratori possono giungere per via pacifica alla loro mèta».

Ma che c’entra questo con Il Principe e Il Leviatano? Guardo le date di pubblicazione delle due opere e noto che malgrado idee analoghe siano maturate prima in Italia che in Inghilterra, la formazione dei due Stati è stata radicalmente assai più rapida nel secondo che nel primo, dove si è dovuto attendere addirittura la fine dell’Ottocento e quel peregrinare fra Torino, Firenze e Roma prima di trovar una capitale, mentre queste tappe eran state bruciate in Francia e in Germania e in Spagna, dove il senso della collettività, dell’appartenenza, dello Stato, pur in presenza di separatismi dovuti più che altro al perdurare di regimi opprimenti, sembrano assai più solidi, radicati e longevi che nella penisola.

Vedo perciò di buon occhio un federalismo che sia la rinata voglia di stare insieme, di contribuire ognuno per la sua parte, col proprio bagaglio e la propria specificità. Al punto tale che oltre ad un federalismo geografico, mi piacerebbe guardare a un federalismo sociale, in cui classi diverse e interessi specifici, trovano una causa magari meno immediata ma più solida, duratura, gratificante. Può occuparsi di questo la politica? Spero che da convegni come quello di oggi a Livorno maturino prospettive di questa portata.

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